L’emergenza Coronavirus, con l’aumento del tempo trascorso su web, lo smart working e l’insegnamento a distanza, spinge a grande velocità i processi inarrestabili di cattura delle vite delle persone, campionate attraverso i dati personali. Giganti dell’informatica come Google, Amazon, Microsoft, Facebook e Apple si sono buttati a capofitto per approfittare di questa straordinaria occasione per accumulare dati. Tuttavia, spiega Davide Lamanna, esistono saperi, strumenti e movimenti con cui creare alternative, ma sarà un processo lungo, complesso e collettivo. “Perché dovrebbe essere facile? Avete mai sentito di una rivoluzione avvenuta senza coraggio e impegno?”
C’è sempre stata una distanza cognitiva tra “informatici” e “non informatici”, che ha portato spesso a incomunicabilità e, in generale, ha inficiato un comune agire politico, proprio in un periodo storico di grandi cambiamenti nei quali ci sarebbe stato bisogno – e c’è tuttora – di comprendere e agire insieme. Chi sarebbero gli uni e chi gli altri? Si tratta di definizioni approssimative e incapaci di cogliere la realtà, non solo per la loro granularità grossa, ma perché non tengono in conto le tante altre dimensioni dell’essere informatici: in fatto di preferenze, di scelte o di semplici abitudini; in fatto di ambiti, quali le infrastrutture, le piattaforme, le applicazioni, i servizi; in fatto di comportamenti individuali e collettivi, ossia di quanto e come si lascia che gli artefatti informatici, fisici e virtuali, facciano parte della propria vita. Di sicuro la categoria dei non informatici si è andata travasando in tanti modi diversi nell’altra, fino quasi a scomparire e rendendo contestualmente quella degli informatici un oggetto assai oscuro e di fatto privo di senso.
Siamo tutti informatici. Perché la società è cambiata e le suggestioni utopiche o distopiche degli anni Ottanta sul Cyberspazio, sul Villaggio Globale, sull’Intelligenza Artificiale, sono oggi concrete presenze nell’habitus umano, ossia nello spazio sociale, nella sua percezione e nelle sue pratiche tra i componenti di una comunità che, pur non riguardando (ancora) la maggior parte dei viventi di specie Homo Sapiens sul pianeta Terra, ne comprende tuttavia qualche miliardata. Abbiamo quindi delle responsabilità politiche che non possiamo più derubricare a un binario parallelo e di grado inferiore, fatto di tecnicismi strumentali al mero perpetuamento di posizioni di dominio. Di converso, le tecnologie IT hanno messo in moto un processo costituente, che è passato quasi completamente sotto traccia, e ha determinato la nascita di nuove forme di potere e dominazione, ancora più totali e pericolose, rispetto all’epoca del mero sfruttamento del lavoro manuale e cognitivo degli esseri umani.
La vita delle persone
L’emergenza Coronavirus sta spingendo a velocità ancora superiori i processi inarrestabili di cattura delle vite delle persone, fedelmente campionate attraverso i dati personali, relazionali, comportamentali e ora anche – o per meglio dire sempre più – interni al corpo, riguardanti cioè le funzioni vitali e lo stato di salute. Questo straordinario e preziosissimo campionamento di massa delle nostre vite viene accentrato nelle mani di pochissimi soggetti, i cosiddetti Big Tech, i giganti dell’IT, come Google, Amazon, Microsoft, Facebook, Apple. Giova dire che sono soggetti privati? Forse, ma non è questo il punto. Il fulcro del problema è che sono fuori controllo, con le mani libere di fare e pervicacemente chiusi alla condivisione dei loro patrimoni informativi. Hanno accentrato conoscenze e competenze che li hanno rapidamente lanciati verso il controllo totale del Pianeta. Controllo politico, prima ancora che economico, è bene sottolinearlo.
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La condizione di arresti domiciliari in cui siamo precipitati, ha spinto a rendere operativi i progetti di lavoro a distanza e insegnamento a distanza, già sperimentati in alcune realtà, o a metterne in piedi in fretta e furia laddove non ci si era preparati adeguatamente o affatto. Il risultato è stato spesso un’accozzaglia di strumenti inadeguati o impropri. Noi aggiungiamo anche l’aggettivo inopportuni, laddove – quasi sempre, in realtà – la proprietà di tali strumenti rimane in capo ai Big Tech di cui sopra. Questi si sono buttati a capofitto nell’operazione, regalando accessi e abbonamenti a piattaforme online che offrono strumenti sofisticati per ogni esigenza. Tali strumenti sono in alcuni casi di grande pregio tecnico e probabilmente anche efficaci per l’obiettivo che si pongono, essendo centrati sulle necessità dell’utente (ancorché declinate in meri parametri di efficienza) e prodotti da chi sa il fatto suo (gli ingegneri dei Big Tech, appunto). E allora dov’è il problema? Non sono forse meritorie queste elargizioni? È di questo che dobbiamo parlare. Chi pone queste domande ha bisogno di risposte, che noi addetti ai lavori dobbiamo saper dare, se vogliamo – come da sempre vogliamo – fare fronte comune al dilagare della dittatura dei dati.
Accumulare dati
Qual è lo scopo della piattaforma di acquisti online Amazon? Vendere e recapitare oggetti sfruttando il lavoro di esseri umani? Se davvero pensiamo sia questo, siamo fuori strada. Amazon riesce a malapena a chiudere il bilancio in pareggio con la mera attività di commercio elettronico. Lo scopo della piattaforma è ben altro e di valore ben più alto di una volgare voce di bilancio “ricavi meno costi”. Lo scopo è accumulare dati e informazioni su di noi. Con quelli si fanno molti più soldi, per rimanere nella volgarità. Ma soprattutto con quelli si domina il Mondo. Pensate che a AirBnB o a Uber interessi davvero darci sistemazioni per i viaggi e trasporti in auto nelle città a portata di click? Il loro business potrebbe essere questo o un altro, poco importa, purché porti a un campionamento il più possibile pervasivo delle nostre vite. C’è una piattaforma online dove si può trovare il codice sorgente di soluzioni software per ogni esigenza di sviluppo. Questa piattaforma si chiama GitHub e, assai ironicamente, è stata acquistata nel 2018 da Microsoft, da sempre avversa al codice sorgente aperto e libero, per 7,5 miliardi di dollari. Ebbene, provate a cercare in rete “GitHub AirBnB, GitHub Uber, GitHub Zalando o quello che volete. Scoprirete che questi colossi pubblicano il codice sorgente di alcune parti dei loro sistemi, chiedendo alle persone di provarli e di contribuire così al loro sviluppo. Lo scopo dichiarato di queste piattaforme è solo una scusa per esibire i propri artefatti IT, migliorarli e riproporli in una pletora di nuove applicazioni succhia dati. Benvenuti nel terzo millennio.
La capacità di improvvisazione dei lavoratori e degli insegnanti volenterosi è certamente un fatto positivo. Si è riusciti in tanti casi a sopperire alla ben più grave assenza di piani operativi da parte di chi doveva iniziare da tempo un percorso, meditato e consapevole, e non l’ha fatto, ritrovandosi quindi a dover gestire da impreparati un’emergenza. C’è da dire che lo Stato centrale ha proposto una iniziativa indubbiamente interessante, “Solidarietà Digitale, la digitalizzazione a supporto di cittadini e imprese”. Con l’emergenza Coronavirus sono stati messi a disposizione alcuni servizi e piattaforme con agevolazioni e gratuità, per facilitare Smart Working, insegnamento a distanza o semplici nuove necessità comunicative. Vi si possono trovare sistemi di video conferenze, abbonamenti gratuiti a riviste di ogni tipo, webinar, piattaforme per la classe scolastica digitale, razioni extra di minuti e giga, corsi di italiano per stranieri, ripetizioni online gratuite, colloqui psicologici in video conferenza, libri, titoli accademici, file storage, servizi in Cloud… Tutto molto bello. Solo che se andiamo a vedere gli aderenti a questa iniziativa e gli strumenti che utilizzano per erogare i vari servizi, scopriremo che in molti casi c’è ancora lo zampino dei Big Tech. Del resto, come potrebbe non essere così?
In Italia, abbiamo un ritardo di almeno venti anni rispetto al livello e alle capacità tecnologiche dei Big Tech, perché non abbiamo capito cosa stava succedendo e quali rischi/opportunità si stavano aprendo. Non lo abbiamo capito perché non avevamo gli strumenti cognitivi per capirlo. E chi tra gli addetti ai lavori lo stava intuendo, non ha trovato ascolto, o non ha saputo trovarlo. Mentre parlavamo, già negli anni Novanta e certamente nei Duemila, di comunicare e lavorare a distanza, di Free Software, di Privacy, anche all’interno di comunità potenzialmente in grado di ascoltare, non abbiamo smosso granché nelle coscienze politiche. Poi è arrivata l’ubriacatura Facebook e compagnia cantante e tutti hanno scoperto quanto era bella l’acqua calda. La nostra resistenza allo scempio è stata tanto feroce quanto incompresa. I tanti “non informatici” che prima a malapena tolleravano le nostre “astruserie”, si erano improvvisamente tramutati in Techno Enthusiast infantili, calandosi senza esitazione nei percorsi manipolatori studiati appositamente per loro dalle sapienti mani dell’inganno e della dominazione. Che frustrazione…
Non esistono risposte facili
E così, oggi, lo Smart Working e l’insegnamento a distanza fatti con gli strumenti dei Big Tech, arricchisce ulteriormente i signori dell’IT globale, gli consente di penetrare ancora più profondamente nelle nostre vite, di scavare in miniere prima inesplorate ed estrarre la preziosa materia prima che consente il dominio incontrastato sulle sorti del mondo: i dati della nostra esistenza, fin dall’istruzione elementare, fin nei procedimenti più riservati dei contesti lavorativi.
In tanti pretendono alternative comode e a portata di click, come se potessimo competere con colossi che hanno datacenter, hardware, infrastrutture IT complesse, personale e un potere enorme. Non esistono risposte facili, né tanto meno individuali. L’alternativa va costruita insieme. Gli strumenti ci sono. Il software è abbondantissimo e le competenze si possono formare, se lo si vuole. Come si costruiscono e si mettono in funzione le prodigiose piattaforme dei Big Tech, in modo solido e flessibile e soprattutto autogestito? Si parte dall’infrastruttura. Si può costruire una Cloud Privata con OpenStack, in modo da trattare le risorse hardware sottostanti come se fossero software (Infrastructure as Code). Ci si prepara a ospitare e orchestrare container applicativi su cluster Kubernetes. Si dispiegano le componenti applicative organizzate in Microservizi. Si vuole, ad esempio, fare una piattaforma di Smart Working? Mettiamo in produzione sulla nostra Cloud una chat Mattermost, strumenti di videoconferencing privati basati su Jitsi on-premise, cloud storage Next Cloud e Collabora per la scrittura collaborativa. Troppo difficile? Sì. Ma perché dovrebbe essere facile? Avete mai sentito di una rivoluzione avvenuta senza coraggio e impegno?
Davide Lamanna è esperto di architetture cloud e infrastrutture IT basate su OpenStack, Docker, Kubernetes e Ansible. Ha aderito alla campagna di sostegno di Comune “Ricominciamo da 3“
Luca `fero` Ferroni dice
Grazie per l’articolo, molto interessante. Credo che in questo ambito, parlando di #smartworking ma anche di #smartlearning, oggi non possa essere non citato il progetto https://iorestoacasa.work nato da professionisti dell’IT di Fabriano.
Davide Lamanna dice
Grazie a te per la preziosa segnalazione. Ottimo lavoro!
Antonello Teti dice
In ogni crisi c’è sempre un’opportunità… Personalmente da venti anni uso Linux sia sul pc che sul cellulare, so di non essere completamente immune a certe cose, ma resisto. Grazie per l’articolo.
Davide Lamanna dice
Concordo. E usare Linux è imprescindibile per impostare tutto il lavoro che c’è ancora da fare. Grazie per il commento.
Franco Vite dice
Ottimo, finalmente si inizia a ragionare su questo tema, che oggi è uno dei temi, ma non di secondaria importanza. Faccio un esempio, in quanto insegnante: l’istruzione pubblica italiana è stata regalata a Google (Google Classroom) e Microsoft (con Team). Ne parliamo, sul serio? Proviamo a immaginarci una risposta? Possiamo!
Davide Lamanna dice
Sì, possiamo. Occorre parlare di infrastrutture, di Cloud Private e di Comunità, di automazione. E soprattutto occorre dividerci i compiti in una platea molto più ampia, composta da tutt* e non solo dagli “addetti ai lavori”. Grazie per il commento!
Decio Murè dice
Sono d’accordo da venticinque anni (?). Purtroppo però il mantra della “ripartenza” di cui si parla in questi giorni, è angusto e provinciale, a dir poco, ripetuto fino alla noia, e rivela il disinteresse per il mondo. È non aver capito nulla di ciò che sta succedendo. Ripartire, viaggiando come prima, significa di qui a qualche anno, fronteggiare una prossima pandemìa ancor più catastrofica, legata non a un destino cinico e baro ma a un modello di sviluppo “estrattivo” dal petrolio e ai big data… Non si può far altro che affidarsi a processi ed esperienze già in atto, dai giardinieri ai maker, agli hacker.
Davide Lamanna dice
Bellissimo commento! Grazie
Andrea Vitaletti dice
Ciao Davide, l’articolo dio Harari https://www.ft.com/content/19d90308-6858-11ea-a3c9-1fe6fedcca75 offre ulteriori spunti e in alcuni casi supporti ai tuoi argomenti. E’ prima di tutto una rivoluzione culturale e come tale lenta, ma fondamentale. Rilancio, tecnologie alla openstack sono già un passo avanti, ma le tecnologie decentralizzate (e.g. IPFS) sono la vera rivoluzione. P.S. la mia mail è su gmail 😉
Davide Lamanna dice
Grazie per la segnalazione dell’ottimo articolo Harari (che raccomando anche io) e per il giustissimo riferimento alle tecnologie decentralizzate, che in effetti manca nel discorso.
luigi bertuzzi dice
Arrivo qui da https://framapiaf.org/@maupao/103911020151263666
Parto a leggere con entusiasmo della *distanza cognitiva tra “informatici” e “non informatici”*
Mi blocco all’inizio del secondo paragrafo su
*Siamo tutti informatici*
La mia strada in salita, per evitare che la società cambiasse prendendo la strada sbagliata, l’ho imboccata nel 1983.
Nei miei precedenti 14 anni aveva avuto un ruolo professionale dedicato a mantenere compatibili i processi cognitivi di informatici e non informatici.
Nel 1983, per quel tipo di ruolo, si aprì l’opportunità di ricontestulizzarsi nell’evoluzione tecnologica verso l’interconnessione di sistemi aperti.
Oggi è stato completamente dimenticato. Non mi resta che cercare di farne ricordare la necessità. Roba da free climbing.
Davide Lamanna dice
Già, è roba da free climbing, ma non dobbiamo demordere. Possiamo ancora fare la differenza. Grazie per il commento.
Fabrizio Ghelarducci dice
Ho letto con attenzione l’interessante punto di vista di Davide Lamanna, rilanciato da Flavia Marzano. Offre spunti di riflessione su una questione rilevante e a ben vedere poco tecnologica, la “distanza cognitiva tra informatici e no”, quasi una paradossale evoluzione degli “uomini e no” di Elio Vittorini.
Chi sono gli informatici ? Elementare: quelli che realizzano strumenti di elaborazione dati a beneficio degli “utilizzatori”. Peccato che non sia del tutto vero.
Prima di internet la cosa era semplice: si realizzava un prodotto software con un certo investimento, dedicato ad una fascia di mercato che si sperava esistere, a seguito di intuizione o di indagine di mercato, si metteva in vendita e se andava bene si aveva successo e si recuperava l’investimento e magari si guadagnava qualcosa.
Più semplice di così non si può. Non c’èra molta differenza con la produzione di un ombrello.
Dopo Internet la cosa si fa molto più complessa, gradatamente il rapporto tra il produttore ed il consumatore non è più lineare, è nato il “game” così ben descritto da Baricco ed il gioco si fa duro.
Il “beneficio” che la tecnologia produce per l’utilizzatore non è più il fine ultimo, ma il mezzo per ottenere, in cambio di un uso spesso gratuito, informazioni, abitudini, desideri, per aprire la nostra vita ad una analisi sempre più profonda. Ecco i BIG TECH citati da Davide.
Si può cambiare questa situazione ? SI
Come ? Bella domanda. Leggiamo con attenzione il paragrafo “NON ESISTONO RISPOSTE FACILI”
E’ condivisibile ? Certamente
Ma quante sono le piccole aziende, gli studi professionali e in generale gli “utilizzatori” che possono mettere in campo le competenze tecniche necessarie per attuare alcune delle “ricette” proposte da Davide ? O che almeno lontanamente ne comprendono il significato?
Mi vengono in mente altre “ricette” poco tecnologiche, ma sicuramente adottabili da domattina:
1. Comprate il software, non pretendetelo sempre gratis, come vi hanno abituato i BIG TECH: esistono software commerciali pensati e realizzati per essere semplici ed utilizzabili senza competenze da “informatici”: sarebbe ora che si considerasse di doverli pagare, perché per realizzarli le piccole imprese italiane del settore informatico, spesso innovative, hanno dovuto investire tempo e risorse, in una ciclopica sfida con i BIG TECH che hanno risorse infinite.
2. Smettete di acquistare solo quello che viene imposto dalle normative: imparate a trasformare gli obblighi in opportunità di rivedere il modo con cui lavorate, per trarre vantaggio dalle possibilità offerte dalla tecnologia e senza aspettare che un cataclisma planetario, come quello che stiamo vivendo, ci obblighi ancora una volta a farlo in emergenza.
3. Chi scrive il software si metta nei panni di chi lo deve utilizzare, che non deve essere un laureato in ingegneria del software. Produca applicazioni semplici e comprensibili, che risolvano problematiche vicine agli utenti, con un linguaggio lineare e che non trasmetta all’utilizzatore la convinzione della sua inadeguatezza, come invece fanno l’80 % dei software in circolazione.
Nel nostro piccolo ci abbiamo provato e sì, ci vuole coraggio e impegno!
smartworking.awdoc.it
Davide Lamanna dice
Grazie per il lungo e articolato feedback. E’ vero le competenze tecniche necessario sono scarse, almeno per il momento. Ma personalmente non vedo altra soluzione che formarle e prendere di petto il problema. Il giusto suggerimento di favorire le piccole aziende che lavorano con passione, rischia di non costituire un argine sufficiente. Inoltre penso che possiamo permetterci il modello Free Software basato sul servizio, più faticoso ma collettivamente vincente.
Bruno Valeri dice
Nel mio piccolo sto usando il motore di ricerca DuckDuckGo. Ma è tosta!
Davide Lamanna dice
Un ottimo punto di partenza, per una battaglia molto più che tosta!