Quando ragioniamo di trasformazioni della comunicazione dovremmo farlo non solo per imparare a difenderci da chi assembla i dati della nostra vita o per proteggere le esperienze di comunicazione indipendente (perfino l’asteroide Comune), ma anche per riconoscere e mettere in discussione quella “comunicazione aziendale” di chi non ha tempo da perdere che si insinua sempre più nella vita di ogni giorno. Ci si saluta sempre meno, non ci si presenta più, abusiamo degli emoticon, non chiediamo se è il momento buono per parlare… Cosa hanno a che fare con tutto questo il gatto e il covid? Una piccola nota di Massimo Angelini, direttore editoriale della casa editrice Pentàgora
Vi parlo di un impegno forse vano, che probabilmente non porterà alcun risultato (nel linguaggio della guerra si dice “una battaglia persa”), però bello, come è bello partecipare anche quando non si vince: l’impegno di incoraggiare un po’ di attenzione relazionale nella comunicazione. Sì, perché negli interventi sui canali sociali, su messenger, anche nella posta elettronica, persino al telefono, noto che non ci si saluta più; anche se non ci si conosce personalmente, non ci si presenta; si apre e si chiude la comunicazione come si spegnesse la luce; allo stesso modo come per strada si entra a gamba tesa fra due persone che parlano – ci s’infila – senza aspettare il proprio momento. Non si chiede, al telefono, “è un momento buono?”, “possiamo parlare?”, macchè… ci s’impone con malomodo (non ce la faccio a chiamarlo stile) – boh, come si chiama questo malomodo? – aziendale? Il malomodo di chi non ha tempo da perdere, ma – al massimo e per puro automatismo e formalità – in una battuta rapida chiede “come stai”, senza però attendere la risposta…
E su facebook? Peggio del peggio: complete sconosciute – forse forti di un “amicizia” che in realtà è solo un contatto (e un permesso a corrispondere sul profilo) – che intervengono, qualche volta a gamba tesa, senza la minima cura relazionale.
Vi dico come la vedo io. Un profilo facebook non è una piazza pubblica, né un sacchetto (sapete quelli che si danno in dotazione sull’areo o sulle navi, vero?) dove rovesciare i propri umori o l’acidità di stomaco, è uno spazio privato aperto alla lettura, alla condivisione, al dialogo. Il mio profilo è il mio spazio di riflessione condivisa, non un angolo per fare bisognini. Allora come mi aspetto che chi viene a casa mia faccia tre gesti, salutare, presentarsi e chiedere se può entrare (gli stessi gesti che faccio io), così a chi mi telefona chiedo tre gesti, salutare, presentarsi e chiedere se è il momento buono per conversare.
Così vorrei che fosse – almeno salutare e, se non ci conosciamo personalmente, e presentarsi – con la posta, così con la messaggistica e magari nelle repliche ai post, che desideri: siano riflessioni o contributi o puntualizzazioni o critiche costruttive; non contengano mai insulti, parole diffamatorie, giudizi improntati alla discriminazione o all’emarginazione delle persone, battute (per favore, le battute e le spiritosaggini, no, no), volgarità, affermazioni ironiche, espressioni trancianti (poco più che emissioni di aria brusche e rumorose), slanci emotivi; evitino l’armamentario preverbale, infantile, al quale i canali sociali ci stanno malabituando. Di cosa parlo? Dell’abuso degli emoticon e delle animazioni (stickers). Ma per favore… siamo ancora capaci di mettere insieme due parole? Di esprimerci in forma compiuta, senza strilli, senza vagiti, senza strizzatine d’occhio, smorfie e mossette di gomito?
Forse queste parole sono pietre gettate nell’acqua. Eppure chiedo tanto? Ma no… solo un po’ di attenzione e di cura relazionale, personale: del resto sul mio profilo, a “casa mia”, e nella nostra casa va bene che le regole le proponiamo noi, no?
E il gatto e il covid cosa c’entrano? Niente. Ma avevo letto uno studio nel quale si affermava che l’algoritmo di facebook è particolarmente sensibile alle foto con i gatti e – aggiungo – oggi, ho notato, è particolarmente sensibile a rilanciare i post dove si menzionano covid, vaccini, greenpass e, in genere, i maldipancia del nostro tempo. Insomma, ho tanto desiderio che questa piccola nota arrivi a più contatti possibile (“contatti”, mi raccomando, l’amicizia è un’altra cosa).
Massimo Angelini è direttore editoriale della casa editrice Pentàgora
PIERA dice
Credo di condividere in pieno queste affermazioni che, dimostrano volontà di dialogo unito a considerazione verso l’umanità e la sensibilità dell’interlocutore .
D’altra parte i comunicati pubblicitari si presentano allo stesso modo, invadendo la intimità del lettore e infrangendo ogni regola del “cosi detto galateo” di cui oggi non esiste alcuna concezione !