Pensare e fare politica oltre l’universo istituzionale significa riscoprirla come qualcosa che coinvolge ciascuno di noi nella vita di ogni giorno. Ma possiamo riscoprire quell’idea soltanto nella misura in cui sentiamo il bisogno di vivere insieme, di «essere in comune». Come possiamo nutrire questo «essere in comune», questo modo diverso di lottare? Una strada ancora poco esplorata resta quella indicata, tra gli altri, da Hanna Arendt: dare grande importanza al concetto di amicizia, cioè l’amicizia non separata dal mondo, l’amicizia come ricerca prima di tutto dialogo, dove si “produce una scintilla di umanità in un mondo divenuto inumano…”. “L’amicizia è allora il primo nucleo da cui partire – scrive Arendt -, un nucleo in cui discutere insieme i problemi, cercare insieme risposte nella certezza che non possono che essere parziali…”
In questi ultimi giorni ho letto molti commenti sulla crisi di governo, sulla decisione di Mattarella, su Draghi, sulla democrazia… Non so se invidiare la sicurezza con cui molti espongono le loro idee, i loro pensieri, il loro entusiasmo o il loro disappunto. Io queste sicurezze le ho perse. Forse non le ho mai avute e procedo a tentoni. Ciò che mi è balzato agli occhi è, però, come sia facile dire cosa sarebbe meglio, cosa si dovrebbe fare o cosa si sarebbe dovuto fare. Come sia facile esporre idee molto belle, intrise di umanità e di lungimiranza. Ma quello che oggi mi manca è in che modo si possono realizzare, in che tempi, e soprattutto con chi, con quali forze. Se ci fermiamo solo a criticare la politica istituzionale, non facciamo nessun passo in avanti. La democrazia è responsabilità di tutti, se è democrazia e quindi in qualcosa dobbiamo cambiare anche noi.
Oggi è venuta meno quella politica che è condizione di vita comune e quindi la politica non concerne solo quella istituzionale e dei palazzi del potere, ma quella che coinvolge ciascuno di noi, nella misura in cui sentiamo il bisogno di vivere insieme, di «essere in comune». Per questo è necessario impegnarsi a riconquistare quegli spazi di libertà, senza i quali non si ricostruisce la “polis” dell’uomo.
La filosofa Hanna Arendt dava un grande valore alla parola “Amicizia”. Dove si realizza, infatti, un’amicizia lì si “produce una scintilla di umanità in un mondo divenuto inumano”.
“Oggi siamo abituati – dice la Arendt – a vedere nell’amico solo un fenomeno di intimità, in cui gli amici aprono la loro anima senza tener conto del mondo e delle sue esigenze”.
Per la filosofa il colloquio intimo in cui gli individui parlano di se stessi deve aprirsi al dialogo che
“per quanto intriso del piacere relativo alla presenza dell’amico si occupa del mondo comune, che rimane ‘inumano’ in un senso del tutto letterale finché delle persone non ne fanno costantemente un argomento di discorso tra loro”.
L’amicizia, quindi non è per la Arendt separata dal mondo, ma:
«è fare spazio all’altro, con il proprio concreto esistere intraprendere il viaggio politico e pubblico verso la diversità in me e fuori di me, accettando il cambiamento di ciascuno/a che ne deriverà”.
L’amicizia è allora il primo nucleo da cui partire, un nucleo in cui discutere insieme i problemi, cercare insieme risposte nella certezza che non possono che essere parziali. La ricerca del dialogo vero ci può rendere davvero più “umani” in un mondo dove proprio come dice la Arendt “ci confrontiamo costantemente con quelli che sono sicuri di avere ragione”. Il dialogo ci rende più umani perché il confronto ci stimola, ci incoraggia ad “agire nel mondo” ognuno nel proprio ambito e nelle proprie possibilità, ci fa uscire insomma da una posizione di indignazione passiva, ci immunizza da quell’atteggiamento che ci fa sentire “impotenti” o troppo sicuri di noi stessi. Ed è proprio questa amicizia che ci invita all’impegno, ma prima ancora alla discussione rispettosa che oggi vedo mancare in tutti noi, nel momento in cui siamo più presi dall’affermare le nostre ragioni che ascoltare quelle degli altri nella falsa convinzione di avere la verità in tasca.
Forse dobbiamo riprendere a parlare di come mettere in atto comportamenti più “civili”, che ci rendano cioè cittadini nel vero senso di questo termine.
Dobbiamo anche essere capaci di fare un bagno di realtà e di umiltà. Allora, come dice Eduardo Galeano, la nostra utopia:
“è come l’orizzonte: cammino due passi, e si allontana di due passi. Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile. E allora, a cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare”.
A camminare insieme.
Patrizia dice
Quest’articolo mi arriva come un grande regalo. Grazie Comune.
Spero che sia letto e il suo contenuto fatto proprio da un’infinità di lettori e lettrici.
Camminiamo insieme
Edo Facchinetti dice
Concordo con questo articolo e anch’io dico che la politica vera è quella che si fa quotidianamente quando tutti e tutte abbiamo la possibilità e le opportunità di partecipare alla costruzione di un ambiente sociale più umano, più amichevole e affettivo.
Edo Facchinetti dice
E più paritario dal punto di vista della parità di genere.