È il tempo del corto respiro, del dominio della velocità, della politica dei sondaggi e delle elezioni. “La rapidità con cui tutto, anche i sentimenti, viene consumato comprime il tempo”, spiega Marco Aime. È in questo scenario che le migrazioni sono pensate solo come emergenza. “I vari tentativi di erigere muri e barriere indicano l’incapacità e l’inadeguatezza di chi governa, di affrontare il fenomeno con un’ottica di medio o lungo termine”
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Viviamo in un’epoca di corto respiro, in cui l’orizzonte è talmente vicino che sembra di poterlo toccare con un dito. È una cifra della contemporaneità, vivere sempre di più alla giornata, pensare in piccolo. Anche la politica soffre di questa sindrome: non pianifica a lunga gittata, pensa in termini elettorali.
Così i partiti tradizionali sono sempre più deboli, mentre i populisti digitali o 2.0 incassano consensi. Il flusso, continuo e costante, di informazioni fa sì che gli eventi diventino facilmente planetari, perché incessantemente coperti e amplificati dai media. Il nostro immaginario viene sempre più deformato dalle finzioni che si susseguono nelle raffiche di informazioni che ci colpiscono ogni giorno. Tutto avviene sotto i nostri occhi, in tempo reale, e la dimensione del presente sembra dilatarsi sempre di più. La rapidità con cui tutto, anche i sentimenti, viene consumato comprime il tempo. Il qui e ora diventano preponderanti rispetto al tempo passato e a quello a venire. Il futuro oggi non è più visto come promessa di tempi migliori; al contrario, viene percepito, da società sempre più fragili, come inquietante e pericoloso. È venuta meno la fede nel progresso che aveva caratterizzato i tre secoli precedenti. La società perde dunque il carattere di un progetto da mettere in atto politicamente, sembra aver esaurito le proprie energie utopiche e le risorse di senso.
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Questo è tanto più valido se pensiamo ai fenomeni migratori: ogni intervento da parte dei singoli stati o dell’Unione europea è quasi sempre improntato all’emergenza. Quest’ultima parola, peraltro, dopo ormai tre decenni di arrivi, dovrebbe essere abolita dal lessico politico-giornalistico. I vari tentativi di erigere muri e barriere indicano, invece, l’incapacità e l’inadeguatezza di chi governa, di affrontare il fenomeno con un’ottica di medio o lungo termine (leggi anche I muri dopo la caduta del muro, ndr). Prendere atto che si tratta di un fatto epocale, che non può essere bloccato, ma deve essere gestito in modo razionale e umano. Anche perché l’Europa invecchia e ha bisogno di forze nuove.
Invece no. La politica, abdicando al suo ruolo, non propone più una determinata visione del mondo, ma seguendo i sondaggi, fa solo ciò che conviene nell’immediato.
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Pubblicato su Nigrizia e qui con il consenso dell’editore.
*Docente di antropologia culturale presso l’università di Genova, è autore di numerosi libri di saggistica (tra cui Eccessi di culture e Il dono al tempo di Internet per Einaudi, Etnografia del quotidiano e La macchia della razza per eleuthera) e di alcuni libri di narrativa e per bambini.
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