Stralci di un articolo pubblicato da Adista.
(…) Sforzi di Sisifo hanno accompagnato esseri umani e animali nei millenni. Grandi opere architettoniche, incredibili infrastrutture e svariate produzioni realizzate hanno avuto come cemento l’energia di milioni di persone schiave o comunque sfruttate; per non dire dei servi a quattro zampe. Ma nella stessa attualità ipertecnologica la fatica fisica non è affatto svanita. E continua a essere distribuita in modo del tutto squilibrato: è una delle maggiori ingiustizie planetarie. Esistono ancora e lavorano ogni giorno per molte ore – pancia vuota e malattie come compagni – gli spaccapietre a mano, i portatori e le portatrici di pesi (di acqua e di legna), i taglialegna, i minatori sottoterra, i contadini con attrezzi agricoli manuali nient’affatto ergonomici contro zolle dure magari sotto un sole torrido.
All’estremo opposto c’è chi si fa servire così totalmente dalle macchine, anche nei gesti meno faticosi. Come gli estremi dell’obesità e della fame, sia l’eccesso di sforzo fisico sia la sua totale assenza hanno conseguenze deleterie. (…) Il clima e le risorse naturali non possono reggere una totale delega della fatica alle energivore macchine (che è difficile pensare di poter alimentare completamente con fonti rinnovabili).
Ecco perché Rio+20 – la Conferenza dell’Onu sullo sviluppo sostenibile che si terrà fra poco a Rio de Janeiro – dovrebbe nominare molte volte la fatica fisica e la sua distribuzione. Il superamento dello sforzo bestiale (anche letteralmente) e prolungato è un fatto di giustizia e di benessere e deve avvenire in chiave ecologica e sostenibile. Tecniche, tecnologie, attrezzature e strutture antifatica per i poveri da una parte, e risparmio dell’energia meccanica pletorica dall’altra. Insomma la redistribuzione dei pesi come parametro guida della giustizia ecologica e sociale. (…) L’organizzazione del sistema non ci permette di applicare ora questa utopia. Ma di avvicinarcene sì. Riappropriamoci dell’energia delle mani e dei piedi per usi utili. Dalla locomozione (ha forse senso correre in macchina in palestra? Evviva i ciclisti e i pedoni) alle incombenze quotidiane (basta con la pletora di elettrodomestici, evviva un po’ di “manodomestici”) all’autoproduzione (per chi può avere un orto o un laboratorio). Facciamo tacere il più possibile motori, spine elettriche, batterie e pile. E contestiamo un’assurdità diffusa: la fatica del dover sopportare riscaldamenti surriscaldanti e aria condizionata polare… Vera inversione del benessere.
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