di Valentina Guastini*
Fenachistoche? Pedescoppiotropio? Ci ho messo un paio di giorni per riuscire a pronunciarli nel modo corretto ma mi sono subito innamorata. All’incontro nazionale della Rete di Cooperazione Educativa a Bastia Umbra (leggi anche C’è speranza di Gianluca Carmosino, Intrecciare una rete di Scoprire l’arte con i bambini di Alice Michelotto), avevo deciso di seguire la stanza di Elena Pasetti (insegnante, fa parte della direzione di PInAC – Pinacoteca internazionale dell’età evolutiva “Aldo Gibaldi” di Rezzato-Brescia) già la scorsa primavera.
Da parecchio tempo sogno di arrivare a ideare un corto animato partendo dai disegni dei miei bambini, ma ovviamente, senza nessuna nozione di base, la sensazione è sempre stata quella di rassegnazione. Un po’ come aspettarsi di salire sul palco di Sanremo sapendo di avere la voce gracchiante come una cornacchia. Ma sognare è bello. Regala quella sensazione di porte aperte, di sapere che non già tutto è stato. Aver finalmente un laboratorio sulle macchine ottiche mi avrebbe dato l’opportunità per meglio comprendere le basi dell’animazione e dell’illusione.
Ho conosciuto di persona Elena Pasetti nella hall dell’albergo di Bastia Umbra (in questo tempo virtuale, vedersi di persona è una bella sensazione, si concretizzano volti, abbracci, empatie…). Non so spiegarvi le prime impressioni ricevute da quell’incontro, ma se dovessi scegliere una parola per rappresentarle sarebbe: morbidezza. Non è facile incontrare persone morbide per come le intendo io. Ebbene lo confesserò: ho vissuto in simbiosi con una copertina dal bordo di raso fino a ventiquattro anni. Non una sola notte senza di lei. Nemmeno in campeggio, dai nonni, con il sol leone. Nonostante il diniego delle infermiere sono riuscita a portarla fino in sala operatoria a diciotto anni. Ho deciso di abbandonarla quando mi sono sposata per poi regalarla a mia figlia due anni dopo, sperando di ritrovarla nuovamente intorno ma invano (Ada condivide la vita con un agnellino di peluche). Nessuno meglio di me è specializzato in morbidezza. Andavo a cercare le pieghe tra lana e raso, le lisciavo fra pollice e indice per ore e ore. Sono sensazioni calde, proteggono, appagano, ci si sta dentro nella misura di equilibrio perfetto. Sono morbide. Elena Pasetti, sorridente e curiosa, con lo sguardo indagatore (nel senso buono della signora Fletcher, un mix tra ingegno e ricerca), mi ha regalato una sensazione di morbidezza.
Il suo laboratorio sulle macchine ottiche mi ha letteralmente affascinato. Sono stata la scolaretta attenta, riflessiva e propositiva che soltanto la mia prof di italiano al liceo era riuscita a far saltare fuori. Abbiamo visto, studiato e ideato taumatropi, pedemascopi, fenachistoscopi e zootropi…
Tutte macchine ottiche che ci dimostrano quanto il nostro occhio sia imperfetto. Abbiamo percorso le basi dell’animazione progettando terze immagini inesistenti, siamo passati a traguardare il mondo attraverso otturatori e specchi, andando al di là della nostra immagine. In un clima di serenità (e morbidezza) ho desiderato ammettere l’imperfezione per elevarmi a conoscenze nuove. Ho memorizzato, studiato e appuntato approfondimenti che sto ancora facendo a più di una settimana dall’incontro. Desidero uno zootropio antico e lo sto cercando. Qualche giorno fa poi, progettando un fenachistoscopio, ho trovato i miei errori nel confronto con Elena che, a distanza, ancora mi sopporta e supporta. Ho sviluppato una passione che stamattina ho persino tatuato. Ho trovato un aggancio alla mia vita, una metafora di quel che mi sento. Strategie conoscitive per strade desuete, l’impossibile che diventa possibile. L’educazione appunto, come scienza del possibile.
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