Non se ne può più del circo mediatico che parla di papi. Eppure il sottobosco del cristianesimo si mostra complesso e in grande movimento. Lo ricorda il libro Quale Dio, quale cristianesimo. La metamorfosi della fede nel XXI secolo nato da un convegno promosso da Gabrielli Editori e la rivista Adista: teologi, astrofisici, teologhe ecofemministe rappresentanti di gruppi e comunità cristiane di base ragionano in modo aperto di post-teismo, del bisogno di fratellanza/sorellanza e della possibilità di dialogare in maniera inedita con atei e agonostici. Uno degli aspetti più importanti, spiega Claudia Fanti nell’introduzione (di cui pubblichiamo ampi stralci), “è che attraverso questo cammino di riflessione sul divino potrebbe anche passare la nostra salvezza come umanità. Perché è stato in buona parte proprio a causa dell’immagine del Dio teista, con tutta la catena di dualismi che si è portata dietro, che ci siamo sentiti qualcosa di separato e di superiore rispetto alla natura, alle altre specie, alla comunità di vita, al cosmo…”
Quelli che seguono non sono i semplici Atti di un convegno, né, del resto, quello a cui ci riferiamo è un convegno come tanti. Nelle vostre mani, infatti, trovate gli interventi rivisti, ri-meditati e ampliati pronunciati durante un evento inedito: il primo incontro internazionale legato al nuovo paradigma post-teista, organizzato il 2 aprile 2022, su piattaforma Zoom Webinar, da Gabrielli Editori, in collaborazione con Adista e Officina Adista, intorno al tema “Quale Dio? Quale cristianesimo? La necessità di ripensare la fede”.
A rispondere ai due interrogativi sono il teologo basco José Arregi, l’astrofisico Maurizio Busso, la teologa ecofemminista statunitense-cilena Judith Ress, il presbitero clarettiano spagnolo-panamense José María Vigil, insieme a teologi e teologhe, preti, rappresentanti di gruppi e comunità cristiane di base (Federico Battistutta, Franco Barbero, Domenico Basile, Alberto Bosi, Fausto Grignani, Enrico Peyretti, Paolo Zambaldi, Emma Martínez Ocaña, Paolo Gamberini, Rita Maglietta, Régine Ringwald, Paolo Scquizzato, Gilberto Squizzato, Santiago Villamayor). Con molte diverse sfumature (e persino alcuni punti chiaramente divergenti) ma con una comune convinzione: che, di fronte alla scelta tra un cambiamento radicale – attraverso una imprescindibile decostruzione dell’esistente – e l’arroccamento sulle posizioni tradizionali, è la prima alternativa l’unica che sembra capace di futuro. E l’unica su cui vale la pena scommettere, non solo riconoscendo l’importanza di una ricerca spirituale svincolata da ogni pretesa di verità, ma anche andando in cerca di un nuovo significato dei termini “credere” e “Dio”.
L’universo come manifestazione del sacro
All’interno del paradigma post-teista, come è noto, con Dio non intendiamo più un essere dal potere soprannaturale e dai tratti antropomorfi e patriarcali, onnipotente e onnisciente, creatore, signore e giudice, che interviene dall’esterno di questo mondo imperfetto e passeggero per compiere la sua divina volontà. Con tutto ciò che tale superamento comporta rispetto ai dogmi della tradizione cristiana.
E con Dio non intendiamo più nemmeno un padre amorevole e giusto che ascolta le nostre suppliche, viene in nostro soccorso e ci ricompenserà per il male che abbiamo sofferto in questa vita, per quanto dolorosa e persino traumatica possa risultarci questa rottura dell’adesione affettiva alla rassicurante figura di un dio personale. […]
Se c’è un consenso diffuso tra i rappresentanti e le rappresentanti del nuovo paradigma sul fatto che la morte del dio teista non comporti di per sé il passaggio all’ateismo, cosa possiamo dire, allora, rispetto alla realtà divina in cui in qualche modo vogliamo continuare a credere, per quanto in un modo diverso da quello tradizionale? Possiamo dire davvero qualcosa, considerando che, come ha scritto José Arregi, «“Dio”, come tutte le parole e più di qualsiasi altra, nasce dal Silenzio e conduce al Silenzio»? Domandare cosa sia realmente questo «indicibile che ci abita», secondo l’espressione di José María Vigil, non sarà chiedere troppo?
Sono interrogativi, questi, a cui sappiamo di poter dare solo risposte provvisorie e parziali. E non solo perché questa ricerca sta appena muovendo i primi passi – e dunque è inevitabile imbattersi in nodi ancora da sciogliere e aspetti da chiarire – ma anche perché, e soprattutto perché, una volta decostruito il teismo, forse non abbiamo bisogno di ricostruire qualcosa che possa semplicemente prenderne il posto. Forse non serve un nuovo punto di arrivo, ma solo accettare di trovarsi permanentemente in viaggio, in un cammino di ricerca spirituale destinato a non giungere da nessuna parte ma ad arricchirsi ad ogni passo.
Di certo, quello che chiamiamo post-teismo o non teismo non intende porre «una camicia di forza all’esperienza del mistero», ma, al contrario, mira alla più ampia «creatività spirituale», rifiutando ogni certezza dogmatica e rifuggendo «la coercizione di un’immagine imposta e fissa».
L’aspetto forse più importante, tuttavia, è che attraverso questo cammino di riflessione sul divino potrebbe anche passare la nostra salvezza come umanità. Perché è stato in buona parte proprio a causa dell’immagine del Dio teista, con tutta la catena di dualismi che si è portata dietro, che ci siamo sentiti qualcosa di separato e di superiore rispetto alla natura, alle altre specie, alla comunità di vita, al cosmo, come se venissimo da fuori e da sopra anziché da dentro e da sotto.
Ed è così che abbiamo dimenticato – pagando per questo un prezzo altissimo – quanto tutto sia interrelato e interdipendente, e iniziato a remare contro quella che il teologo Matthew Fox definisce la «legge morale dell’interconnessione» e il biologo Rupert Sheldrake chiama «un habitus dell’universo». Perché è qui che va cercata la vera essenza dell’universo: nell’interconnessione, nell’interdipendenza, nella cooperazione (che non nega la competizione ma la oltrepassa).
Non è un caso che i quark, le più piccole componenti della materia finora conosciute, non possano essere isolati e si trovino sempre in gruppi di due o tre, mostrando, come sottolinea Diarmuid O’Murchu, «un’elegante versatilità nell’esprimere la propria esistenza solo in relazione». E rivelando «in maniera affascinante e strana come la vita nel nostro universo non si sviluppi a partire dall’isolamento, ma dalla capacità di relazionarsi». […]
Interconnessione e interdipendenza caratterizzano a tutti i livelli la vita sulla Terra, essa stessa vista, secondo la celebre teoria di Gaia di James Lovelock, come superorganismo vivente in grado di auto-regolarsi e auto-rigenerarsi. Non per niente l’atmosfera, la chimica degli oceani, la struttura geologica del pianeta e la biosfera – la copertura vivente che lo avvolge, in tutte le sue stupefacenti espressioni – sono tutte a tal punto interconnesse che possono essere comprese solo a partire dalla loro relazioni reciproche. Sono stati del resto i batteri che vivevano nei fondali del mare a dare inizio alla più importante rivoluzione del nostro pianeta, riuscendo a produrre dall’anidride carbonica e dall’acqua glucosio e ossigeno. […]
Ma è l’intero cosmo, come sta sempre più dimostrando la ricerca scientifica contemporanea, a rivelare una natura profondamente olistica, interdipendente e creativa: non una grande macchina le cui componenti agiscono le une sulle altre in modo puramente meccanico – l’orologio-universo della scienza classica -, ma una rete di relazioni dinamiche in cui ogni parte riceve il suo significato dal posto che occupa all’interno del tutto e co-evolve in un unico sistema auto-organizzato. […]
«Il mio amico Lee – scrive il fisico Carlo Rovelli – mi ha raccontato che quando da ragazzo ha studiato l’entanglement ha poi passato ore sdraiato sul letto a guardare il soffitto, pensando che ciascun atomo del suo corpo aveva interagito in un qualche lontano passato con tanti atomi dell’universo. Ciascun atomo del suo corpo doveva quindi essere allacciato con miliardi di altri atomi sparsi nella galassia… Si sentiva mescolato col cosmo».
Sembrerà allora inevitabile guardare al cosmo come un organismo vivente con la sua libertà e le sue dinamiche creative («Ecco tutta la storia in un rigo», ha scritto il cosmologo Brian Swimme: «Si prende l’idrogeno e lo si lascia tranquillo, e lui si tramuta in roseti, giraffe ed esseri umani»). Un cosmo che il teologo ed ecologo Thomas Berry definiva come «manifestazione suprema del sacro»9.
Ricomporre il divorzio tra mente e materia
Ponendo l’accento sulla trascendenza divina, tuttavia, non abbiamo fatto altro che indebolire – e questo sarebbe, secondo Berry, uno dei principali problemi del cristianesimo – la nostra capacità di cogliere nella realtà stessa quella sacralità collocata in una divinità separata ed esterna; di pensare il divino, come evidenzia il filosofo Emanuele Dattilo, «come un attributo inseparabile di tutto ciò che c’è: come una pellicola trasparente, avvolta attorno a ogni cosa, mai separata in una forma particolare». Un divino da assaporare, attraversare e respirare, e in cui immergerci. […]
Ma a cosa conduce la messa in discussione di tale divorzio tra mente e materia, tra Dio e mondo? Non a «un’unità statica, come l’unità di un corpo», ma a «un’unità dinamica, l’unità di una forza». Non a una piatta, statica e inerte identità tra mondo e realtà divina, ma al riconoscimento che, come dice il Midrash rabbah, Dio «è il luogo del mondo, il mondo non è il suo luogo», o che, come sosteneva Scoto Eriugena, Dio «non è le cose» ma non è neanche «qualcosa d’altro dalle cose», o, ancora, che Dio è, secondo l’espressione dello Pseudo Dionigi, ««tutto ciò che è e niente di ciò che è», o che il divino e il cosmo «sono, come si dice in sanscrito, advaita, “non-due”».
È stata in ogni caso la scienza stessa a minare la visione meccanicista, trasformando la «macchina del mondo, senza alcuna capacità creatrice, in un universo evolutivo e creativo»: nella nuova visione scientifica, «il cosmo – scrive Shaldrake – è come un grande organismo in sviluppo e la creatività evolutiva è inerente alla natura stessa».
Non sorprende allora che il post-teismo sia così fortemente debitore delle scienze biologiche, delle neuroscienze, della cosmologia e della meccanica quantistica. Del resto, se la spiritualità e la scienza rappresentano approcci molto diversi alla realtà, possono tuttavia svolgere un ruolo complementare, condividendo lo stesso obiettivo di placare la nostra ansia di sapere chi siamo e da dove veniamo. […]
E nel momento in cui la fede in un Dio personale ed esterno al mondo viene meno, post-teisti, atei e agnostici si trovano realmente a poter dialogare in maniera inedita di fronte a quel mistero insondabile che, come affermava uno dei padri della meccanica quantistica, Max Planck, non potremo mai sciogliere perché ne siamo parte.
Tutto quello che conosciamo riguarda appena il 4% dell’universo, cioè la materia “visibile”, in cui rientrano le galassie, le stelle, i pianeti, la nostra Terra azzurra e bianca: del restante 96% – composto, per il 26%, dalla materia oscura e, per il 70%, dall’energia oscura – non sappiamo nulla, a parte i suoi effetti gravitazionali. Eppure, come spiega Shaldrake, questa materia sconosciuta, «attraverso il campo di gravità, ha dato forma allo sviluppo dell’universo. È come se la fisica avesse scoperto l’inconscio. Come la mente cosciente fluttua, per così dire, sulla superficie del mare dei processi mentali inconsci, il mondo fisico conosciuto galleggia su un oceano cosmico di materia oscura». Ma anche di quel misero 4% – di cui pure sappiamo tanto, dalle galassie più lontane fino all’estrema piccolezza dei quark – ci sfugge l’essenziale. […]
Le nuove parole chiave
Cosa resta, dunque? L’interrelazione, l’interdipendenza – la legge morale dell’universo – e, insieme, la scoperta che nel nuovo e grande mondo che ha preso il posto di quello, tanto più limitato, trasmesso dalla tradizione giudaico-cristiana non abbiamo bisogno di una nuova dottrina, di nuove formulazioni del Mistero, ma solo di sperimentare l’unità del nostro essere con tutto ciò che è, riconoscendoci fratelli e sorelle di tutto e operando perché tale connessione sia sempre più alta e perfetta. Che poi è forse l’unica possibile risposta, per quanto chiaramente parziale, a quell’enigma del male, della sofferenza e dell’angoscia che sappiamo non smetterà mai di interpellarci e di inquietarci. […]
Mistero, incanto, interconnessione, stupore, amore: queste potrebbero essere le parole chiave del nostro nuovo (e al tempo stesso antico) vocabolario post-teista, quelle che potrebbero garantirci la nostra sopravvivenza sul pianeta, quelle che potrebbero aiutarci a voltare pagina. «Tutto nell’universo – scrivono Brian Swimme e Mary Evelyn Tucker – costituisce un’immensa famiglia interconnessa che potremmo definire “tutte le mie relazioni”. Lo stupore non è semplicemente una delle varie emozioni: è piuttosto un accesso al cuore dell’universo. Lo stupore è l’ingresso a ciò che significa essere umani (…). In ogni istante di stupore, non importa quanto piccolo, ecco che noi partecipiamo all’ingresso delle energie primordiali nelle nostre vite. Per quanto insignificanti ci si senta (…) noi siamo degli esseri in cui l’universo freme di meraviglia dinanzi a se stesso».
Carlo D'Antoni dice
molto stimolante e da approfondire.
Carlo D'Antoni dice
interessante, da approfondire
Guido dice
Qualche citazione: “Se mettete Dio all’esterno e lo ponete di fronte alla sua creazione, e avete l’idea di essere stati creati a sua immagine, voi vi vedrete logicamente e naturalmente come fuori e contro le cose che vi circondano. E nel momento in cui vi arrogherete tutta la mente, tutto il mondo circostante vi apparirà senza mente e quindi senza diritto a considerazione morale o etica. L’ambiente vi sembrerà da sfruttare a vostro vantaggio. La vostra unità di sopravvivenza sarete voi e la vostra gente o gli individui della vostra specie in antitesi con l’ambiente formato da altre unità sociali, da altre razze, dagli altri animali e dalle piante.
Se questa è l’opinione che avete sul vostro rapporto con la natura e se possedete una tecnica progredita, la probabilità che avete di sopravvivere sarà quella di una palla di neve all’inferno. Voi morirete a causa dei sottoprodotti tossici del vostro stesso odio o, semplicemente, per il sovrappopolamento o l’esagerato sfruttamento delle risorse.
(Gregory Bateson, Verso un’ecologia della mente, Ed. Adelphi, 1976)
“Credo nel Dio di Spinoza, che si manifesta nell’armonia di tutte le cose, non in un Dio che si interessa del destino e delle azioni degli uomini.” Albert Einstein
L’uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una Natura visibile, senza rendersi conto che la Natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando. Hubert Reeves (Astrofisico canadese)