Ci porteremo a lungo dietro le immagini dei camion militari carichi di bare e quella di papa Francesco, su quel selciato coperto solo dalla pioggia. Immagini di un mondo in sofferenza. Non è vero che andrà tutto bene e che saremo come prima. “I morti e le sofferenze ci dicono che le cose saranno diverse, ma soprattutto dovremmo sperare che proprio non sia come prima perché il prima era malato – scrive Antonio De Lellis – La pandemia ha solo reso evidente ciò che eravamo già da tempo: malati… La ricerca del respiro che drammaticamente ascoltiamo, come bisogno estremo di chi è malato, è il respiro che manca al mondo”

Il mondo è malato perché colpito dalla pandemia, ma anche perché attraversato da una angoscia più profonda, quella di aver sbagliato strada da molto tempo. Qui non si tratta di salvarsi dalla pandemia e tornare a come eravamo prima. Si tratta di reimpostare la rotta.
Nel discorso di papa Francesco non ci sono certezze sul futuro: non è vero che andrà tutto bene e che saremo come prima perché intanto i morti e le sofferenze ci dicono che le cose saranno diverse, ma soprattutto dovremmo sperare che proprio non sia come prima perché il prima era malato. La pandemia ha solo reso evidente ciò che eravamo già da tempo: malati. È una riflessione, la sua, sul nuovo metodo che dovremmo acquisire: fermare ciò che pensavamo fosse importante e liberare ciò che davvero conta e le persone davvero fondamentali, vicine, familiari, comuni e spesso dimenticate. Le immagini evocate da papa Francesco raggiungono il mondo intero, impaurito e scosso da una pandemia che uccide, semina dolore e angoscia costringendoci a vivere senza affetti e lavoro. Qui a far paura è l’aggressività, e soprattutto la morte dei sanitari e di chi sta in prima linea, vittime sconosciute alle influenze, anche gravi, con cui abbiamo imparato a far i conti da tempo.
La ricerca del respiro che drammaticamente ascoltiamo, come bisogno estremo di chi è malato, è il respiro che manca al mondo. E anche noi, come chi soffre, dobbiamo cercare questo respiro.
La pandemia è una tempesta per le nostre vite perché le trasforma da solitudini competitive ed esistenziali a rinuncia forzata di tutte le forme di socialità e di contatto con la natura. Non c’è differenza tra la vita da persone libere e persone ristrette come i detenuti. La solitudine diventa strutturale e si subisce attraverso una sorveglianza permanente, diventando un incubo globale.
Per tanti, tra cui Francesco, è anche l’occasione per renderci conto che in questo nostro mondo, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati e ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato.
Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli e sorelle. Ecco il primo richiamo universale alla fraternità, patrimonio comune di tutti i diversamente credenti.
Ed è qui che il discorso tocca, ancor di più, tutti: la tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità.
E poi un appello rivolto a tutte e tutti: la fede è scegliere, ….. non è tanto credere. In questa nuova fase storica, è l’occasione di cogliere il tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del giudizio dall’alto, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso gli altri.
E un nuovo viaggio già iniziato con i tanti compagni esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la vita capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia e che hanno compreso che nessuno si salva da solo.
Francesco sembra dettare con questo discorso al mondo intero, in piena pandemia, i tempi del riscatto possibile.
1) – Affrontare con coraggio e corresponsabilità: o fai di tutto per vivere o fai di tutto per morire.
2) Scegliere un nuovo modo e un nuovo mondo, fatto di lentezza, socialità, giustizia sociale e climatica, libero dall’avidità e dal profitto economico e personale: il vero profitto o è di tutti o non è di nessuno.
3) Scegliere il tempo del ridestarsi e struccarsi dai falsi miti e dal grande show per essere protagonisti degli avvenimenti decisivi.
4) Mettere al centro tutti quelli che fino ad ora non hanno contato, coloro che nascosti e silenziosi costruiscono ciò che è essenziale e di cui ci accorgiamo solo nei momenti del bisogno.
L’intervento del pontefice è fondamentale e ha un alto valore storico perché si colloca nel bel mezzo di una percezione che si sta diffondendo, sotterranea e insidiosa, in ordine al rischio del clima di sorveglianza generalizzata che, se si immagina applicato a un orizzonte temporale non limitato, terrorizza tutti, da un punto vista personale, sociale ed economico.
Se il mondo è malato allora dobbiamo curarlo! Salute intesa come respiro individuale e comunitario, mentale e ambientale. Questo è il mondo guarito e non un mondo che sceglie ancora la falsa sicurezza e il trucco del controllo e della sorveglianza a favore di pochi, relegando e schiacciando i tanti.
Dentro queste due dimensioni della Salute o Salvezza e del Controllo o sorveglianza ci sono i due poli dentro i quali dovremmo inserirci.
Se saremo bravi a distanziare o biforcare questi due sistemi e scegliere la cura dei viventi, della vita e di ciò che è vitale, anche da un punto di vista naturale, sociale ed economico, avremo qualche possibilità di salvarci, ma se passa l’idea che i due ordini di grandezza sono un unico sistema, con i due poli indissolubilmente legati, allora avremmo segnato un punto di arretramento che imprimerà un carattere autoritario ad una nuova fase storica senza respiro.
Da anni impegnato con Attac e nei movimenti per l’acqua e contro le trivellazioni, vive a Termoli, in Molise. Ha aderito alla campagna “Ricominciamo da 3“
Grazie. Verissimo. Io credo ché ci sarà una RESILIENZA, cioè superata pur con dolore e privazioni, ( è con la moderazione di un certo tenore di vita consumistico da parte di chi sta meglio, torneremo non come prima…ma meglio di prima con la consapevolezza dell’importanza della VITA umana in sé e del valore di ogni PERSONA UMANA, perché c’è qualcosa che ci accomuna che è fondamentale rispetto a ciò che ci differenzia , sotto ogni aspetto. Anche se mi accorgo che oggi è ancora difficile, per esempio dall’atteggiamento egoistico dei paesi più ricchi della UE Ma speriamo che essi è TUTTI andando avanti la pandemia si ravvedono.
Lo vedo come auspicio,e per alcuni è possibile, ma qui da sud lo vedo uno sfuggire continuo all’impegno e alla responsabilità.
Danilo Dolci, la sua esperienza il suo metodo maieutico, li vedo attualissimi ed urgenti
Ribellarsi Facendo .
Salute e Libertà.