Il problema della casa non colpisce più solo i cosiddetti “ultimi”. Cresce infatti il numero di persone che non sono in grado di pagare i prezzi di mercato della casa. Stato e mercato immobiliare in questo caso sono molto intrecciati fino a confondersi, come confermano le recenti disposizioni del governo sul tema. Il tempo che viviamo dimostra che abbiamo bisogno di immaginare un mercato pubblico della casa alternativo a quello capitalistico che offra una nuova edilizia abitativa destinata a tutte le forme di convivenza possibili, non solo quindi per le famiglie nucleari, arricchita di spazi collettivi residenziali, con vari gradi di condivisione
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Allo stato attuale la questione abitativa è un oggetto complesso che richiede una molteplicità di azioni per essere risolto, perché molteplici sono le situazioni di crisi e sofferenza. Tanto da essere una questione che colpisce tutti, tolta la classe dirigente, e non solo i cosiddetti “ultimi”. La ragione consegue al fatto che si tratta di uno dei più noti fallimenti del mercato, e in una società di mercato capitalista come quella in cui siamo immersi, proprio quella incapacità strutturale del mercato di rispondere a una domanda sociale di valore d’uso diventa esplosiva, continua e diffusa. Tanto più successo ha il mercato immobiliare tanto più il problema abitativo diventa acuto e diffuso e tende ad estendersi a classi sociali prima escluse dal problema. Coinvolgendo quella definita fascia grigia: chi non può accedere alla edilizia residenziale pubblica perché ha redditi superiori a quelli previsti per accedervi, e neppure al mercato immobiliare di vendita ed affitto a causa dei prezzi elevati e in crescita. Va da sé che nelle città di maggiore qualità e dove la domanda viene gonfiata da turisti e investitori di ogni parte del globo, i prezzi sono più alti: basti citare Roma, Milano, Venezia, Firenze.
Tuttavia il problema non è solo il mercato immobiliare e una economia capitalista che tende a ridurre i redditi dei lavoratori e a produrre solo per chi può pagare prezzi sempre più alti, ma è anche il supporto che questa economia ottiene dallo stato nella maggioranza, anche se non in tutte, le sue articolazioni. Stato e mercato sono sempre più intrecciati fino a confondersi. Il leitmotiv dello stato, è la promozione dello sviluppo economico, va da sé, capitalista, completo dei suoi fallimenti che caratterizzano tutti quei servizi fondamentali che non possono essere sottoposti a regole di mercato escludenti e ghettizzanti, laddove separazione e esclusione sono, per fare un esempio, i caratteri del mercato immobiliare come condizione per valorizzarsi. Basti citare cultura, istruzione, cura, salute e casa.
Vediamo le recenti disposizioni del governo sul tema.
La Legge 30 dicembre 2023, n. 213 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026” contiene tre commi che si prefiggono, a parole, di “contrastare il disagio abitativo sul territorio nazionale” (commi 282- 283 e 284). Per farlo non indica azioni immediate ma chiede, in stile prettamente burocratico, a tre ministeri, Infrastrutture, economia e affari regionali, di definire linee guida “per la sperimentazione di modelli innovativi di edilizia residenziale pubblica”. E detta tre “linee di attività” da seguire.
La prima è il “contrasto al disagio abitativo mediante azioni di recupero del patrimonio immobiliare esistente e di riconversione di edifici aventi altra destinazione pubblica, secondo quanto previsto nel programma nazionale pluriennale di valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare pubblico”. Recupero e riconversione sono una richiesta avanzata da lungo tempo dai movimenti di lotta per la casa, ma qui la buona idea si intreccia con la improbabile relazione, in questo caso, con il contrasto al disagio abitativo: è da escludere che qui si faccia riferimento ad edilizia che verrà data in locazione a prezzi da edilizia residenziale pubblica sociali (affitto come percentuali molto basse del reddito), al massimo sarà edilizia sociale data a prezzi calmierati e quindi in stretta relazione con quelli di mercato. Il riferimento poi alla valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare pubblico ci riporta al problema che se valorizzo dal punto di vista immobiliare non rispondo alla domanda sociale. Nuove privatizzazioni sono attuate con lo specchietto per le allodole del supposto “contrasto al disagio abitativo”. Recupero e riconversione possono rispondere al bisogno abitativo solo se sono sganciate dalla valorizzazione immobiliare, al contrario di quello che propone il governo.
La seconda linea di attività da inserire nelle linee guida è “destinazione a obiettivi di edilizia residenziale pubblica o sociale delle unità immobiliari di edilizia privata rimaste invendute, in accordo con i proprietari”. Qui i problemi sono due: il primo è che alloggi invenduti evidentemente perché fuori mercato, per mancanza di domanda solvibile, a causa del prezzo, localizzazione, accessibilità o qualità edilizia e territoriale, quindi con una valore effettivo pari a zero, verranno pagate, a un prezzo che potrà essere equiparato alle case più care, semplicemente tramite un “accordo con i proprietari” con la riproposizione della solita e usuale disponibilità dello stato a farsi carico delle perdite delle imprese e creare garanzie di profitti al di fuori di qualsiasi ipotetica competizione fra imprese. Il secondo è che le localizzazioni potrebbero essere non dove c’è domanda ma in aree mal servite da mezzi pubblici o lontane dai posti di lavoro della potenziale domanda. Si tratta quindi di una azione che risponde alle esigenze di chi ha case invendute e non alla domanda sociale, che in questo modo si dovrebbe adattare alla offerta. I prezzi di questo uso dell’edilizia invenduta sono di solito sproporzionati rispetto a ciò che si ottiene.
La terza indicazione è la “realizzazione di progetti di edilizia residenziale pubblica tramite operazioni di partenariato pubblico-privato…, finalizzate al recupero e alla riconversione del patrimonio immobiliare esistente… ovvero alla realizzazione di nuovi edifici su aree già individuate come edificabili nell’ambito dei piani regolatori generali”. La “realizzazione di progetti di edilizia residenziale pubblica tramite operazioni di partenariato pubblico-privato” ha una lunga storia di fallimenti per la risposta alla questione abitativa, perché il privato vuole guadagnare quanto più possibile in un mercato immobiliare in cui le attese di profitto sono esageratamente elevate. Tenderà a far prevalere le condizioni del suo profitto immobiliare: a. segregazione e ghettizzazione: se realizza edilizia residenziale pubblica a prezzi sociali (per chi ha un ISEE 16.500 massimo) è un intervento separato e lontano dalle aree da valorizzare, e chiederà come contropartita di ottenere in cambio aree dove si può fare valorizzazione; b. segmentare la domanda e farle corrispondere una offerta differenziata con un prezzo che è il massimo possibile per quella determinata fascia di reddito, regola anche detta del “ognuno al suo posto”: l’edilizia sociale, con prezzi di affitto calmierato che corrispondono a una riduzione, da contrattare con il privato, del prezzo di mercato, è rivolta a una popolazione con un ISEE fino a 40.000 euro, e al prezzo inferiore di affitto (con durata dieci anni, poi liberi tutti) corrispondono finanziamenti dello stato, ovviamente. La contrattazione pubblico privato in un contesto poco incline a dettare regole al mercato, è sbilanciata: il pubblico offre molto per non avere quasi nulla. L’impresa immobiliare realizza edilizia residenziale calmierata, in cambio delle facilitazioni avute dalla pubblica amministrazione in termini di finanziamento per la realizzazione, sconti sugli oneri di edificazione e urbanizzazione, talvolta addirittura disponibilità delle aree, che comportano un sostegno ingiustificabile, visto che proprio le aree sono in un intervento immobiliare la componente del prezzo più rilevante, perché comprende la rendita urbana maturata in base proprio all’urbanizzazione e alle infrastrutture prodotte dalla spesa pubblica.
Infine la disposizione del governo prevede “le modalità di assegnazione, erogazione e revoca dei finanziamenti e di predisposizione, realizzazione e monitoraggio dei corrispondenti interventi di edilizia residenziale”; i criteri e le modalità di presentazione, da parte degli enti territoriali competenti, di progetti pilota afferenti alle linee di attività di cui alle linee guida; i criteri per la selezione dei progetti presentati da realizzare prioritariamente nelle città capoluogo di provincia, selezionate in modo da rappresentare il più ampio campione possibile di regioni. Si tratta di soldi investiti quindi all’interno di uno scambio strutturalmente ineguale fra pubblico e privato, in un contesto di deificazione del mercato capitalista come unico parametro di efficienza, in cui molti soldi finiranno in una edilizia a prezzi correlati a quelli di mercato e quindi incapaci di scardinare i meccanismi che producono la questione abitativa. Soldi investiti nell’ambito della valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico che presuppone anche qui la creazione dei presupposti per aggravare la questione abitativa.
Finanziamenti che comunque sono previsti al comma 284 dal 2027 in poi, infatti si prevede “il Fondo per il contrasto al disagio abitativo, con una dotazione di 100 milioni di euro, di cui 50 milioni di euro per l’anno 2027 e 50 milioni di euro per l’anno 2028”.
Per risolvere la questione abitativa è necessario governare il mercato immobiliare per scardinarlo, non ampliare artificialmente la domanda sostenendola principalmente per appoggiare le imprese oltre che alla ricerca della pace sociale. E contemporaneamente non possiamo dimenticare che la ragione per la quale i prezzi sono così alti è che esistono classi sociali in grado di investire somme sempre maggiori, proprio nell’immobiliare che è uno dei settori di punta dell’investimento finanziario. Classi che si arricchiscono sempre di più, proprio sottraendo soldi ai lavoratori. Infatti crescono le persone che non sono in grado di pagare i prezzi di mercato della casa perché dalla fine degli anni settanta in poi è stata attuata una politica di restaurazione del potere di classe, tesa a ridurre i diritti e i costi del lavoro, mentre contemporaneamente non si ponevano limiti alla speculazione immobiliare a all’accumulazione di profitti e rendite. Il territorio utilizzato come ambito di valorizzazione finanziaria attraverso la speculazione immobiliare è il motivo della questione abitativa.
Oggi invece delle disposizioni che stanno nel solco del mercato come quelle della legge di bilancio 2024, e di quelle che attutiscono i sintomi, come i contributi per l’affitto e il sostegno ai mutui, che ampliano la solvibilità con l’effetto distorsivo di aumentare i prezzi di mercato, è necessario investire tutte le risorse pubbliche in una modifica strutturale: creare cioè un mercato pubblico della casa alternativo a quello capitalistico aperto a tutti, senza limiti di reddito, a prezzi sociali, che offra una nuova edilizia abitativa destinata a tutte le forme di convivenza possibili, non solo quindi per le famiglie nucleari, arricchita di spazi collettivi residenziali, con vari gradi di condivisione.
Per questo la soluzione è davvero altrove.
Bibliografia
Maggio, Marvi (2022), Lo spazio e il mercato immobiliare, Comune-info, 5 giugno 2022
Maggio, Marvi, (2023), Diritto alla città a Firenze, Comune-info, 5 giugno 2023,
Marvi Maggio è Dottoressa di Ricerca in Pianificazione territoriale ed urbana, International Network for Urban Research and Action
Di questo passo nn ci saranno più locazioni x nuclei con isee di oltre i 20.000 € perché nn ci sono più aiuti x la morosità incolpevole i bandi di edilizia popolare pubblica sono quasi nulli ma fanno bandi social housing che annualmente applicando l’istat stanno aumentando le morosità e una vera speculazione