Ogni due tre anni, in Italia, i mass media lanciano l’emergenza incendi, come nel resto dei paesi dell’Europa mediterranea. È diventato un rituale stucchevole: solite denuncie (…). I dati forniti dal Corpo Forestale dello Stato ci mostrano, fra l’altro, che i fuochi scoppiano nel circa 50 per cento dei casi in territori che hanno già subito incendi negli ultimi cinque anni. Se gli incendi sono ricorrenti, almeno per la metà, perché non concentrare la prevenzione su queste aree?
Chi scrive durante la presidenza del Parco nazionale dell’Aspromonte ha provato a dare una risposta concreta alla piaga degli incendi, considerando la difesa dei boschi un fatto prioritario per un’area protetta, un «bene comune» che deve essere tutelato ricostruendo un legame tra abitanti e territori che è saltato da diversi decenni. Partendo da queste premesse, il sistema di lotta agli incendi, sperimentato per cinque anni nel Parco nazionale dell’Aspromonte, si è basato sui «contratti di responsabilità sociale e territoriale» con cui l’Ente Parco affidava alle associazioni di volontariato parti del territorio calcolando un costo medio per ettaro, senza fare gare al ribasso, e dando un premio di risultato se la superficie bruciata non superava l’1 per cento del territorio affidato. Inoltre, ogni anno, a fine stagione le associazioni che avevano conseguito i migliori risultati venivano premiate simbolicamente dall’Ente Parco con una cerimonia pubblica che valorizzava chi si era impegnato nella salvaguardia del territorio.
I dati sono questi: rispetto alla media degli anni ’90, la superficie bruciata – boscata e non – nel periodo 2000-05 è diminuita di quasi il 90%. Un risultato straordinario (…). Perché, mi sono chiesto molte volte, una buona pratica che costava poco (intorno ai 200 mila euro l’anno) e dava ottimi risultati non è stata generalizzata? La prima risposta che mi sono dato è che questa buona pratica aveva un difetto di fondo: costava troppo poco e non lasciava spazio per appalti e tangenti. La seconda è che nel tempo si è creata una informale industria degli incendi che mette insieme una pluralità d’interessi che è difficile da contrastare.
C’è una società privata, la Sma spa, che offre alle regioni, soprattutto meridionali, il suo contributo nella lotta agli incendi attraverso gli elicotteri. Negli anni scorsi, secondo dati pubblicati dal Sole 24 ore, per i soli mesi estivi la regione Puglia ha pagato 32 milioni di euro e la regione Campania 50 per questo servizio di spegnimento. Poi ci sono gli operai idraulico-forestali che possono fare gli straordinari solo quando si è in presenza di incendi non facilmente domabili. Ancora: in passato ci sono stati i fondi europei per il rimboschimento e la speculazione in aree di particolare pregio che hanno fatto la loro parte, prima che la legge recente impedisse di costruire nelle aree bruciate. Insomma, c’è un coacervo di interessi che vanno nella direzione della distruzione del patrimonio naturale.
Ogni incendio mette in moto Canadair della Protezione Civile, con il costo di 2.500 euro l’ora, squadre di vigili del fuoco, società private, ore di straordinario, ecc. Insomma, anche gli incendi fanno crescere il Pil. Allo stesso tempo, procurano danni enormi, non solo quando bruciano boschi secolari, ma anche quando gli elicotteri ed i canadair prelevano l’acqua salata dal mare e la gettano sui terreni agricoli. La salinizzazione delle colline calabresi, campane, siciliane, liguri, toscane ecc. è ormai un dato di fatto, anche se decisamente sottovalutato.
(…) Lo stesso ragionamento lo possiamo applicare all’altra emergenza ricorrente (e quindi falsa): il dissesto idrogeologico (…). Ma, per non essere i soliti catastrofisti, permetteteci una nota di ottimismo: per gli incendi, come per le alluvioni, ci ha già pensato il governo Monti. Grazie alla spending review, verranno tagliati i fondi ai vigili del fuoco ed alla protezione civile. (…)
Ampi stralci di un articolo pubblicato da il manifesto l’11 agosto 2012.
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