Portare il teatro nelle zone di margine non significa soltanto dare spazio a spettacoli importanti, per tanti e tante significa prima di tutto fare teatro con chi vive al margine e fare cultura in tanti modi. In questo secondo scenario, negli ultimi anni sono nati due straordinari laboratori teatrali promossi in un pezzo della periferia romana, presso Spazio Donna San Basilio, che hanno coinvolto tante donne, alcune seguivano un percorso di fuoriuscita dalla violenza con l’apporto delle operatrici e in qualche caso anche di avvocate, altre avevano semplicemente desiderio di stare insieme ad altre donne, scoprendo di non essere sole. Da quei laboratori hanno preso forma anche tre spettacoli. Intanto, all’interno dello stesso progetto di laboratori e spettacoli del margine, sabato 8 marzo, alle 17, viene promossa la presentazione di un libro importante: appuntamento alla Casa dei Diritti e delle Differenze intitolata non a caso a Carla Zappelli Verbano, la mamma di Valerio, un luogo del margine sempre più centrale

Essere al margine, scrive bel hooks nel suo Elogio significa appartenere pur essendo estranei; è un luogo di privazione, ma anche uno spazio di radicale possibilità. È questa percezione che mi ha sempre guidato nel portare il teatro nelle zone di margine; ma non i miei spettacoli, no, proprio fare teatro, e farlo con chi vive al margine.
È così che nel 2020, dopo due anni di laboratori teatrali tenuti a Spazio Donna San Basilio, centro di Be Free, a Roma, è nato il progetto “Il Filo di Arianna”, che ha visto la partecipazione di tante donne e il rafforzamento del loro empowerment. Donne “al margine”, sia che seguissero un percorso di fuoriuscita dalla violenza con l’apporto delle operatrici e in qualche caso anche di avvocate, sia che avessero semplicemente desiderio di stare insieme ad altre donne, scoprendo di non essere sole, di poter condividere il vissuto, crescendo nella consapevolezza che la violenza maschile non è una loro responsabilità, non è una questione individuale né tantomeno privata, e che “uscirne insieme è la politica”, quella che restituisce a questa parola il senso disperso anche da tanta sinistra, quella che guarda il mondo da un’altra prospettiva: transfemminista e intersezionale.
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Ed è così che abbiamo dato vita a ben tre spettacoli. Nati dalla scena, secondo la mia impostazione, siamo riuscite a portarli anche fuori dal centro, in veri e propri teatri ma anche, e qui è il punto, in altri spazi di donne. L’ultimo, “Desdemona è tornata. Non scriverete mai più la vostra storia sui nostri corpi”, dopo il debutto al Teatro 7 Off, è approdato al Festival “Il Cappello delle donne” organizzato dalla Casa delle Donne della Marsica ad Avezzano (AQ), per poi arrivare in Basilicata, in quattro diversi teatri e spazi, prodotto dall’incontro e dalla sintonia con un altro teatro del margine, quello del Centro Mediterraneo delle Arti di Ulderico Pesce che continua a supportare il progetto, e poi con il Centro Donne Aretusa, per approdare infine in Umbria, intrecciando il percorso con il Forum Donne Amelia e con la Casa delle Donne di Terni.
In questo modo il margine può dilagare: diventando forza nell’agire di concerto, facendosi rete, offrendo una prospettiva che si muove fuori dal “sistema binario” così utile al potere, partendo da corpi e luoghi dove sembra mancare l’essenziale, mostrando l’essenza: la ricchezza dell’espressività, dell’emozione, della memoria di cui i corpi sono depositari, per mostrare ciò che è essenziale, che è anche capacità di eliminare il superfluo. Sembra paradossale in epoca di utilizzo massiccio di tecnologie e ed effetti speciali ma questo, è il Teatro.
Finalmente riconosciuto, fra i tanti dinieghi, dal Municipio Roma III che ha deciso di sostenerlo, e, notizia appena giunta, dai progetti speciali del FUS, Fondo Unico dello Spettacolo del Ministero della Cultura. È il margine che prende piede, nonostante gli ostacoli di chi invece aggiudica i bandi in base prediligendo gli eventi-vetrina, come a chi, pur sostenendo le iniziative “dal basso”, sottrae a queste la possibilità che sia lavoro. È vero, non dovrebbe esserlo, o meglio dovremmo riconsiderare la parola “lavoro”. Perché generalmente, come ci insegnano i napoletani, con questa parola si intende “’a fatica”. Quello che si fa, che ci piaccia o no, perché dobbiamo portare a casa uno stipendio, dobbiamo mettere insieme il pranzo con la cena, dobbiamo arrivare a fine mese. E invece qui, al margine, lavoriamo sempre, ben più delle ore di laboratorio, degli eventi aperti al pubblico per mettere in scena una performance. È un lavoro instancabile, una sorta di continuo cesello determinato dalla relazione, dalla conoscenza, dall’elaborazione di quanto emerge dal margine interiore di ciascuna, insieme allo studio, alla ricerca, per modellare le parti in modo che si fondano armonicamente.
Ed è un lavoro che scava dietro la pretesa “normalità”, soprattutto quando i laboratori sono frequentati da donne che “non hanno subito violenza”, non quella che è necessario denunciare nei CAV (Centri antiviolenza), non quella di cui si riempiono le cronache. Perché qui il lavoro di immersione si fa più sottile, portando a galla la violenza quotidiana nei luoghi di lavoro, dentro relazioni infelici, per strada, ma anche l’abitudine. L’abitudine a dare per scontato che “così è”. Ed è anche per questo che nel terzo municipio, con l’occasione della gestione del Centro Antiviolenza di Via Titano da parte di Lucha y Siesta è nata qualche anno fa la Rete Transfemminista, insieme al Centro Antiviolenza Donna L.I.S.A., a Lab Puzzle e tante associazioni come la mia, Spazio Libero APS. Una rete che ha realizzato tante bellissime iniziative, dal murale Jin Jiad Azadi a sostegno della rivolta delle donne iraniane dopo l’uccisione di Mahsa Amini da parte della polizia morale per un velo mal messo, fino a “Libere di Gioire”, una vera festa di due giorni per l’allegria che ha saputo trasmettere.

Ma anche ora che il CAV Titano è gestito dal Telefono Rosa le intenzioni di fare Rete e collaborare rimane la stessa, tanto da metterla nero su bianco con un protocollo d’intesa. Un passo che voglio ufficializzare proprio sabato, in occasione dell’8 marzo, giornata dello sciopero transfemminista contro violenza patriarcale, guerra e povertà, nella quale la nostra voce sarà insieme a quella di Giorgia Serughetti, con cui parleremo di Potere di altro genere, il suo ultimo libro. Un testo necessario per consacrare il margine nella prospettiva transfemminista intersezionale di rete che come “Il Filo di Arianna” ci porterà fuori dall’inquietante labirinto della violenza patriarcale del potere, in questi giorni palesemente ai suoi tragici estremi. Non a caso ho chiamato così il progetto di Spazio Libero APS , come non a caso abbiamo chiamato “Il mondo salvato dalle ragazzine” – cogliendo l’occasione dei 40 anni dalla morte di Elsa Morante – il progetto nazionale in comune con altre nove compagnie e associazioni di artiste sparse per tutta Italia. E con noi ci saranno il presidente del Municipio Paolo Emilio Marchionne, la vicepresidente Paola Ilari, e l’assessore alla cultura Luca Blasi per lanciare ufficialmente il progetto, che fa della Casa dei Diritti e delle Differenze intitolata non a caso a Carla Zappelli Verbano, la mamma di Valerio, un luogo del margine sempre più centrale.
APPUNTAMENTO Sabato 8 MARZO alle 17, Casa dei diritti e delle differenze, Via G. Rovetta snc
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