In questa fase della sua storia, il capitalismo non può sopravvivere senza produrre massacri, genocidi e crimini di ogni tipo contro le persone, la madre terra, la vita. Per questo in diversi paesi, come in Ecuador, esiste un’evidente convergenza tra affari mafiosi, capitale e Stato
In un articolo uscito il 22 novembre sull’Economist, intitolato “Un viaggio nel nuovo narcostato del mondo”, si può leggere di villaggi come Mocache, dove hanno ordinato ai sacerdoti di seppellire i mafiosi insieme con i loro arsenali di fucili mitragliatori, perché gli offrano protezione nell’al di là. Nella Cooperativa San Francisco, un quartiere povero di Guayaquil, il principale porto dell’Ecuador, i mafiosi hanno tagliato la lingua ai bambini per evitare che diventino informatori della polizia”.
Il testo, firmato dal giornalista Alexander Clapp, attribuisce all’esercito e alla polizia la responsabilità di aver trasformato un paese tranquillo, che era persino un esempio per la regione, in un inferno per i suoi abitanti.
Dopo aver esaminato il fallimento delle politiche statali, Clapp afferma che l’infrastruttura usata per il trasporto delle banane, la frutta di maggior consumo del pianeta, viene utilizzata anche per il traffico della cocaina, “così da convertire il prodotto emblematico delle esportazioni dell’Ecuador in un sinonimo internazionale del contrabbando”. Non dice, anche se gli ecuadoriani lo sanno, che la produzione e l’esportazione delle banane sono nelle mani della famiglia del presidente Daniel Noboa, che non può non sapere che i suoi affari sono al servizio del cosiddetto crimine organizzato.
Clapp si spinge più in là e punta il dito su alcune ragioni strutturali: “Un’economia dollarizzata offre opportunità per riciclare guadagni illeciti. E l’Ecuador è collegato alla rete globale delle rotte mercantili grazie all’infrastruttura che sostiene l’esportazione di quattro milioni di tonnellate di banane all’anno, praticamente in tutti i paesi del mondo”.
Anche se l’articolo non la menziona, anzi la nasconde, esiste un’evidente convergenza tra gli affari mafiosi, il capitale e lo Stato.
Ci hanno insegnato a separare: una cosa è la violenza contro le donne, un’altra, molto diversa, il brutale sfruttamento del lavoro o le violenze di cui soffrono i bambini e le bambine; depredare i popoli non ha niente a che fare con l’accumulazione del capitale o la gentrificazione delle città; non c’è alcun rapporto fra la disoccupazione e la mancanza di futuro da una parte e l’epidemia di depressione e suicidi fra i giovani dall’altra. E naturalmente non esiste il minimo legame fra la mafia e lo Stato (con i suoi politici).
Per questo il nostro compito è mettere in luce i fili che collegano le diverse facce di questo sistema capitalistico. Invece di militarizzare il paese, in particolare i quartieri popolari, e impedire che la gente manifesti contro le interruzioni dell’elettricità e le chiusure degli acquedotti, lo Stato potrebbe smantellare le infrastrutture pubbliche e private che i narcotrafficanti utilizzano per trasferire le droghe all’estero. Il problema è che una parte di queste vie di comunicazione appartiene ai grandi capitali legati all’esportazione delle banane, il grande affare dell’Ecuador, controllato da pochissime famiglie.
Il collettivo femminista “Mujeres de Frente”, che si occupa dell’educazione delle carcerate, sostiene che dal 2015 in poi, grazie al sostegno della polizia, dei grandi imprenditori e dell’ambasciata degli Stati Uniti, lo Stato ha creato nelle carceri dei gruppi criminali che portano avanti un particolare tipo di accumulazione: la rapina al servizio dei potenti.
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Il ricercatore colombiano Alfonso Insuasty, che fa parte del collettivo Kavilando, afferma che, delle oltre ottocento basi militari che gli Stati Uniti controllano nel mondo, settantasei si trovano in America Latina (TRT, 30/10/2024). Ci ricorda anche che il presidente Noboa pretende installarle di nuovo, dopo che Rafael Correa ha chiuso quella di Manta.
Ancora un dettaglio: “Per far nascere il suo terzo figlio, Noboa se n’è andato negli Stati Uniti, a Miami. Trentasei anni fa aveva fatto lo stesso suo padre Álvaro – il magnate delle banane che aveva accumulato la più grande fortuna del paese – motivo per cui anche l’attuale presidente ha il suo certificato di nascita a Miami. È una strana abitudine di certe famiglie aristocratiche ecuadoriane per assicurare ai loro discendenti la nazionalità statunitense, ci informa Eloy Osvaldo Proaño (Nodal, 27/09/2024).
I dati sono lì: si tratta solo di verificarli per eliminare i piccoli trabocchetti di chi vuol far confusione intorno a legami evidenti. I grandi imprenditori, gli apparati armati dello Stato e della giustizia, il Pentagono e il crimine organizzato sono tutti tentacoli di una stessa Idra che si chiama capitalismo. Un sistema che in questa fase della sua storia non può sopravvivere senza produrre massacri, genocidi e crimini di ogni tipo contro le persone, la madre terra, la vita.
Pubblicato su Desinformemonos.org. Traduzione per Comune di Marco Codebò. Raúl Zibechi e Marco Codebò hanno aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura
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