Dopo quarant’anni di passione ecologica e di sviluppo sostenibile, basta una pioggia più intensa per far esplodere i tombini nelle città perché le fogne sono insufficienti ad accoglierle. Ma anche dove le fogne esistono si continua ad assistere al flusso di acque maleodoranti che invadono i terreni o finiscono nel mare; pensiamo alle frequenti denunce che appaiono anche su questo giornale. All’origine di questi sgradevoli fenomeni sta il fatto che i paesi e le città sono cresciuti con sistemi fognari pensati per una popolazione e per “consumi” di acqua molto minori degli attuali.
L’aumento della disponibilità di acqua nelle città è stato un grande successo, ma troppo poca attenzione è stata posta su quello che avviene quando l’acqua esce e scende dai lavandini, vasche, lavatrici, e gabinetti. Intanto va abolita la parola “consumo di acqua” perché l’acqua non si consuma ma “si usa” per qualche tempo e non scompare ma continua la sua circolazione della casa alla fogne ai depuratori (dove esistono) al sottosuolo, ai fiumi, al mare.
Una famiglia di tre persone “usa” in Italia, in media, ogni giorno poco meno di mille litri di acqua “potabile”, quella che ci arriva in casa attraverso gli acquedotti; qualche litro viene usato per bere o per cuocere gli alimenti, ma la maggior parte è usata per l’igiene personale, per lavare le stoviglie e i panni e per “portare via” da casa gli escrementi. In ciascuna di queste operazioni la quantità di acqua resta praticamente la stessa, prima e dopo l’uso, ma l’acqua usata risulta addizionata di detersivi, sporcizia, escrementi, residui di cibo, grassi. L’acqua usata che esce da ogni abitazione finisce sotto terra in qualche tubazione che la trasporta nelle fogne, altre tubazioni sotterranee, spesso costruite decenni fa. In molte zone, anche nelle grandi città, le abitazioni non sono collegate alle fogne e le acque usate finiscono in una “fossa” da cui vengono periodicamente prelevate da imprese che le portano (speriamo) nei depuratori delle città.
Le fogne dovrebbero essere collegate con depuratori che dovrebbero separare le sostanze sospese sotto forma di fanghi, poi dovrebbero decomporre le sostanze rimaste in soluzione trasformandole in composti gassosi o in sali innocui. Anche in questo caso ci troviamo spesso di fronte a depuratori costruiti anni fa, di insufficiente capacità o privi di tecnologie adeguate, o che si limitano ad una grossolana filtrazione di alcune delle fonti di inquinamento; le acque che ne fuoriescono finiscono nelle falde sotterranee, e da qui nei pozzi, oppure nei fiumi o nel mare, ancora cariche di sostanze indesiderabili se non nocive, quando addirittura non contengono residui di medicinali, di stupefacenti, di solventi.
Il “fiume” invisibile sotterraneo di acque usate, in una città di centomila abitanti, ha una portata di circa dieci milioni di metri cubi all’anno; inoltre sulla superficie di una tale città cadono, ogni anno, circa 100 milioni di metri cubi di acque piovane che scorrono sulla superficie dei tetti e delle strade e finiscono, attraverso i tombini (dove ci sono e quando sono puliti), nelle fogne e anche loro nei depuratori. E’ una corsa fra città che crescono come abitanti e come estensione e adeguamento delle fognature, opere costose che richiedono interventi profondi sulle strade.
Ancora peggio: le costruzioni abusive, i quartieri sorti al di fuori dei piani regolatori, spesso non sono collegate alle fognature e ai depuratori e la loro esistenza aggrava i problemi di inquinamento. Eppure una attenta politica e gestione dei “fiumi sotterranei” di acque usate, oltre a difendere la salute, avrebbe importanti ricadute positive ed economiche. Intanto fra i rifiuti organici che finiscono nelle fogne ci sono molte sostanze che potrebbero essere utilizzate in agricoltura. Victor Hugo dedica l’intero secondo libro della quarta parte de “I miserabili” ad una lunga e dettagliata analisi che figurerebbe bene in un trattato di merceologia o di ecologia. “Parigi — egli scrive — butta nell’acqua venticinque milioni (di franchi dell’epoca) all’anno, giorno e notte” di sostanze organiche che potrebbero essere utilizzate come concime per aumentare la produzione dei campi, l'”oro-concime, l’incalcolabile elemento di ricchezza che abbiamo sotto mano e che finisce nel mare. Tutto l’ingrasso umano che il mondo perde, restituito alla terra invece d’essere buttato nell’acqua, basterebbe a nutrire il mondo”.
A un secolo e mezzo di distanza oggi sono (sarebbero) disponibili tecniche non solo per la raccolta razionale delle acque usate, sia di quelle “nere”, contenenti escrementi, sia di quelle “bianche” meno inquinate, sia di quelle piovane che scorrono sulle strade; sono disponibili tecniche raffinate per la depurazione delle acque usate in modo da recuperare i gas combustibili che si formano nel processo, il cosiddetto “biogas” contenente oltre il 50 % di metano combustibile, sarebbe possibile recuperare sostanze fertilizzanti per i terreni e addirittura recuperare acqua depurata adatta per irrigazione. Senza contare che, secondo le leggi che impongono un servizio idrico integrato (distribuzione, dell’acqua, fognature e depurazione delle acque usate), ciascuno di noi già paga, nella bolletta dell’acqua, anche tali servizi e ha quindi il diritto di esigere che siano assicurati in maniera adeguata.
La diffusione delle informazioni sulla storia naturale delle acque, questo prezioso “bene comune“, attraverso le città consentirebbe di risparmiare soldi, di controllare come vengono spesi e di avere un ambiente migliore.
Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno
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