Mai qualcosa di simile sarebbe potuto accadere nelle società del passato. Solo nelle favole…Le partite, il campionato, il calcio mercato, grazie alla TV, costituiscono forse la più sfolgorante costellazione della società dello spettacolo. Formano il cielo stellato dei divi, supereroi che possono godere di ingaggi milionari, che vivono al di sopra della mischia indistinta dei mortali, ammirati da folle adoranti che ne urlano il nome. I loro stipendi, introiti pubblicitari, premi-partita, ecc. l’intero sopramondo di privilegi in cui vivono immersi appare naturale, accettato come si accetta la supremazia della divinità. Nulla meglio del calcio mostra oggi come il divismo sia diventato la spettacolarizzazione delle disuguaglianze ad uso del popolo
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di Piero Bevilaqua
Già ad agosto, sulla pagina sportiva di Repubblica, si poteva leggere: «Austerity? In serie A è già finita». E proseguiva, «Big mai così spendaccione». Dunque lo sport più popolare del mondo torna ai fasti dei grandi acquisti di campioni, dei colpi clamorosi a suon di milioni di euro.Torna? Come se quei fasti li avesse per qualche momento abbandonati. Il calcio – sport meraviglioso, ça va sans dire – oltre a far sognare, dar senso alla vita, istupidire da una settimana all’altra centinaia di milioni di persone, è uno straordinario veicolo ideologico.
Della società dello spettacolo costituisce forse il mezzo più popolare e potente per fare accettare, come naturali, le disuguaglianze che lacerano la società del nostro tempo. Un ragazzo di 22 due anni è acquistato al prezzo di 40 milioni di euro? Guadagna in un solo giorno, da contratto, quanto un operaio non riuscirà mai a racimolare in una intera vita di fatica? Ma quel ragazzo è «una forza della natura», è «il terrore delle difese», «segna goal incredibili». Una giustificazione di merito, una gerarchia di valore, una speciale aristocrazia dello spirito vengono frettolosamente messi in piedi per giustificare l’accaparramento di immense fortune da parte di un singolo individuo.
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