
Spingere i figli verso le proprie passioni non è facile. Bisogna andare contro corrente. Resistere. Chiudere le orecchie a: “Ma poi non ci saranno sbocchi lavorativi!”. Quando mi chiedono: “Cosa fanno le tue figlie?” riesco a sentire il rumore di fondo. Bisogna lottare contro il carico emotivo della performance. Lottare contro il pensiero stereotipato: “Se loro riescono, tu allora sei una brava madre”. Bisogna lottare e accettare che trovino la loro strada da soli, che inciampino nelle difficoltà, che trovino le soluzioni.
Bisogna soprattutto guardarli e guardarsi moltissimo, reggendo la paura e la voglia di proteggerli dalle sconfitte, devono conoscerle le sconfitte e saperle affrontare. Bisogna insomma concentrarsi sulla nostra esistenza pensando che in qualche modo, se lasciamo spazio, troveranno le risposte che cercano senza che noi le anticipiamo.
Ho scelto di aiutarle a non rispondere alle aspettative sociali ma a sé stesse perché so quanto mi è costato in termini di vita. Così resisto alle pressioni finché posso, con forza ma è dura, ricordo a me stessa costantemente ciò che conta. Perché sono le passioni che ci tengono in vita e lo studio, l’università, deve appartenere alla bellezza dell’essere, non solo all’utopia dell’uomo o della donna di successo che diventeranno.
Riccardo aveva ventisei anni, si è suicidato il giorno prima della laurea, una laurea che in realtà non c’era; l’esterno dell’abitazione era già stato decorato con i fiocchi rossi, i festeggiamenti preparati e lui con la sua auto ha scelto di andare dritto verso un platano: morto sul colpo. In un’intervista la madre ha raccontato che si sente in colpa, che gli dicevano: muoviti, sbrigati, ma io penso che la responsabilità sia prima di tutto politica e sociale. Il nostro paese rispetto alla scuola – e non solo – promuove la velocità, la competizione, la performance, il successo. Se non studi, se non sei primo, sei fuori. Se non hai successo sei uno sfigato. Ma le battute d’arresto fanno parte dell’esistenza, la lentezza, gli inciampi, lo stato emotivo con cui si affrontano le esperienze. Non c’è nessuno spazio per un tempo più umano e non c’è fin da quando sono molto piccoli. Poi succede che i nostri figli siano così infelici e non ce lo sanno neppure dire.
Fermiamoci in tempo, e come salmoni cerchiamo di essere madri e padri che sanno andare contro corrente.
Io vorrei abbracciarla quella madre…
Sono d’accordo, un’amica mi ha detto che i master si possono fare fino ai 29 anni perché le aziende non sono invogliate dalle tasse ad assumere ragazzi trentenni…e questo mi ha fatto sentire angosciata per i miei figli….stretta in una morsa
Io sto facendo un master e di anni ne compio 44 a luglio. Certo, non è un MBA, e io lavoro già da un bel pezzo, ma quel master è ciò che VOGLIO fare. Quanto al limite dei 29 anni: in Italia funziona così, ma il mondo è grande, senza contare che ormai si può lavorare da remoto avendo il proprio datore in un altro continente. Relax ragazzi, relax!
Grazie per questo commenti da..un addetto al rischio di arrendersi! La Vita è soprattutto RE-Esistere perseguendo, appunto, le proprie passioni senza mai lascarsi prendere da..tutto il resto!