Giorno dopo giorno, le faglie sociali della società emergono o riemergono nel vortice di un’informazione mainstream che rimane incollata alle cifre del contagio e ai colori delle regioni. L’incapacità di tutela integrata della persona e delle comunità si manifesta ovunque, però è difficile non solo vederla ma soprattutto ragionarci su. Si è intanto creata, tra le altre, un’assuefazione rispetto al fatto che tra i diritti si debba scegliere, che ce ne siano alcuni più prioritari di altri. Tutto questo sembra “normale”, avvolto dalla nebbia di un’emergenza più cronica che mai. Da mesi, poi, assistiamo a un meccanismo sistematico e implicito di delega in bianco a compagini sociali che cercano di supplire alle carenze evidenti del sistema politico-istituzionale, C’è un gioco di sussidiarietà invertita che, evidentemente, non può rispondere ai bisogni primari di un numero crescente di persone. Lo scenario conseguente mostra progressiva marginalizzazione e precariato, mentre le politiche del governo restano avvinte agli equilibri fittizi di anni di scelte pro-mercato. Così, la società civile ha deciso di rimettersi in marcia, reclamando il suo ruolo di motore del cambiamento sociale: centinaia di organizzazioni, movimenti sociali, associazioni e singole persone hanno cominciato a camminare assieme, convergendo verso un’idea di società diversa, dove i diritti e l’ambiente vengano prima degli interessi individuali. In decine di piazze reali e virtuali di molte città e aree territoriali diverse ci si prepara al #21N. Sarà una bella e grande giornata, sabato 21 novembre, quella contro l’economia del profitto e per la società della cura

Una pandemia ha reso evidenti le faglie sociali della nostra società, per troppo tempo rimaste sotto la superficie e ha irrigidito il confine tra vite di scarto e vite dignitose. A fianco di tutto ciò, politiche goffe, incapaci di mettere al centro i diritti delle persone, ingabbiate dal dogma del debito, e dalle priorità date al privato e al mercato.
Quante volte ci siamo trovate e trovati di fronte a decisioni tese a mostrarci, come fosse una evidenza, che per la tutela dei diritti, dei diritti tutti, la coperta è diventata sempre più corta? Dalla comparsa del coronavirus l’indebolimento di lunga data dei sistemi sanitari ha messo gli operatori sanitari davanti al dilemma di dover decidere chi curare, chi ospedalizzare e chi seguire in terapia intensiva.
E le differenze territoriali, in questi giorni di regioni arcobaleno, sono purtroppo ancora più evidenti, con una medicina del territorio allo stremo e con il sistema educativo sotto stress.
Lavoratrici e lavoratori hanno dovuto scegliere tra il diritto al lavoro e quello alla salute, tra tempo produttivo e riproduttivo, in un momento storico in cui la disoccupazione e l’esclusione sociale stanno raggiungendo tassi da periodo post-bellico.
Considerato che la disoccupazione ha colpito soprattutto e giovani, spesso con lavori precari e contratti a termine (-2,2%, rispetto al -1,2 globale, secondo dati ISTAT relativi al secondo trimestre 2020[i]).
Come estrema conseguenza, la crisi economica legata al COVID 19 ha creato oltre 450.000 nuovi poveri ‘assoluti’ solo tra marzo e maggio 2020: ce lo dice il rapporto della CARITAS diffuso lo scorso 17 ottobre e sicuramente si tratta di cifre destinate a salire.
Sono per lo più, e ancora una volta, donne, prive di una occupazione stabile, e giovani, ma non solo: si è aggravata anche la condizione di chi finora riusciva a stare in equilibrio funambolico sulla soglia di povertà, non dovendo ricorrere a sussidi sociali, ma che con la crisi ha visto crollare ogni certezza e prospettiva.
Mentre si sono pensate misure integrative di reddito per alcune categorie professionali o per fasce di cittadinanza, seppure a termine e quasi puntuali, queste persone rischiano di veder scomparire dai radar la più minima tutela del loro diritto ad una vita dignitosa.
Tutto questo legittima parlare di ‘pandemia sociale’[ii]: si è palesata l’incapacità di tutela integrata della persona e delle comunità e si è creata quasi assuefazione rispetto al fatto che tra i diritti si debba scegliere, che ce ne siano alcuni più prioritari di altri.
E sono saltati anche i ruoli sociali: da mesi stiamo assistendo ad un meccanismo sistematico ed implicito di delega in bianco a compagini sociali che cercano di supplire alle carenze evidenti del sistema politico-istituzionale, in un gioco di sussidiarietà invertita che evidentemente non può rispondere ai bisogni primari di un numero crescente di persone.
L’associazionismo e le organizzazioni sociali, nei territori, hanno ovviato alla mancanza dello Stato, sono scesi in campo per ritessere un tessuto sociale oramai lacerato da politiche insostenibili, con una marginalità sociale che abita non più solo le periferie, ma anche i centri delle nostre città.
Una gestione della crisi caricata sulle spalle delle reti sociali, delle persone, delle donne che con l’overload delle strutture sanitarie, l’isolamento delle RSA e il blocco di scuole o di altri servizi integrativi si sono trovate a dover scegliere tra il lavoro, i loro tempi personali e i figli (cui hanno fatto spesso anche da insegnanti) o la famiglia allargata, spesso auto-relegandosi a prime se non uniche responsabili del lavoro di cura.
Le Nazioni Unite hanno dichiarato che ‘gli effetti negativi della pandemia – dalla salute all’economia, dalla sicurezza alla protezione sociale – sono amplificati per donne e ragazze semplicemente in virtù del loro genere’, richiedendo che si inverta la rotta[iii].
E’ in questo scenario di progressiva marginalizzazione, precariato, dove le politiche del Governo, ritornato improvvisamente e obtorto collo protagonista del rilancio del Paese, non riescono a modificare gli assetti e gli equilibri fittizi di anni di scelte pro-mercato, che la società civile ha deciso di rimettersi in marcia, reclamando il suo ruolo di motore del cambiamento sociale: centinaia di organizzazioni, movimenti sociali, associazioni e singole persone hanno cominciato a camminare assieme, convergendo verso un’idea di società diversa, dove i diritti e l’ambiente vengano prima degli interessi individuali.
E’ la Società della Cura, una convergenza nazionale che fa i suoi primi passi durante il lockdown, uscendo allo scoperto attorno a un manifesto di visione durante gli Stati Generali del Governo a Villa Pamphilii a Roma e che, passo dopo passo, ci sta accompagnando alla prima mobilitazione nazionale del 21 novembre.
Una vera e propria inversione di rotta rispetto alle politiche neoliberiste degli ultimi anni, che vede oltre 800 adesioni, di cui 220 di organizzazioni nazionali e locali e la redazione di piattaforme di rivendicazione a partire dalle battaglie locali e dalle agende territoriali, per dare voce e gambe a persone per troppo tempo lasciate al margine.

Sono decine le piazze reali e virtuali che si stanno organizzando per il #21N, il 21 novembre: oltre a Roma, Firenze e Catania anche Albenga, Ancona, Bergamo, Brescia, Cagliari, Como, Finale Ligure, Genova, Grosseto, La Spezia, Lecco, Milano, Massa Carrara, Napoli, Palermo, Reggio Emilia, Sabina&Reatino, Saronno, Torino, Trento, Trieste, Udine, Varese, Venezia e varie altre città che si stanno via via organizzando.
E anche chi non potrà scendere in piazza, potrà partecipare rilanciando il twitterstorm e il mailbombing al Governo e al Quirinale, per far sentire la voce di un’Italia che non si piega alle politiche insostenibili di questi anni.
Il cambiamento di rotta è ormai necessario, la finestra di opportunità l’abbiamo davanti. Sta a noi, donne e uomini di questo Paese, iniziare a camminare, verso una prospettiva comune. Perché solo insieme possiamo uscire da questa crisi.
*Lara Panzani: esperta di cooperazione internazionale ed economia sostenibile. Ha vissuto e lavorato in Africa Subsahariana e Nord Africa e collabora su progetti associativi di rigenerazione urbana partecipata e sostegno comunitario nella città di Firenze. E’ responsabile dell’area Maghreb per l’ONG Cospe e fa parte dell’associazione politica Firenze Città Aperta, che ha sottoscritto il Manifesto “Per una società della Cura”
** Alberto Zoratti: esperto di commercio internazionale ed economia sociale solidale, è presidente dell’Associazione Fairwatch, responsabile tematico Economia e diritti del lavoro per l’ONG Cospe e tra i coordinatori della Campagna Stop TTIP Italia. Autore di diverse pubblicazioni, collabora con varie testate e redazioni, tra cui il “Rapporto sui Diritti Globali”
[i] https://startupitalia.eu/136681-20200911-le-ferite-del-covid-listat-boom-disoccupati-giovani
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