Non possiamo capire Gaza se non mettendo in relazione la particolarità del genocidio della popolazione perpetrato in quelle terre, con la riproduzione del sistema come processo di totalizzazione che implica da sempre la violenza, in tante forme diverse, come forma di esistenza. La storia dell’espansione del capitale è la storia dello sterminio di milioni di persone in America, Africa e Asia, è la storia delle schiavitù. È la storia di quella viene chiamata civilizzazione, di cui Gaza non è un’eccezione
Non è solo lo stato di Israele a perpetrare il genocidio a Gaza. È il sistema. Il genocidio a Gaza è l’espressione più chiara del suo spirito, del suo più profondo “Ethos”, mascherato in modo cinico ed eticamente insostenibile con le sembianze della democrazia liberale, oggi esibita in tutta la sua falsità, manifestando appunto ciò che tratta di nascondere, ossia essere l’ideologia di un universo violento.
Non possiamo capire Gaza se non mettendo in relazione la particolarità del genocidio della popolazione perpetrato in quelle terre, con la riproduzione del sistema come processo di totalizzazione che implica la violenza come forma di esistenza, con la “nuda vida” inerente al capitale. La verità del genocidio in particolare, e della violenza moderna in generale, è che si trovano nel cuore stesso del sistema, costituendo il vero “spirito” del capitalismo.
Max Weber cercò di sublimare la questione delle origini del capitalismo nella teoria di una etica del lavoro e della salvazione individualista, nel suo noto saggio/trattato L’etica protestante e lo spirito del Capitalismo dove fece astrazione della violenza. Il liberalismo come narrativa dominante, riproduce questa costruzione ideologica. Le parole chiave che nominano il sistema (progresso, civilizzazione, modernità, democrazia, ecc) omettono, eludono o innalzano, questa dimensione ominosa della dominazione.
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La violenza quindi è lungi dal derivare dalle relazioni sociali antagonistiche che costituiscono il sistema, questa stessa si presenta nel discorso dominante come parte del così chiamato processo civilizzatore. Nel migliore dei casi, come un male minore e necessario nel percorso dell’umanità verso il progresso. Lo sterminio di milioni di persone in America, Africa e Asia, la propria schiavitù come aspetto dell’espansione territoriale del capitale e della creazione di una storia unica nel mercato mondiale, appaiono come risultati della civilizzazione, come superamento della barbarie. Il genocidio e i saccheggi sono visti e pensati da quel codice, da quel registro.
Anche le guerre attuali sono definite con quelle parole. E non dobbiamo essere complici di quelle parole, abbiamo bisogno di nuove definizioni. Non è sufficiente denunciare i massacri che lo stato di Israele commette quotidianamente. Dobbiamo essere coscienti che Gaza è l’espressione palese della catastrofe che il sistema rappresenta per la vita umana e non umana, della brutalità intrinseca, della minaccia in qualsiasi angolo del pianeta. Il sistema si ritrova in una forma particolare di negazione della vita. Non è una metafora. La violenza e il genocidio appartengono alla sua logica identitaria: rifiuta, e se necessario, annichilisce tutto ciò che non si sottomette a lei.
Quello è il vero spirito del capitalismo. Tale “spirito” non è altro che l’espressione soggettiva più radicale del “tempo specifico” che il capitalismo ha generato dalla sua nascita, con l’accumulazione originale del capitale e la distribuzione del lavoro astratto inteso come categoria centrale dell’unificazione del mondo fino al giorno d’oggi; una categoria di potere e dominio che implica tanto la violenza della separazione dei produttori rispetto ai mezzi di produzione, come una logica dominata dal denaro; logica in cui l’incessante processo di cosificazione delle relazioni sociali, corre parallelo a una soggettività disumanizzante. Sono quelle le condizioni che preparano il terreno per portare a termine e naturalizzare la morte cruda e di massa di intere popolazioni davanti allo sguardo passivo di milioni di persone, ovverosia, dove il genocidio ha luogo come categoria politica legittima.
La mercificazione delle relazioni sociali include un tempo di violenza e furia con diverse sommità, come dicono i zapatisti alludendo all’immagine della “idra” capitalista. Una delle teste è Gaza. È necessario fermare il tempo, quel tempo.
I periodi di una, certamente relativa, pace nel mondo, non fanno riferimento alla dimostrazione di un tempo “civilizzante”, rappresentato come lineare e omogeneo, bensì alle proprie interruzioni da parte della resistenza di chi sta sotto e la creazione di mediazioni in un certo campo di forze. Per esempio, il così detto Stato del Benessere – come lo prospetta Negri – fu il risultato della ristrutturazione del sistema che comportò una risposta del capitale al movimento operaio e alla minaccia rappresentata dalla rivoluzione per le condizioni del dopoguerra.
Fermare il genocidio di Gaza, sì!, non per fermarsi lì, ma per lottare e fermare la catastrofe come modus esistenziale del tempo universale creato dal capitale. Il varco, ora lo sappiamo, non è la creazione di altre sintesi politiche che riproducano il tempo verticale della dominazione nelle nuove costellazioni di potere, ma bensì la apertura ed elaborazione del tempo come esperienza di libertà e di autodeterminazione umana.
Pubblicato sul numero 2 della Revista Crítica Anticapitalista (intitolato Gaza somos nosotrxs) di Comunizar, non-collettivo argentino fratello di Comune e di The Commoner, il numero raccoglie anche due articoli di Comune: ¿Cuál es la diferencia? di Massimo De Angelis (Qual è la differenza?) e Nos negamos di Andrea Guerrizio (Noi rifiutiamo).
Traduzione per Comune di Antonella Scano.
Sociologo e storico guatemalteco, Sergio Tischler insegna all’Università di Puebla, in Messico, dove vive da molti anni. Alcuni suoi saggi sono stati tradotti in più lingue. Con John Holloway e Fernando Matamoros è autore di Negativity and Revolution. Adorno and Political Activism (Pluto press). In Italia, nel 2010 è apparso un volume di cui è tra gli autori: Zapatismo: tracce di ricerca (editpress).
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