e ricevere protezione. Ci sono donne ridotte in schiavitù, stuprate, costrette a prostituirsi e ad abortire continuamente che il dominio della violenza non è riuscito a spezzare. Donne capaci di essere felici – racconta Alessandra Ballerini su Repubblica Genova -, quando sono credute e viene loro riconosciuta la protezione umanitaria
Ci eravamo scritte tramite altre donne che a vario titolo l’hanno accolta e si prendono cura di lei. Mi hanno fatto male quasi tutte le sue parole. Avevo tante cose da chiederle e lei a me. Cosi ci siamo incontrate: ero un po’ inquieta mentre l’aspettavo, sono purtroppo abituata a confrontarmi con la sofferenza ma la sua temevo sarebbe stata devastante.
Appena entrata ho ammirato le sue lunghissime trecce blu, ho sorriso istintivamente e mi sono rilassata. Ho voluto credere che se aveva ancora la voglia di concedersi un po’ di colore forse non erano riusciti a spezzarla.
Non c’erano riusciti i genitori che l’avevano ceduta da infante ad una signora che l’aveva ridotta in schiavitù. Aveva sofferto la fatica, la fame, le botte e persino le ustioni, era stata ferita, piegata, ma non l’avevano spezzata. Neppure l’uomo che violando i suoi tredici anni aveva iniziato ad abusare di lei sessualmente, era riuscito a spegnerla. Lei è rimasta viva e vitale tanto da reagire mentre veniva violata e colpire il suo aguzzino con una bottiglia. Resta viva anche quando la vogliono arrestare e deve iniziare a scappare. Non si spezza neppure quando scopre che le persone che si sono offerte di aiutarla per fuggire sono uguali all’uomo che la abusava.
Non la spezzano gli stupri e né i successivi nove anni in Libia dove viene costretta a suon di botte a prostituirsi. Non la uccidono gli uomini che la usano, né la “cannuccia” che le infilavano tra le gambe una, due, sei volte per costringerla ad abortire ogni volta che restava incinta. Non l’uccide l’infezione contratta nell’ultimo aborto prima di prendere la barca né il dolore di vedere la sua amica inghiottita tra le onde.
Neppure il rapimento in Italia da parte della sorella del trafficante al quale doveva ancora “saldare il debito”, le successive violenze, o il disgusto per i nuovi clienti sono mai riusciti a romperla completamente. Una parte di lei resta incredibilmente intatta e si colora.
Ora è seduta di fronte a me e mette insieme tutto il male che ha subito, le ferite del corpo e dell’anima che dovremmo fare refertare: “Sì il mio corpo ha segni: ho delle cicatrici sull’addome per le violenze patite quando ero bambina a casa della signora che mi ospitava: mi tagliava la pancia con un un oggetto simile a un coltello”, si alza la maglia per farmi vedere i tagli che le attraversano l’addome. “Sulle gambe ho segni di bruciature perché questa signora quando avevo sei anni mi faceva cucinare e mi torturava facendomi tenere in mano pentole pesantissime colme di acqua bollente che regolarmente mi cadevano sulle gambe ustionandomi”. Inghiottisce e si ferma a pensare: “Ho subito molte altre violenze ma non si vedono più i segni”.
Le dico che mi spiace tanto per tutto quello che ha dovuto sopportare fino a poche settimane fa e che spero che da adesso in poi il male resterà alle sue spalle. Vorrei anche dirle che finora ha conosciuto solo l’abisso di cui sono capaci gli uomini ma esiste anche altro e che forse lo sta già iniziando a sperimentare tra queste donne che si prendono cura di lei, ma il nodo in gola mi impedisce di formulare altre parole. Mi aggrappo con lo sguardo al blu delle sue trecce.
Rompe lei il silenzio “Non riesco a dimenticarmi tutto quello che ho subito, è come se quest’incubo non finisse mai perché sopraggiungono alla mente ricordi e immagini… Spero di riuscire a dimenticare ma poi risento sempre dolore e sofferenza e ricomincio a stare male”. Alla vigilia del’8 marzo la sua educatrice mi scrive festosa informandomi che le è stata finalmente riconosciuta la protezione da parte della commissione. Non l’ho mai vista così felice, aggiunge. Essere creduta e ricevere protezione sono l’abc della felicità. E la felicità oggi è blu.
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