Il World social forum di Tunisi è la prima volta di molte cose. Tra queste anche la presenza di realtà locali che hanno deciso di aderire partecipando e organizzando eventi. Un esempio? La delegazione della Val di Susa del movimento No Tav che ha promosso insieme ad altri comitati una piattaforma dal titolo «Stop Grandi Opere inutili e Imposte». Una piattaforma internazionale (www.presidioeuropeo.net) ci spiega Paolo Prieri di collaborazione e di scambio di informazioni tra i movimenti popolari che si oppongono a grandi progetti che vengono giudicati inutili e dannosi per i cittadini, che sprecano una grande quantità di denaro pubblico e hanno come unico fine la speculazione finanziaria e l’arricchimento delle lobby.
Nella sala M212 della facoltà di scienze troneggia un grande banner con 7 elefanti bianchi che portano in groppa i somboli di altrettanti grandi progetti tra le quali c’è la No Tav. Prieri spiega il simbolismo di questo loro nuovo logo che ha anche già sfilato in Val di Susa all’ultima manifestazione. L’elefante bianco, ci racconta, lo hanno proposto gli inglesi che si sono ispirati alla tradizione indiana. L’elefante bianco è sacro in India, quindi non può lavorare e dunque chi lo possiede è praticamente un uomo rovinato in quanto lo può solo mantenere senza ottenere niente in cambio. Ridendo scherzando Prieri fa anche la battuta che proprio da Tunisi sono partiti gli elefanti di Annibale che poi si sono arrenati proprio tra le montagne della Val di Susa.
Il racconto di Hassan
A Tunisi il Forum delle grandi opere inutili e imposte ha organizzato tre seminari sul tema correlati alle lotte popolari e che fanno parte dell’Assemblea di convergenza delle lotte.
Primo appuntamento con un giovane che si chiama Hassan, arriva dal Marocco per raccontare la storia dell’Alta velocità Casablanca-Tangeri. Spiega l’assurdità di questa grande opera voluta dal Re Mohamed VI e sponsorizzata dal presidente Sarkozy. Annunciato nel 2008 in concomitanza della visita del presidente francese a Tangeri, il progetto dell’autostrada è stato presentato ufficialmente ad inizio 2010, ed è entrato in fase operativa dal settembre scorso. Ma il «capriccio» di Mohammed VI, prontamente avallato dalla classe politica, si sta scontrando con l’opposizione della società civile che critica i gravosi oneri di un’opera lontana dalle priorità del paese. L’idea di dotare il Marocco di un Tgv risale al 2003, quando l’Oncf (Office national des chemins de fer, l’azienda ferroviaria nazionale) aveva commissionato alla società francese Systra uno studio preliminare sull’impatto socio-economico della linea ad alta velocità Casablanca-Marrakech-Agadir. Va sottolineato che la tratta al momento è sprovvista tuttora di un normale collegamento ferroviario, mentre quello autostradale è stato inaugurato solo nel 2010. A parte questo, il progetto si base su un protocollo di intesa per la sua realizzazione, senza che nessuna valutazione di impatto sia stata resa pubblica e senza che nessun gara fosse promossa per realizzare l’opera. Costo dell’operazione 2,5 miliardi di euro, questo solo per iniziare.
A beneficiare della commessa dell’alta velocità marocchina sono state tre imprese francesi, la Sncf (Société nationale des chemins de fer, proprietaria del marchio Tgv), la Rff (Réseau ferré de France) e la multinazionale Alstom (per la fornitura dei materiali), oltre all’azienda ferroviaria nazionale a cui sarà affidata la gestione della nuova linea.
Hassan racconta di come questo progetto sia totalmente inutile per un paese dove la maggior parte della popolazione vive in povertà. Secondo i dati Undpta un quarto della popolazione vive sotto la soglia della povertà mentre il salario medio, per chi ce l’ha è di 200 euro al mese. Al posto della speculazione e della devastazione ambientale provocata dalla linea del Tgv, dicono i sostenitori del movimento «No Tgv!» i 25miliardi di dhirams, pari appunto ai 2,5 miliardi di euro, si potrebbero costruire 5.000 scuole o 3.000 licei nelle zone urbane, o alla costruzione di 25.000 scuole nelle zone rurali, o a 25 grandi centri ospedalieri con capacità di 2.2000 letti per gli ammalati, o ancora a 16000 centri socioculturali, biblioteche o centri sociali di quartiere, oppure a 16.000 chilometri di strade rurali.
I soldi dall’Arabia Saudita e gli interessi francesi
Il giovane Hassan si è però dovuto anche confrontare con l’ostinazione dei rappresentanti del movimento italiano che lo hanno incalzato per sapere come l’opera sia finanziata, da dove arrivano i soldi, chi li ha finanziati. Grazie all’aiuto di un giovane studente tunisino presente all’assemblea che si è offerto di fare da traduttore dall’arabo al francese, alla fine si è capito che a finanziare il progetto sono intervenuti soldi dall’Arabia Saudita, dal Kuwait e da Abu Dabi. Da parte francese sono arrivati in «regalo» 82 milioni di euro. Regalo che suona molto pratico visto quello che incasseranno le aziende francese per l’opera.
Ma i val susini non ancora contenti hanno voluto sapere la forza della mobilitazione, a che punto è l’opera. Hassan ha dovuto ammettere che la mobilitazione non cammina con le proprie gambe ma che è stato il Movimento 27 febbraio ad organizzare una giornata di lotta.
Hassan ha anche raccontato come questa opera se realizzata separerà intere famiglie e popolazioni. Infatti i binari dell’alta velocità non prevedono attraversamenti. E che i lavori sono partiti. La rivincita Hassan se la prende quando a chi gli chiedeva se si trattasse di colonizzazione francese o dei paesi arabi, ha risposto: «È una colonizzazione economica, non è importante di che colore sono i soldi».
La Val di Susa fa proseliti e non intende fermarsi. Due scout della delegazione sono a caccia al forum per incontrare i rappresentanti contro le dighe in India e in Iraq.
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