
Il 5 maggio si terrà online la prima riunione europea delle organizzazioni aderenti a Stop ReArm Europe. Non sarà passato neppure un mese da quando la campagna è partita. E ancora c’è tanto da fare. Ma quando la storia fa i salti nel buio, non si può restare a guardare.
L’Europa reale, che non è quella dei sogni e neppure quella del Manifesto di Ventotene, si ritrova dopo l’elezione di Trump di nuovo schiacciata fra due imperialismi reazionari. Ha creato sconcerto, in Europa, lo strappo dalla destra globale e del tecno-capitalismo estremo che dopo aver asservito la democrazia al mercato ora vogliono fare del tutto a meno dello stato di diritto, e lanciano l’assalto dal cuore dell’occidente, gli Stati Uniti d’America. La reazione dell’Unione Europea è la peggiore possibile: riarmarsi fino ai denti, prepararsi alla guerra, e preparare la cittadinanza alla guerra, alimentando un clima di isteria bellicista e guerrafondaia.
Con il paradosso che, mentre si piange il lutto per l’abbandono di Trump, gli si continua ad obbedire. Lui ordina di riarmarsi, e l’UE esegue.
La Risoluzione del Parlamento Europeo sulla politica di sicurezza e difesa comune è un incubo. Definisce la Russia come la minaccia più grave nella storia del mondo, dichiara la Cina nemico globale, promette programmi di addestramento dei giovani civili alla difesa armata, e ovviamente conferma i nuovi 800 miliardi di euro per le armi – le uniche spese fuori dalla nuova austerità.
Mentre continua la complicità e la collaborazione con Israele nel genocidio di Gaza e nel progetto di pulizia etnica della Palestina.
Abbiamo promosso Stop ReArm Europe, in modo quasi artigianale, in una sola settimana. In poco tempo, le adesioni collettive sono già quattrocento, e aumentano di giorno in giorno. A queste se ne aggiungono altre cinquecento spagnole, raccolte su un appello che ha deciso di convergere nella campagna europea. Oltre alla Spagna, le adesioni sono arrivate da Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia, Ungheria, Romania, Svezia, Francia, Svizzera, Austria, Irlanda, Regno Unito, Paesi Bassi. Molte sono reti che riuniscono organizzazioni di diversi paesi. Moltissime sono italiane. Entro il 5 maggio sarà attiva anche la raccolta di adesioni individuali, per rispondere a una grande richiesta di attivazione che arriva da singole persone, da personalità e persone impegnate in diverse istituzioni.
E, per le figure del mondo accademico, il sito www.stoprearm.org rimanda alla petizione “Scienziati contro il riarmo” lanciata da diverse organizzazioni fra cui la Bertrand Russell Peace Foundation, con la prima firma di Carlo Rovelli.
Stop ReArm Europe non è una petizione. Non si tratta di mettere una firma. È uno strumento per ricostruire un movimento europeo.
E non chiama a raccolta solo i pacifisti e le organizzazioni dedicate alla pace e al disarmo. Fra i firmatari ci sono reti altermondialiste, gruppi femministi, ecologisti, soggetti sindacali. Ed è aperta anche alle adesioni di soggetti politici e partiti.
Per fermare il riarmo e ribellarsi contro la preparazione della guerra in Europa, bisogna ricostruire i legami e l’iniziativa comune di tutti coloro che si battono contro l’Europa reale e per un’altra Europa. Sarà un lavoro lungo, siamo appena agli inizi. Ma è un lavoro da fare.
La crisi globale dal 2008 ha frammentato i grandi movimenti di inizio millennio e ha rinchiuso tanti attori sociali ad occuparsi del disagio sociale e democratico crescente nei propri confini nazionali e nelle proprie comunità. Ora c’è da ritessere quei fili, portatori di tanta esperienza e sapere pacifista, no-war, altro-europeista ed intrecciarli con le nuove generazioni, le nuove culture politiche e le nuove forme di attivismo. Non è facile. C’è da provare a sanare fratture, come quella che ha portato tante organizzazioni di sinistra e antifasciste, soprattutto nell’Est Europa ma non solo, a sostenere l’invio delle armi europee in Ucraina in nome del diritto di resistenza.
Non si può ignorare che, nell’Europa orientale e baltica, è diffusa la paura di essere le prossime vittime di nuove invasioni, e questo crea terreno fertile alla incultura politica dominante, che pretende di garantire sicurezza con le armi.
Nella dimensione sindacale europea, non sono purtroppo poche le illusioni che la riconversione bellica della produzione europea possa portare un respiro di sollievo all’economia e all’occupazione in crisi, nonostante tutti gli studi dimostrino che a salire saranno solo i già giganteschi profitti.
E pesano anche le differenze, e le divisioni, che in Europa ci sono state sulla Palestina. Solo ora, dopo un anno e mezzo di ecatombe a Gaza, mentre il piano di eliminazione dei palestinesi diviene ogni giorno più esplicito e dichiarato, si cominciano ad assottigliare le linee di confine che hanno impedito a molti, e non solo in Germania, di nominare la parola genocidio.

Non è una passeggiata, quindi. Ma questa volta ne va della vita, del presente, del futuro. E, come altre volte è accaduto nella storia dei movimenti, tocca ai paesi dove sono più radicati sia il sentimento popolare che le culture politiche pacifiste e anti-guerra farsi carico di indicare la rotta, segnare la strada e cominciare a percorrerla. Contaminando, convincendo, spostando i più timidi, gli incerti, gli indecisi. Non è un caso che a lanciare Stop ReArm Europe, oltre a reti europee e internazionali, siano state organizzazioni del Regno Unito e dell’Italia. Sono i due paesi che iniziarono le due più grandi fasi di movimento contro la guerra degli ultimi decenni: il movimento contro gli euromissili negli anni Ottanta e quello contro la guerra all’Iraq nel 2003. Trascinandosi dietro tutto il continente e il pianeta intero. In condizioni diverse, sicuramente più difficili data la grande frammentazione geografica e tematica degli ultimi venti anni, la stessa cosa bisognerà provare a fare.
Nel 2003, fu forte la saldatura dei movimenti in Europa con il movimento no-war negli Stati Uniti. Anche in questi giorni, le piazza delle città USA si vanno riempiendo di manifestazioni anti-Trump. Sono manifestazioni per la democrazia. “Militarismo fa rima con autoritarismo, repressione e chiusura degli spazi democratici. Fa rima con machismo e patriarcato, con razzismo, con due pesi e due misure e con l’omicidio del diritto internazionale”, questo sta scritto nell’appello italiano di Stop ReArm Europe. E la ripresa di una relazione forte con i movimenti statunitensi sarà sicuramente uno dei prossimi passi che la coalizione europea dovrà compiere.
In Italia, la maggioranza dei cittadini e delle cittadine è contro la guerra. Ha diritto ad essere rappresentata. Ed è dovere delle organizzazioni politiche e sociali costruire uno spazio aperto, largo, accogliente e per questo necessariamente unitario, capace non solo di rendere visibile quell’orientamento, ma di costruire opportunità di attivazione per tutti e per tutte.
In questi giorni stanno arrivando segnali forti, da molte parti, che danno voce all’esigenza di rompere barriere e steccati, di ritrovarsi insieme, di ricreare sul livello nazionale e locale sedi comuni, unitarie, coordinamenti larghi, dove ci si ritrovi sulle cose che abbiamo in comune e non sui particolari che dividono.
C’è bisogno di manifestare, e insieme lo faremo. Ma c’è bisogno soprattutto di costruire un percorso di accumulazione di forze dal basso, che attraversi e coinvolga i territori, le comunità, che faccia ritrovare il gusto di lavorare insieme, nessuno escluso: l’unica condizione è il rispetto per gli altri e le altre, e la disponibilità alla convergenza.
La campagna italiana è coordinata dai promotori italiani di Stop Rearm Europe – Arci, Attac, Transform – e da Ferma Il Riarmo, la campagna unitaria promossa da Rete Italiana Pace e Disarmo, Sbilanciamoci, Fondazione Perugia Assisi e Greenpeace Italia.
Il programma che per ora ci siamo dati è un percorso di attraversamento delle scadenze e delle mobilitazioni già in programma: il 25 aprile, il 1 maggio, la campagna referendaria, la grande manifestazione nazionale del 31 maggio contro il decreto sicurezza.
Il 10 maggio si terrà una prima giornata di iniziativa nazionale diffusa, che arriverà dopo le circa settanta iniziative già previste nel mese di iniziativa globale contro il riarmo, coordinata in Italia da Ferma il Riarmo: sono già previste una marcia da Brescia alla base di Ghedi, e una piazza unitaria in centro a Roma. Altre sono in preparazione.
Il 3 maggio ad Anagni si terrà la manifestazione contro la prima fabbrica di munizioni prevista dal piano europeo di riarmo.
E il 21 giugno, quando la Nato riunita a L’Aja deciderà il piano di riarmo europeo e nella città sono già in programma manifestazioni di massa, ci prepariamo a partecipare alla prima giornata europea di mobilitazione contro il riarmo e la guerra, con una grande manifestazione a Roma. E sarà solo l’inizio.
Iniziamo ad organizzarci. Sono tempi duri, c’è bisogno di tutti e di tutte. Ora che papa Francesco non c’è più, e si è spenta l’unica voce tra i potenti del mondo contro la guerra e l’ingiustizia, la voce dei movimenti deve alzarsi più forte.
This is another wrong step! Stop re-armament now!