La terza vita di uno zapatista che ha fatto a pezzi l’identità e molti degli stereotipi del leader rivoluzionario. Nell’ottobre più nero della storia della Palestina, quello di uno dei massacri più atroci delle guerre “moderne”, torna Marcos. Non più Subcomandante, sebbene al mondo intero fosse più noto come el sup, ma Capitán Insurgente, un grado inferiore, secondo la gerarchia convenzionale, lontana anni luce dalla cultura politica dell’esercito meno esercito che si sia mai visto sul pianeta Terra, quello dell’Ezln. Dopo la morte simbolica del maggio 2014, quando el sup, comandante militare e portavoce degli zapatisti, salutò spiegando che non c’era più bisogno del personaggio Marcos, che chi lo aveva creato doveva avere la libertà di poterlo distruggere, il personaggio. Che la morte se ne sarebbe andata via, ingannata, tra luci e ombre, da un indigeno che assumeva il nome di Galeano, in omaggio a un maestro assassinato dai paramilitari a La Realidad, e che ci augurava buone albe. Galeano, però, ci viene spiegato adesso, muore come è vissuto: infelice. E si raccomanda di tenerlo vivo nel solo modo concepibile nelle geografie e nei calendari altri del mondo che contiene mondi zapatista, quello della lotta. A noi non resta che immaginare il divertito sorriso di Marcos nel leggere i commenti alla notizia di una morte “che non interessa a nessuno” (come accade, nei fatti, per quella di diecimila palestinesi) che si affannano a interpretare, a far capire senza dire che Marcos assumerà “un ruolo più defilato”. Ancora? Defilato da cosa? Si può essere defilati da una lotta? Non capiranno mai che “questo non ha importanza, non ne ha mai avuta”. Quel che ha importanza, come quasi sempre accade, va cercato con pazienza e umiltà tra le righe fluviali e impertinenti della prosa di Marcos. Eppure, è così semplice, la chiave s’incontra camminando tra le righe, come sempre in forma di domanda. La domanda di una piccolissima donna che alza la mano per chiedere la parola ma scende dalla sedia su cui era salita per farsi vedere: chi ci pensa ai bambini? Con chi parlerò? E dove andremo a giocare? Bienvenido, Capitán
Il SupGaleano è morto. È morto come è vissuto: infelice. Ma sì, prima di morire, si è preoccupato di restituire il nome a colui che è carne e ossa ereditati dal maestro Galeano. Ha raccomandato di mantenerlo vivo, ovvero, di lottare. È così che Galeano continuerà a percorrere queste montagne.
Per il resto, è stata una cosa semplice. Ha iniziato a balbettare qualcosa come “lo so che sono finito, finito, finito”, e, subito prima di spirare ha detto, o meglio ha chiesto: “I morti starnutiscono?”, e basta. Queste sono state le sue ultime parole. Nessuna citazione da lasciare alla storia, né da scolpire su una lapide, né degna di un aneddoto da raccontare davanti al fuoco. Solamente questa domanda assurda, anacronistica, estemporanea: “I morti starnutiscono?”.
Poi è rimasto immobile, sospesa la stanca respirazione, gli occhi chiusi, le labbra finalmente ammutolite, le mani contratte.
Stavamo andandocene quando, uscendo dalla baracca, ormai sulla soglia della porta, abbiamo udito uno starnuto. Il SubMoy si è voltato a guardarmi e io ho guardato lui, pronunciando un “salute” appena accennato. Nessuno dei due aveva starnutito. Ci siamo girati dove si trovava il corpo del defunto e, nulla. Il SubMoy ha solo detto “buona domanda”. Io non ho proferito parola, però ho pensato “sicuramente la luna sarà finita nell’orbita di Callao” [Citazione della canzone in difesa della follia “Balada para un loco” di Adriana Verela – n.d.t.].
Vero, ci siamo risparmiati la sepoltura. Ma ci siamo pure persi caffè e tamales.
Lo so che a nessuno interessa l’ennesima morte, e men che meno quella del defunto SupGaleano. In verità, vi racconto tutto questo perché è lui che ha lasciato quella poesia di Rubén Darío (“Los motivos del lobo“, Le ragioni del lupo) con cui inizia questa serie di testi:
Tralasciando l’evidente ammiccamento al Nicaragua che resiste e persiste – che si potrebbe anche vedere come riferimento all’attuale guerra dello Stato di Israele contro il popolo palestinese, anche se, al momento della sua morte, non era ancora ripreso il terrore che sconvolge il mondo –, ha lasciato questa poesia come riferimento. O meglio come risposta a qualcuno che ha chiesto come spiegare quello che sta succedendo in Chiapas, in Messico e nel mondo.
E, naturalmente, come discreto omaggio al maestro Galeano – dal quale aveva ereditato il nome –, ha lasciato quello che ha definito un “controllo di lettura”: Chi ha cominciato? Chi è il colpevole? Chi innocente? Chi è il buono e chi è il cattivo? In che posizione si trova Francesco d’Assisi? Perde lui, il lupo, i pastori o tutti? Perché l’Assisi concepisce che si faccia un accordo basandosi solo sul fatto che il lupo rinunci a essere ciò che è?
Sebbene ciò sia avvenuto mesi fa, il testo ha scatenato accuse e discussioni che continuano ancora oggi. Quindi ne descrivo una.
È una specie di riunione o di assemblea, o qualcosa come una tavola rotonda. C’è il meglio del meglio: dotti specialisti tuttologi, militanti e internazionalisti di qualsiasi causa, meno quella della loro geografia, spontaneisti con dottorati in social network (la maggioranza), e chi, vedendo il parapiglia, viene a vedere se si regalano borse, cappellini o magliette con il nome di qualche partito. Parecchi si sono fatti avanti per capire di cosa si trattava.
“Non sei altro che un agente del sionismo imperialista ed espansionista”, ha gridato uno.
“E tu sei solo un propagandista del terrorismo arabo musulmano fondamentalista!” – rispondeva un altro furioso.
C’erano già stati diversi scontri, ma ancora non si era andati oltre qualche spintone del tipo: “ci vediamo fuori”.
Si è arrivati a questo punto perché si sono messi ad analizzare la poesia di Rubén Darío “Los Motivos del Lobo”.
Non tutto era stato uno scambio di aggettivi, frecciatine e smorfie. Era iniziato tutto come al solito da quelle parti: buone maniere, frasi incisive, “interventi brevi” – spesso della durata di mezz’ora o più – e una profusione di citazioni e note a piè di pagina.
Prettamente al maschile, ovviamente, perché il dibattito è stato organizzato dal cosiddetto “Toby Hipertextual Club”.
“Il Lupo è il buono”, ha detto qualcuno, “perché ha ucciso solo per fame, per necessità”. “No – sostiene un altro – è lui il cattivo perché ha ucciso le pecore che erano il sostentamento dei pastori”. E lui stesso ha riconosciuto che “a volte ha mangiato agnello e pastore”. Ancora uno: “I cattivi sono gli abitanti, perché non hanno rispettato l’accordo”. E un altro: “la colpa è dell’Assisi, che ottiene l’accordo chiedendo al lupo di smettere di essere lupo, fatto discutibile, e poi non resta a mantenere il patto”. E un altro ancora: “Ma l’Assisi sottolinea che l’essere umano è malvagio di natura”.
Si controbattono l’un l’altro. Ma si capisce che se in questo momento si facesse un sondaggio, il lupo vincerebbe con un abbondante vantaggio a due cifre sul villaggio di pastori. Ma un’abile manovra sui social network ha ottenuto che l’hashtag “lupoassassino” fosse TT molto più di #morteaipastori. Quindi il trionfo degli influencer pro-pastore su quelli pro-lupo è stata netta, anche se solo sui social network.
Qualcuno ha argomentato a favore di due Stati sullo stesso territorio: lo Stato Lupo e lo Stato Pastore. E qualcun altro su uno Stato Plurinazionale, con lupi e pastori che convivono sotto lo stesso oppressore, scusate volevo dire lo stesso Stato. Un altro ha risposto che questo era impossibile visti i precedenti da ambo le parti.
Un signore in giacca e cravatta si alza e chiede la parola: “Se Rubén (così ha detto, omettendo Darío), è partito dalla leggenda di Gubbio, allora possiamo fare lo stesso. Diamo continuazione al poema”:
“I pastori, avvalendosi del loro legittimo diritto di difendersi, attaccano il lupo. Prima distruggono la sua tana con i bombardamenti, poi entrano con i carri armati e la fanteria. Mi sembra, onorevoli colleghi, che la fine sia scontata: la violenza terroristica e animale del lupo viene annientata e i pastori possono continuare la loro vita bucolica, tosando le pecore per una potente impresa multinazionale che produce abbigliamento per un’altra impresa multinazionale altrettanto potente che, a sua volta, è debitrice di un’istituzione finanziaria internazionale ancora più potente; questo porterà i pastori a diventare efficienti lavoratori della propria terra – ovviamente con tutti i benefici di legge sul lavoro – ed eleverà questo villaggio ai livelli del primo mondo, con autostrade moderne, edifici alti e persino un treno turistico dove i visitatori di tutto il mondo potranno apprezzare le rovine di quelli che un tempo erano prati, boschi e sorgenti. L’annientamento del lupo porterà pace e prosperità nella regione. Certo, alcuni animali moriranno, non importa il numero o la specie, ma sono semplicemente danni collaterali perfettamente trascurabili. Dopotutto, non si può chiedere alle bombe di distinguere tra un lupo e una pecora, né di limitare la loro onda d’urto per non danneggiare uccelli e alberi. La pace sarà conquistata e il lupo non mancherà a nessuno”.
Qualcuno si alza e dice: “Ma il lupo ha il sostegno internazionale e ha abitato quel luogo già da prima. Il sistema ha abbattuto gli alberi per farne pascoli e questo ha alterato l’equilibrio ecologico, riducendo il numero e le specie di animali che il lupo mangiava per vivere. E bisogna aspettarsi che i discendenti del lupo si prendano la giusta vendetta”. “Ah, quindi il lupo ha ucciso anche altri esseri. È proprio come i pastori”, replica qualcuno.
Così hanno continuato, adducendo argomenti altrettanto buoni di quelli qui indicati, pieni di ingegno, colmi di erudizione e riferimenti bibliografici. Ma la moderazione è durata poco: si è passati dal lupo e pastori alla guerra Netanyahu–Hamas e la discussione è salita di tono fino ad arrivare a ciò che fa capo a questo aneddoto, per gentile concessione post mortem dell’ormai defunto SupGaleano.
Ma in quel momento, dal fondo della sala, si è alzata una piccola mano per chiedere la parola. Il moderatore non riusciva a vedere di chi fosse la mano, così ha concesso la parola “alla persona che ha alzato la mano là in fondo”.
Tutti si sono girati a guardare e stavano quasi per lanciare un urlo di scandalo e riprovazione. Era una bambina che teneva in braccio un orso di peluche grande quasi quanto lei, che indossava una camicetta bianca ricamata e pantaloni con un gattino sulla gamba destra. Comunque, il classico “outfit” per una festa di compleanno o qualcosa del genere.
La sorpresa era tale che sono tutti rimasti in silenzio con gli sguardi fissi sulla bambina. Lei si è messa in piedi sulla sedia pensando che così l’avrebbero sentita meglio e ha chiesto: “E i bambini?”. La sorpresa si è trasformata in un mormorio di condanna: quali bambini? Di cosa parla questa bambina? Chi diavolo ha fatto entrare una donna in questo sacro recinto? E peggio ancora, è una donna bambina!”. La bambina è scesa dalla sedia e, sempre portando con sé il suo orsacchiotto con evidenti segni di obesità – l’orso ovviamente -, si è diretta verso la porta d’uscita dicendo: “I bambini. Ovvero, i cuccioli del lupo e i cuccioli dei pastori. I loro piccini. Chi ci pensa ai bambini? Con chi parlerò? E dove andremo a giocare?”.
Dalle montagne del Sudest Messicano
Capitán Insurgente Marcos
Messico, ottobre 2023
P.S.- Libertà incondizionata per Manuel Gómez Vázquez (ostaggio dal 2020 del governo statale del Chiapas) e José Díaz Gómez (ostaggio dall’anno scorso), indigeni basi di appoggio zapatiste imprigionati per questo, per essere zapatisti. E poi non chiedetevi chi ha seminato ciò che raccogliete.
P.S.- Uragano OTIS: Centro di raccolta per i popoli originari dello stato di Guerrero: nella sede della Casa de los Pueblos “Samir Flores Soberanes”, in Av. México-Coyoacán 343, colonia Xoco, Alcaldía Benito Juárez, Ciudad de México, C.P. 03330. Versamenti e bonifici bancari a sostegno di questi popoli e comunità su Conto Corrente Numero 0113643034, CLABE 012540001136430347, codice SWIFT BCMRMXMMPYM, della banca BBVA México, succursale 1769. A nome di: “Ciencia Social al Servicio de los Pueblos Originarios”. Telefono: 5526907936.
Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/10/29/segunda-parte-los-muertos-estornudan/
Traduzione: “Maribel” – Bergamo https://chiapasbg.com/2023/10/30/seconda-parte-i-morti-starnutiscono/
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