Dovremmo smettere di pensare che grassa equivalga a pigra, sciatta, indegna. Secondo Leah Vernon, autrice di Senza vergogna: riflessioni di una grassa nera musulmana, il proprio corpo può sempre diventare un simbolo di ribellione e speranza per realizzare quei cambiamenti culturali profondi di cui abbiamo tutti e tutte bisogno
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«“Sembro grassa con questo?“. Sento per caso una ragazzina dalla taglia ordinaria chiederlo a un’amica nel camerino accanto al mio, mentre io – una vera persona grassa – sono al quinto indumento che non passa oltre le mie cosce e il mio didietro. Sono indumenti “della mia taglia ma non proprio”, giacché molti abiti non corrispondono alla taglia che dichiarano. Resto là, stuzzicata del suo commento, mentre un altro paio di jeans giace alle mie caviglie. “Sembro grassa con questo?” è una frase che molte di noi usano, hanno usato o hanno sentito dire da altre. Quel che significa davvero è: “Sono brutta?” Significa che nessuna vuol sembrare grassa perché pensa che grassa equivalga a pigra, sciatta, indegna. Significa “Non posso essere uno sballo con questo vestito se mi fa apparire come se avessi un chilo in più”. Una frase del genere urla “insicurezza” da parte di chi la dice. (Lo affermo e sostengo!). Quando qualcuna la rivolge a me, io la guardo e replico: “Be’, io sono grassa”. La persona in questione diventa rossa in faccia, sgrana gli occhi. “No, no – balbetta – Non sei grassa!”. Oh sì che lo sono».
«Sono grassa e nera. Grassa e musulmana. Grassa e sto bene. Grassa e vulnerabile. Grassa e atletica. Grassa e grande viaggiatrice. Grassa non è una parolaccia. Perciò, smettete di usare tale parola per descrivere le vostre insicurezze».
Leah Vernon, in immagine sopra, è una video-blogger, stilista, conferenziera e scrittrice. Nello scorso ottobre è uscito il suo libro autobiografico Unashamed: Musings of a Fat Black Muslim. – “Senza vergogna: riflessioni di una grassa nera musulmana”.
![unashamed](https://lunanuvola.files.wordpress.com/2019/11/unashamed.jpeg?w=500)
È un testo dall’onestà “feroce”, dove l’autrice dà conto del processo che l’ha portata a considerare il proprio corpo un simbolo di ribellione e speranza.
Povertà, le regole e i gli stereotipi di genere specifici per essere una “brava ragazza musulmana”, un padre perdigiorno e una madre affetta da disagio mentale, dieci anni di matrimonio con un uomo violento, un’interruzione volontaria di gravidanza praticata in segreto: Leah ha vissuto tutto questo e ne è uscita come un raggio di sole da una nube.
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