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“Il bravo ragazzo” che sequestra e uccide interroga la responsabilità di tutti, perché per quanto siamo fuori dal delitto del singolo, ne siamo coinvolti come padri madri insegnanti educatori istituzioni informazione potere. La parola, il rumore necessario, spetta agli uomini innanzitutto. Per avere consapevolezza di chi e come si è, per riconoscere e decostruire il proprio ruolo e il proprio immaginario, dell’uomo che non deve chiedere mai – come suggerisce la pubblicità, che non piange come una femminuccia, che è nato per il successo, per essere vincitore, nella competizione continua con uomini e donne, che non può accettare la perdita l’abbandono il rifiuto, che è normale che sia lui a decidere controllare dominare, ad essere il primo, perché arrivare in una posizione sociale dopo una donna non è possibile, è una ferita inammissibile al proprio privilegio di maschio, al proprio narcisismo, al proprio bisogno di affermazione tra uomini e sulle donne a cui si chiede un continuo sostegno e di stare indietro o sotto.
“Il bravo ragazzo” interroga i singoli e la collettività, inquieta perché cresce in mezzo a noi e non dà segnali subito leggibili di aggressività e violenza.
Dove si forma il senso del sé? Dove s’impara a dare un nome alle emozioni e ai sentimenti? Dove s’impara a stare in una relazione in maniera sana, accettando le frustrazioni che vengono? Dove si apprende il limite, la soglia, la sconfitta? Il loro valore. Dove i bambini e le bambine diventano grandi? Dove sono ascoltati/e? Dove possono parlare dei loro disagi, del loro malessere?
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Dell’amore e del disamore? Della gelosia e del possesso? Della violenza che sentono dentro? Delle pulsioni? Del desiderio? Dove si possono sviluppare competenze preziose per costruire rapporti non disfunzionali? Per far fronte ai fallimenti? Ci sono pochissimi luoghi per un’educazione sentimentale che vada oltre il libro di Flaubert. Uno è la scuola. Ma schiacciata com’è sulla dimensione meritocratica e valutativa, non lascia grandi speranze. È nei tanti nonluoghi dove transitiamo senza incontrarci, senza entrare in relazione, in nonluoghi reali e virtuali con tutto il loro sciame di sessismo odio e aggressività, di pornografia, di isolamento precarietà solitudine e anelito al branco, che prende forma una diseducazione sentimentale che ci coinvolge tutti, a tutte le età.
Se c’è qualcosa da cui partire sono le parole di Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, di grande consapevolezza e di responsabilizzazione collettiva, e le parole dei due padri, di grande dolore pietà e perdono. Parole su cui rifondare il domani.
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