Non si può chiedere a un olmo di fare delle pere. La strage di Nochixtlán dimostra ancora una volta che le forze che dovrebbero tutelare la sicurezza dei cittadini e il rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione agiscono come bande di criminali. Era accaduto ad Ayotzinapa contro 43 studenti inermi, è successo di nuovo in risposta alla ribellione dei maestr@s di Oaxaca e di tutto il resto del Messico. Inutile, adesso, pensare che siano gli stessi responsabili politici dei massacri a inventare una soluzione per fermare il disastro che si profila. La sola via percorribile è governarci da soli, scrive Gustavo Esteva dalla capitale dello Stato più meridionale el Messico. Un’esperienza che nasce in circostanze tanto critiche non potrà che rivelarsi molto utile in seguito
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di Gustavo Esteva
Rintanati nel loro vicolo cieco, i governanti sconcertati e patetici cercano una via d’uscita impossibile per salvare la loro reputazione: non possono disconoscere né riconoscere la propria ignominia, il fatto che le loro forze di sicurezza hanno agito a Nochixtlán, come ad Ayotzinapa, come bande di criminali. La formula logora del capro espiatorio non funziona più. La campagna mediatica produce effetti contrari a quelli desiderati. Disperati, sembrano disposti a lanciarsi nel precipizio, a qualunque costo. E sarebbe un costo enorme per tutti.
Nella cerimonia funebre di uno dei ragazzi assassinati a Nochixtlán, il figlio di un maestro, responsabile della sanità nel cabildo di Apazco, martedì 21 giugno sentivamo tutti il dolore della famiglia. Ancor più ci ha commosso la riflessione del padre. Si, questo era il prezzo che dovevamo pagare. Però la lotta deve continuare, non può arrestarsi qua. Non sono i primi morti, non saranno gli ultimi. Non c’è altra via. Stiamo imparando nella lotta cose così.
Due giorni dopo, in una riunione di produttori contadini nella Regione Mixteca, la discussione è stata molto veemente. È rimasto in sottordine il motivo che li aveva riuniti. Sentivano come propria l’aggressione ai maestri, non si mobilitavano più per pura solidarietà. Erano giunti al limite. Era il momento di lottare per sé, per la propria sopravvivenza, convinti che uniti sarebbe possibile cambiare uno stato di cose intollerabile.
Si moltiplicano i fronti di lotta con modalità e stili assai diversi. La Mixteca e Monterrey non sono la stessa cosa. Ciò che appare chiaro è che la lotta dei maestri articola malcontenti generalizzati che cercano il modo migliore di esprimersi.
I governi, i media commerciali, gli imprenditori, i cosiddetti poteri di fatto, continuano a gridare al cielo le sfide che affrontano. Cercano ragioni e pretesti che giustifichino la mano dura, a cui preparano l’opinione pubblica. Alcune persone comuni condividono la loro esigenza di ristabilire l’ordine.
Dall’alto si insiste così a sostenere che il tempo si esaurisce e urge ridare tranquillità ai milioni di cittadini che ne sono stati privati. Come sia stata perduta, quella tranquillità, viene nascosto sotto il tappeto. I maestri hanno cercato in tutti i modi possibili una soluzione prima di giungere all’attuale situazione. Tre giorni prima delle elezioni dello scorso anno, il governo ha rotto il negoziato e rifiutato di riprenderlo fino a quando la strage di Nochixtlán non lo ha obbligato a farlo.
Nell’agenda ufficiale del dialogo c’è Nochixtlán, per il quale il governo pretende di compensare il danno con rimborsi esclusivamente economici. Può arrivare invece a porre problemi di lavoro come licenziamenti arbitrari, riduzioni e trattenute sui salari, fino ai prigionieri politici e altre sopraffazioni. Ma nulla di più, nulla sul cuore del problema. Non capiscono la reazione della gente. Quando una delle vittime di Nochixtlán dice che erano sul luogo degli avvenimenti perché questa riforma debba essere cancellata, loro sentono il bisogno di attribuire questo comportamento alla manipolazione, a motivi ideologici e perfino, come in Chiapas, all’ingerenza di gruppi estremisti. Non vogliono prendere atto della realtà.
Le autorità stanno riesumando la peggiore delle lezioni tratte dalla mobilitazione di dieci anni or sono. Nel 2007, quando fu creata la commissione per investigare su quanto accaduto a Oaxaca, la Corte Suprema si disse consapevole del fatto che i corpi di polizia avevano colpito fisicamente un gran numero di persone in modo crudele e inumano, con feriti, torturati e morti, e affermò che si era prodotta una sospensione di fatto delle garanzie costituzionali. La Corte sembrava interessata a fare giustizia. Ciò che fece, invece, fu riconoscere un certificato d’impunità ai colpevoli. Le sembrò che l’impiego della forza pubblica fosse legittimo… sebbene tardivo: avrebbero dovuto fare prima ciò che poi fecero. Contro il proprio statuto e le sue stesse parole, la Corte decretò che le autorità possono e devono violare le garanzie costituzionali.
Le autorità vogliono oggi ripararsi dietro questo paravento. Lasciano liberi in questo modo tutti i nostri demoni. Di fronte al disastro che si profila, la fonte di speranza può vivere nella possibilità che sia la gente stessa a esercitare dal basso capacità di governo, constatando che in alto questa capacità si è persa. Si sono già mossi i primi passi in questa direzione, come mostrano i cambiamenti nella strategia della mobilitazione.
Cittadini e cittadine comuni, sulle barricate come tra dirigenti della CNTE, dobbiamo assumere decisioni di governo. I maestri di Oaxaca possono impegnarsi a sviluppare il loro Programma di Trasformazione dell’Educazione, con il suo sensato sistema di valutazione e le sue innovazioni pedagogiche. Cominceremmo così, a prescindere dall’inerzia delle burocrazie corrotte della SEP (Segreteria di Educazione Pubblica, cioè il Ministero ndt) sul contenuto e sulle forme del processo educativo.
In ogni caso, sarebbe suicida continuare a chiedere le pere all’olmo, sperando che queste classi politiche facciano ciò che serve. Tocca a noi tutti e noi tutte. E farlo in questa circostanza critica ci servirà di esperienza per quanto seguirà.
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Fonte: la Jornada (traduzione per Comune di Camminar Domandando)
Camminar Domandando è una rete di relazioni impegnata nella traduzione e diffusione delle voci provenienti dal mondo latino americano radicato in basso e a sinistra, con una particolare attenzione al variegato mondo indigeno. Sul nostro sito sono gratuitamente consultabili e scaricabili articoli, libri e quaderni di cui abbiamo curato la traduzione. Tra i tanti autori: Gustavo Esteva, Jean Robert, Raul Zibechi, Pablo Davalos.
L’adesione di Gustavo Esteva alla campagna Ribellarsi facendo
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