In Italia se uno straniero vi dimora irregolarmente e, nonostante le sollecitazioni ad andarsene non lo fa, lo Stato è tenuto ad occuparsi del suo allontanamento. Il così detto “rimpatrio” di un migrante “irregolare” non è però cosa semplice, a partire dal riconoscimento e verifica della sua identità, del suo Paese di provenienza e in ultimo a causa delle frequenti complicazioni legate alle condizioni per il rimpatrio: se il Paese è “sicuro” e se accetta o meno i rimpatri. Tutte procedure lunghe nel corso delle quali la persona da espellere deve essere “trattenuta” nei Centri per il rimpatrio (Cpr, un tempo Cie).
Introdotti nel 1998 dalla Legge Turco Napolitano, che per prima istituì i Cie, ora i Cpr sono imposti anche dalle direttive europee (specificatamente la 115 del 2008) che impegnano gli Stati membri all’effettivo rimpatrio degli stranieri irregolari. Si tratterebbe perciò non di centri di “detenzione” ma di semplice “trattenimento amministrativo” perché lo straniero irregolare non ha commesso reati ma deve essere espulso per la sua posizione irregolare. Inizialmente il periodo di trattenimento massimo era di 30 giorni poi successivamente è stato ampliato sino a 18 mesi e ora è stato stabilito ad un massimo 6 mesi. Concepiti quindi come centri di stazionamento per irregolari, i Cpr sono però di fatto delle mega strutture carcerarie dove purtroppo la trasparenza delle informazioni e il rispetto dei diritti umani sono una chimera. Cibo indegno, incuria totale, abbandono, assenza di cure mediche, violenze durante i trasferimenti, “isolamenti punitivi” sono le caratteristiche più diffuse.
Denunciate da anni da LasciateCIEentrare, nulla di fatto è cambiato. Fino a quel maledetto 22 maggio 2021 quando Mousa Balde originario della Guinea, in isolamento per motivi sanitari nel Cpr di Torino, si è impiccato con le lenzuola della sua stanza. Il ragazzo, il 9 maggio era stato vittima di una brutale aggressione razzista a Ventimiglia e a causa della denuncia in Questura era emersa la sua irregolarità sul territorio nazionale. Era stato perciò portato al CPR di Torino dove da subito è stato rinchiuso e portato in isolamento all’interno della sezione denominata “Ospedaletto”. Nonostante dimostrasse chiari segni di sofferenza causati dalle lesioni al corpo, Mousa Balde non è stato mai visitato da nessun medico o membro del personale medico del Cpr. Domenica 23 è stato annunciato il suo suicidio su cui in molti nutrono pesanti dubbi.
Alcune testimonianze dichiarano che per chiedere un’assistenza medica in un Cpr, come quello di Torino, bisogna arrampicarsi sulle grate, gridare, generare rumore. Bisogna avere tanta energia per farsi ascoltare e non sempre chi è malato è in grado di farlo. Da allora conoscere le reali condizioni dei Cpr sembra essere ancora più difficile e diverse Prefetture stanno negando l’accesso ai giornalisti. Senza un motivo apparente di fatto si impedisce ai giornalisti di fare il loro mestiere e alla gente di conoscere cosa realmente accade all’interno di queste strutture. Da qui l’appello di Pressenza che Benvenuti ovunque ha firmato e che invita a firmare e condividere: Appello ai giornalisti: entriamo tutti nei CPR
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