Forse abbiamo sottovalutato quel nauseante linguaggio bellico, pur notato da molti già in marzo, utilizzato da politica istituzionale, grandi media e imprese per raccontare e affrontare la pandemia. Non si tratta di un confronto fra decisionismo e buone maniere ma, scrive Lorenzo Guadagnucci, di visioni del mondo e dei propri compiti. La “guerra al Covid” prima di tutto perde di vista il quadro d’insieme e occulta le origini del virus… Lo scopo di chi impone il lessico della “guerra al virus” è militarizzare la società, ingessarla, ricominciare come prima
Dimmi quale è il tuo lessico e ti dirò chi sei, o almeno gli obiettivi che vuoi raggiungere. Il virus Sars-Cov2 affligge da mesi l’intero pianeta e i vari governi nazionali sono stati chiamati ad affrontare una sfida imprevista: la prima pandemia del XXI secolo. C’è chi, con poca fantasia, ha definito questo impegno una guerra: da lì ha preso piede un lessico attinto dal gergo militare e ormai accettato dai mezzi di informazione. Il virus è definito il “nostro nemico”, si parla di battaglie e di coprifuoco evocando esperienze compiute durante l’ultima guerra mondiale, le corsie d’ospedale sono la prima linea, medici e infermieri dei combattenti eroi, chi muore è un caduto e gli investimenti previsti per il post lockdown sono immancabilmente un nuovo Piano Marshall, come il progetto di sostegno ai paesi dell’Europa occidentale deciso dagli Stati Uniti dopo la sconfitta del nazismo, del fascismo e del nazionalismo giapponese.
Dunque saremmo in guerra, con tutto ciò che ne consegue: la popolazione mobilitata nel comune sforzo bellico, il “nemico” come aggressore imprevisto e ingiustificato, il “capo” della Nazione come condottiero. In guerra le differenze sfumano, il popolo si unisce dietro il suo leader, il dissenso diventa una forma di tradimento, il paese è chiamato a un combattimento a testa bassa contro il mondo esterno, in uno sforzo straordinario e di grande coinvolgimento emotivo.
Il linguaggio – specie il linguaggio del potere – ha la caratteristica di definire il campo informativo, cognitivo, percettivo della comunicazione. Il lessico militaresco, in particolare, crea una cornice di interpretazione rigida e gestita dall’alto. Gli annunci di nuove misure decise nella “guerra” al “nemico comune”, fatti di solito in tv e con una certa solennità, magari con la mascherina indossata, trasmettono ansia ma soprattutto rafforzano quel clima di unione, mobilitazione, subordinazione tipico di un paese belligerante.
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La “guerra al virus” è una metafora potente e in apparenza fondata: l’espressione rimarca la gravità dell’emergenza sanitaria ed enfatizza il ruolo di chi detiene responsabilità di governo: non a caso negli Stati Uniti il presidente eletto è anche, se non soprattutto, il “commander in chief”. La “guerra al virus” è anche una “chiamata alle armi” dei cittadini: tutti devono sentirsi coinvolti nel “combattimento” in corso e mettere in pratica le direttive giunte dal “capo”.
Ma è davvero pertinente un linguaggio del genere? Che tipo di comunicazione implica? Che risultati ottiene? È utile o no ad affrontare il virus e la necessaria convivenza con esso?
Un’alternativa esiste
Per rispondere, è necessario mettere in campo un’ipotesi alternativa. Possiamo pensare a un linguaggio che punti sulla trasparenza, la collaborazione, la persuasione. Invece che di guerra, di nemici, di prima linea, di eroi e di caduti, potremmo parlare di una sfida politica, sociale e culturale oltre che sanitaria, di un’emergenza da affrontare con razionalità, di scelte difficili da compiere e condividere, di un clima di collaborazione e protezione reciproca da consolidare, di cittadini che hanno diritto di sapere e d’essere protetti e curati in modo adeguato. C’è già, fra i parlanti – a tutti i livelli, specie fra gli esperti di epidemiologia e politiche sanitarie, ma anche fra la gente comune – chi parla così e non cede alla metafora bellica. Un’alternativa dunque esiste.
Il confronto fra i due modelli fa capire la fallacia della “guerra al virus”. Il linguaggio bellico semplifica e militarizza la comunicazione: è nella sua natura. Il capo impartisce ordini, non ha bisogno di giustificare le sue scelte e quindi riduce al minimo le spiegazioni. Dai cittadini ci si aspetta obbedienza, una rassegnata obbedienza. Il linguaggio della cooperazione va in direzione opposta: illustra i dati disponibili, le conoscenze acquisite, non nasconde i limiti della ricerca e poi chiama i cittadini a condividere le scelte compiute all’interno di una visione allargata e aperta dell’emergenza, che è in primo luogo sanitaria ma con risvolti sociali e politici altrettanto importanti.
Non si tratta di un confronto fra decisionismo e buone maniere ma di visioni del mondo e dei propri compiti. La comunicazione militarizzata centellina le informazioni, condivide e forse raccoglie poco di dati, espone le cifre più coerenti con i propri obiettivi e trascura gli altri. Una comunicazione più aperta è ricca di cifre, analisi, confronti, si proietta in avanti nel tempo e allarga lo sguardo oltre i confini del paese, cerca termini di confronto, spiega punto per punto le opzioni in campo e le scelte compiute.
Sono due modelli opposti: il tipo di comunicazione prescelto è il riflesso, ma anche il supporto e il necessario terreno di contatto con la popolazione, di una precisa impostazione politica. In Italia governo e media, nel tempo, hanno oscillato fra uno e l’altro modello, creando una miscela che ha spesso generato confusione. La pandemia tuttavia non è una guerra e la scelta di militarizzare il campo, in tutto o in parte, non giova alla causa comune. Quando gruppi di scienziati firmano petizioni per chiedere di condividere i “big data” sul contagio – non le consuete tabelline, spesso poco pregnanti, pubblicate dai quotidiani – segnalano una carenza strutturale tipica della “guerra al virus”. La comunicazione verticale, che arriva dall’alto e chiede d’essere accettata così com’è, eseguendo le disposizioni che contiene, impoverisce la qualità dell’informazione e non favorisce la presa di coscienza dei cittadini, in qualche modo infantilizzati.
Le cause del Covid e la guerra al virus
La “guerra al Covid” perde poi di vista il quadro d’insieme e occulta un aspetto decisivo: le origini del virus. David Quammen, nel suo libro Spillover, citatissimo all’inizio della pandemia ma presto dimenticato e del tutto assente nella retorica militarizzata, spiega bene come si formano e si diffondono i coronavirus. Derivano da un’invasione di campo delle attività umane negli ecosistemi: il salto del virus dai selvatici agli umani è frutto di deforestazione, distruzione degli habitat, diffusione degli allevamenti industriali di animali. Non sorprende che non si parli più dello “spillover”: tenere nel giusto conto tale fattore, implica l’abbandono del progettato “ritorno alla normalità”, cioè al “business as usual”, un intento probabilmente velleitario, ma l’unico possibile per chi oggi detiene il potere e non vuole cambiare l’ordine delle cose.
La “guerra al virus” tende anche a essere autoreferenziale, come se l’Italia fosse un’isola che può e deve far da sé; la guerra ha sempre una connotazione nazionale e nazionalista. E invece la sfida è globale e andrebbe affrontata globalmente: nello scambio di informazioni e materiali sanitari, nella ricerca dei vaccini, nel rafforzamento delle istituzioni sovranazionali, a cominciare dall’Organizzazione mondiale della sanità, prima svuotata dall’interno e poi indicata come inutile.
Non stiamo combattendo una guerra, ma abbiamo di fronte una sfida cruciale: comprendere il virus in tutti i suoi risvolti, a cominciare dall’inizio – come e perché prende a circolare all’interno della specie umana – e senza trascurare alcun aspetto. Il virus andrebbe affrontato in piena consapevolezza: a livello collettivo attraverso il dibattito, la discussione, lo studio, la ricerca, la condivisione delle informazioni, la collaborazione internazionale; a livello individuale con spirito di cooperazione (la salute di ognuno dipende da quella di tutti gli altri), ma anche pretendendo dalle autorità scelte trasparenti e prese avendo sullo sfondo una vera visione d’insieme, uno sguardo al futuro che non sia la promessa – impossibile – di un ritorno al passato.
Ecco dunque qual è lo scopo di chi vorrebbe imporre il paradigma della “guerra al virus”: militarizzare la società, ingessarla, ricominciare come prima a forza di Piani Marshall, in attesa – a Sars-Cov2 eventualmente sconfitto – di una nuova pandemia. No, non è questa la cornice nella quale cominciare a costruire un futuro all’altezza dei difficili tempi che viviamo.
Fonte: Perunaltracitta.org / La Città invisibile. Qui le informazioni per sostenere la rivista/laboratorio politico di Firenze La Città invisibile.
Aldo Zanchetta dice
Buongiorno Lorenzo
concordo su tutto meno su un punto: il virus non era imprevisto, affermazione che non ha nulla a che vedere con affermazioni complottistiche. Che DEI virus in arrivo erano prevedibili (non necessariamente questo, anche se uno dei più probabili tanto è vero che si studiava da anni la sua famiglia di appartenenza). Chi per la cronaca avesse letto il libro SPILLOVER, che non è un romanzo ma una storia recente dei virus, riconosciuta da molti scientificamente fondata, ne è cosciente. E questo apre un ampio discorso che non si può fare qui ma che tu stesso sottolinei, quando scrivi: <>. Benvenuto quindi un ampio dibattiti, non limitato agli “esperti”.
Aldo Zanchetta
Aldo Zanchetta dice
Pardon Lorenzo
su è cancellata la citazione:
Aldo
Aldo Zanchetta dice
Doi nuovo scomparsa. Riprovo.
Comunque è il tuo penultimo pagagrafo
Il virus andrebbe affrontato in piena consapevolezza: a livello collettivo attraverso il dibattito, la discussione, lo studio, la ricerca, la condivisione delle informazioni, la collaborazione internazionale; a livello individuale con spirito di cooperazione (la salute di ognuno dipende da quella di tutti gli altri), ma anche pretendendo dalle autorità scelte trasparenti e prese avendo sullo sfondo una vera visione d’insieme, uno sguardo al futuro che non sia la promessa – impossibile – di un ritorno al passato.
Claudia Michelesi dice
Francamente in questo momento il linguaggio è ciò che mi disturba meno.
Concordo invece sulla necessità di uno sguardo ecologico e globale sulle cause di tale pandemia.
Donatella Ianelli dice
Complimenti, d’accordo su tutto, anche sul linguaggio, che crea un substrato mentale
Roberto Guidi dice
Sono d’accordo, il linguaggio bellico e bellicistico rafforza il pensiero unico e i “benpensanti”, quelli che per paura diventano arroganti e se la prendono anche in modo violento con chi osa confutare il minimo dato ufficiale.
Vittorio Arrigoni, in un contesto ben diverso ma al quale, a mio avviso, ci stiamo avvicinando, concludeva ogni suo discorso con la frase “restiamo umani”. Ebbene, per restare umani utilizzare linguaggi e toni concilianti è fondamentale.
ISABELLA dice
Credo che il linguaggio sia la vera chiave per affrontare la situazione e per trovare un’azione comune, invece di suddividerci in tanti schieramenti contrapposti. Perché qualsiasi epidemia si supera stando coesi.
Davide Bolognesi dice
Analisi interessante e condivisibile.
Mi chiedo se il ricorso al linguaggio ‘bellico’ – che non ricordo essere stato usato dal ministro Speranza, ma piu’ da altri rappresentanti del governo e soprattutto dai giornalisti – non sia diventato piu’ insistente per controbattere le continue, ripetute e gridate affermazioni di negazionisti, no-mask e complottisti vari. Per non dire di tutti i distinguo sollevati da amministratori locali, dalle regioni in primis.
Quindi una ‘chiamata alle armi’ per serrare i ranghi e mostrare il muso duro a questa parte della popolazione, refrattaria alla collaborazione, restia ad usare anche solo il buon senso e facilmente manipolabile dai contestatori.
Purtroppo, lo smodato uso dei social media e la ricerca giornalistica del clamore, lasciano poco spazio a coloro che vogliono capire, analizzare le informazioni, discutere per arrivare a soluzioni condivise, aprire l’orizzonte oltre le mura domestiche.
stella gaetano dice
HEIDEGGER DICEVA CHE “IL LINGUAGGIO E’ LA CASA DELL’ESSERE” e, almeno su questo, aveva ragione. Quindi, io concordo con Guadagnucci. E mi rendo conto che rischiamo tutti per formazione e consuetudine acquisita di cadere nel senso comune dominante . Ma, per quanto mi riguarda, mi sto battendo da tempo, per LIBERARE IL LINGUAGGIO dagli “angloamericanismi”. La meta-lingua liberista. Mi capita anche su comuneinfo dover notare che LOKDOWN e altri angloamericanismi hanno e stanno spopolando. Ridare valore alla nostra lingua …a tutte le lingue…significa difendere origini culture diversità autonomie. Significa per noi uscire da una subalternità culturale e politica che dura da “sempre”. Ma in questo momento c’è UN’URGENZA .”uscire da questa catastrofe che stiamo vivendo”. Io propongo la chiusura totale. Perchè siamo già in un baratro…
CHIUDERE TUTTO IN ITALIA E IN EUROPA
C’E’ UNA ACCELERAZIONE IN ATTO E BISOGNA PRENDERNE ATTO.CHIUDERE TUTTO E SUBITO è una necessità. Lo chiedono i medici gli anestesisti e gli infermieri. E sono quelli che hanno il peso la responsabilità e il polso della situazione. A questo punto non c’è un’altra strada. Continuare a inseguire “il virus”frazionando gli interventi aspettando o fondandoli su dati che sono spesso scarsamente attendibili, perché il “tracciamento” e il “contenimento” sono falliti gli ospedali scoppiano e si riempiono sempre più, rischia di diventare ancora più tragico del punto in cui siamo giunti. Gli unici che hanno UN VISSUTO REALE “probante” sono i medici e gli infermieri. Bisogna prendere atto che LE CLASSI DIRIGENTI mondiali, compresa l’OMS, hanno fallito. IL MODELLO OGGETTIVISTICO MATEMATICO ALGORITMATO dei CTS (comitati scientifici…) non ci ha salvati. La politica parla il linguaggio liberista dell’economia crescita PIL mercato…prima di tutto. E lorsignori insieme sono dentro un paradigma culturale che è la causa e l’origine del virus del riscaldamento globale e dell’inquinamento universale. I media sono variamente dentro la stessa logica, tranne pochi. I negazionisti sono il prodotto di una dimensione antropologica prodotta dalll’ideologia LIBERISTA. E di un ritorno di oscurantismo che nega la realtà si crogiola in un coacervo fatto di ignoranza affidamento ai “capi” paura alienazione perdita di radici e di senso e significato. E i popoli non hanno voce e possibilità di incidere e decidere. Vedere un “pagliaccio” che va in giro con una mascherina (intermittente a seconda del momento) con la scritta TRUMP, mentre tutto il mondo assiste con il fiato sospeso alla “sceneggiata” di questo pazzo criminale che ha perso le elezioni in modo palese ed evidente che nega la realtà come ha fatto con il cambiamento climatico e con il virus stesso causando la morte di centinaia di migliaia di persone e contagiando il suo stesso popolo e il mondo intero e che grida a BROGLI (come aveva già predetto!) e sta spingendo l’America alla “guerra civile”, è una cosa che fa ORRORE. Anche perché nessuno glie lo rinfaccia. E i media su cui scorazza il pagliaccio padano tacciono come hanno fatto con TRUMP in America…prima del risultato elettorale (quando hanno scoperto..che i fatti non c’erano) e per anni. D’altronde FONTANA e GALLERA dovrebbero stare in galera per quello che hanno fatto o non fatto a Marzo-Aprile…e che stanno continuando a fare e a non fare. De Luca dovrebbe essere ricoverato alla neuro. TOTI dopo le sparate criminali sugli anziani dovrebbe dimettersi subito. E il ministro Speranza ha ritirato il libro prima di “sputtanarsi” totalmente…o no? E CONTE SI BARCAMENA ma non ha più il polso della situazione. E dovrebbe vergognarsi assieme a MATTARELLA per i salamelecchi fatti a TRUMP IL CRIMINALE PAZZO. Possiamo salvarci solo se prendiamo le nostre vite nelle nostre mani. E questo in questo momento significa dire :prima le persone gli esseri umani (che sono tutti/e uguali e tutti/e hanno diritto alla vita). PRIMA LA SALUTE. Roveciando esattamente quello che lorsignori tutti hanno fatto finora e vogliono continuare a fare. Mettendo al primo posto ECONOMIA CRESCITA PROFITTO PIL FOSSILI INTERESSE PRIVATO…riproponendo con violenza un modello di società che ci ha portati alla CATASTROFE che stiamo vivendo. CHIUDERE TUTTO IN ITALIA E IN EUROPA. Perché il virus non si ferma ai confini delle nazioni. E in EUROPA siamo tutti i una condizione simile. Lo stesso andrebbe fatto in altre zone del mondo. Fino a debellare il virus. Lasciare aperto/i solo per IL CIBO e le FARMACIE. Dare a tutti il necessario e il sufficiente. Impedire le file ai supermercati considerando e favorendo tutta la piccola produzione agricola contadina naturale biologica e a Km “O”. E tornando nelle case all’auto produzione di pane pasta pizza…le consegne a casa di cibo da parte di schiavi con le biciclette è una vergogna DISUMANA. CAMBIARE STILI DI VITA. Ritrovare la natura il tempo gli affetti la vicinanza…e praticando sobrietà solidarietà reciprocità gratuità mutualismo dono comunanza redistribuzione…bandendo egoismo individualismo avidità maschilismo sessismo narcisismo razzismo….significa fare della tragedia che stiamo vivendo l’incubazione di UN’ALTRA UMANITA’ in pace con l’altro la natura e tutti i VIVENTI.
Gaetano Stella –Lago di CHIUSI -9/11
-passaparola! –http://blog.gaetanostella.it