C’è una spinta dall’alto che devasta il clima e avvelena la terra, ci chiude nelle case per consumare energia sempre più costosa e digitalizza gusti, spostamenti e condizioni di salute di tutti. Non possiamo fare nulla per fermare quei processi, dicono quelli che sono in alto, nel migliore dei casi, chi sopravvive, può imparare a conviverci. L’ultima spinta, che in realtà in diversi angoli dimenticati del mondo è presente da tempo, è l’adattamento alla guerra quale condizione vicina nello spazio e permanente nel tempo. In questo scenario siamo in grado di abbandonare forme di lotta tradizionali, dall’organizzazione di cortei alla firma di petizioni, passando per le richieste al parlamento e le urne? Secondo Enrico Euli no, gli Stati sanno porsi sempre come i salvatori. Da una barchetta come Comune, la realtà, per dirla con Bloch, ci sembra però sempre dinamica, il “non-ancora” in qualche modo esiste già (si tratta di diventare ogni giorno, per quanto difficile, “consapevoli produttori della nostra storia”), ma di certo Euli ricorda un nodo cruciale: oggi affidarci agli Stati per trasformare il mondo finisce per rafforzare la spinta dall’alto
Disegno di Daniele Guadalupi
Dopo aver verificato, nell’esperimento Covid, la capacità di adattamento dei propri cittadini a regole, imposizioni e clima di terrore, gli Stati ora si avviano a nuovi esperimenti. L’adattamento ai cambiamenti climatici è già in corso: avendo deciso di fallire nella possibilità di arrestarli o anche solo di mitigarli e rallentarli, l’unica via che ci impongono è ormai solo quella di imparare a conviverci, coltivando la nuova esaltante virtù chiamata resilienza. Gli agricoltori, dopo essere stati illusi da pesticidi e brevetti, ora assistono impotenti alle grandinate ed alle gelate, alternate a siccità e inaridimenti. In città, ci chiudiamo in casa, a consumare energia sempre più costosa, sperando che regga il tetto di casa nostra e che il supermercato di sotto resti aperto e rifornito di merci sempre più care. L’adattamento al controllo completo delle nostre vite si insinua nello sviluppo totalitario della digitalizzazione e dell’informatizzazione dei nostri dati: preferenze, gusti, spostamenti, ingressi e uscite, condizioni di salute, documentazioni, trasgressioni. In questo caso, sono riusciti a ottenerlo senza neppure darci la sensazione di subirlo, ma come se fosse anzi un regalo, un’opportunità, una festa a cui non si può essere così folli da non partecipare.
Così come per il riscaldamento globale, milioni di atti collaborativi automatici – apparentemente ininfluenti, ovvii e ingenuamente incolpevoli – determinano un effetto di massa irrefrenabile, irreversibile e incorreggibile. Ora si avvia apertamente, anche per le popolazioni occidentali, il processo di adattamento alla guerra quale condizione vicina nello spazio e permanente nel tempo delle nostre brevi vite. Non sappiamo ancora con certezza quando, come e dove accadrà. Forse tra pochi giorni in Ucraina, forse altrove tra un po’.
Ma quel che è certo è che i popoli, nella loro maggioranza, daranno ancora supporto ai loro Stati nazionali, sorretti da autogiustificazioni più o meno credibili e apparentemente in contrasto con i loro stessi interessi (economici, sociali, esistenziali…). É già accaduto più volte nella storia, anche recente, e riaccadrà. In barba a qualunque analisi razionale dei costi-benefici e di qualunque teoria sull’attore razionale, di qualsiasi opposizione, come sempre. E in barba a qualunque differenziazione di regime: rispetto alla decisione di far guerra (ai russi, come ai virus) le democrazie rendono impotenti e obbligati i loro cittadini a seguirle quanto i regimi autocratici rispetto ai loro. Senza eccezioni di sorta. Lo vediamo in questi giorni, se non fossero bastati i due anni che li hanno preceduti: possiamo solo stare qui, in attesa delle loro decisioni, proseguire a far finta di vivere come se potessimo farlo davvero, e solo e soltanto adattarci a quel che sta per accadere, senza che si possa far nulla per arrestarlo o cambiarlo.
E quando anche la guerra ci avvolgerà, la finiremo di illuderci ancora che abbia senso votare parlamenti, firmare petizioni, organizzare cortei? No. Così come per l’inquinamento e per l’invadenza digitale, gli Stati sapranno porsi – proprio mentre proseguono a distruggere i delicatissimi equilibri della mente e del cosmo – anche come i nostri salvatori, in qualità di depuratori e garanti della privacy. E noi – incredibile dictu – ci crederemo, ci crederemo ancora.
Non è proprio o del tutto così. https://researt.net/?p=14656
Grazie, condivido pienamente…
Già…quando non ci credi più ti senti una foglia al vento però, il movimento ti aiuta a non essere bersaglio.