Liberi di camminare, è stato uno degli slogan della Giornata nazionale del camminare. Perchè camminare è innanzitutto uno straordinario esercizio di libertà. E’ una verità storica, visto che nell’antica Grecia, come ci ha istruiti Hanna Arendt, le persone libere erano quelle che potevano muoversi a proprio piacimento.
Ma noi oggi siamo liberi di camminare? La risposta, seppure sofferta, è si. Ma a precise condizioni e sopratutto superando queste condizioni, che sono di due tipi: di carattere culturale-esistenziale una, di carattere fisico-strutturale la seconda. La prima riguarda la difficoltà, tipica della mentalità odierna, di accettare l’imprevedibile, il rischio. Un tempo di fronte ad incidenti, avversità, disgrazie ci si affidava all’imperscrutabile volontà di Dio coprendo così anche tante responsbilità, inadempienze, misfatti umani, troppo umani. Oggi siamo passati a un atteggiamento opposto, di fronte a ciò che imprevedibilmente può succederci noi cerchiamo subito un capro espiatorio, il colpevole. Prima c’erano solo incidenti e mai delitti, ora gli incidenti sono tutti delitti camuffati. Al fondo c’è il rifiuto del tragico nella vita e del limite.
Ci nutriamo di una ragione utilitaristica e strumentale che non accetta il limite, o meglio lo considera un’offesa personale intollerabile; ci nutriamo di semplificazioni ottimistiche che rimuovono il destino tragico che invece è parte ineliminabile della realtà umana. Succede allora che il non riconoscere i limiti per quello che sono, la condizione naturale del nostro stare al mondo, porta ad alimentare un’ansia di sicurezza, di difesa, di paura che ci rende meno liberi. Questa dinamica è in contrasto con il camminare che invece apre all’imprevedibile, espone al rischio, offre il nostro corpo all’incontro con il mondo e con gli altri. Perchè la libertà, quando è autentica, è sempre rischiosa, è un mettersi in discussione ed è per questo che il camminare confligge con questa mentalità securitaria e paranoica.
Il secondo elemento, quello fisico-strutturale, è dato dal modello urbano che si è affermato nel nostro paese e che assomiglia sempre più a quello amerticano: enorme consumo di suolo e predomino incontrsastato dell’auto privata. Mentre in Germania e in Inghilterra esistono leggi nazionali che vincolano il consumo di suolo sopratutto agricolo, da noi continua lo scempio. Ciò che denunciava Antonio Cederna è ancor oggi purtroppo valido: si costruisce dove e come si vuole non per soddisfare bisogni e richieste sociali, ma solo perchè lo esige chi possiede un suolo che ha quasi sempre la forza di imporlo. Così come abbiamo il record europeo: un auto ogni 1,4 abitanti, a Roma 823 auto ogni 1.000 abitanti compresi bambini e minorenni. Anni fa un pool di urbanisti consulenti del sindaco di Los Angeles scrissero: «Il pedone rimane il più grosso ostacolo al libero fluire del traffico». Sembra una battuta di Woody Allen, è invece l’espressione tragica e surreale di un mondo capovolto che mette al centro l’auto e il traffico e considera il pedone e il camminare un intralcio da limitare. Se le nostre campagne vengono soffocate da una crosta di asfalto e cemento; se le nostre città sono il regno dell’auto allora camminare diventa impossibile, è un esercizio negato e che cammina è guardato con diffidenza e sospetto. Camminare reclama un’altra idea di città e un’altra idea di società: uscire dalla logica quantitativa che ci riduce a numeri; dalla crescita come mito a prescindere da ciò che si produce; dal consumo come centro delle nostre vite.
Camminare è il modo migliore per conoscere se stessi e il mondo. Ancor prima che un esercizio fisico è un esercizio spirituale: attenzione verso l’esterno, concentrazione verso interno. E’ un pensiero pratico alternativo al modo di pensare e di agire oggi dominante. E’ una forma r-esistenza rispetto ai volori della velocità e della appropriazione; per camminare bisogna essere leggeri, ridurre all’essenziale, e muoversi alla nostra velocità, non è possibile fare il passo più lungo della gamba. Per questi motivi camminare è oggi una rivoluzione.
Adriano Labbucci è autore del libro «Camminare una rivoluzione», Donzelli editore.
Comune-info è media partner della Giornata del camminare: su questi temi leggi anche di La rivoluzione su due piedi, Cammino contro la dittatura veloce, Racconto e consumo suole, Camminiamo per smetterla col capitalismo e della discussione promossa dal collettivo di scrittori Wu Ming qui.
Ed è vero,difatti pur andando dove vanno dei mezzi a cui è richiesta una serie di regole e dispositivi si muove senza tutto ciò.Non ha dispositivi di direzione,non ha dispositivi luminosi,non sa a volte il codice della strada,a volte tagli all’ improvviso dal marciapiede al passaggio pedonale invece dovrebbe attendere che l’ auto lo veda e sia a distanza di qualche metro.Vorrei anche aggiungere che i ciclisti sono spesso sprovvisti di luci e attravesrsano stando sul mezzo……..