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di Franco Lorenzoni*
L’educazione alla cittadinanza si presenta come Giano bifronte. Da una parte contempla l’apprendimento di come funzionano degli organi dello stato, le leggi ed in particolare la Costituzione repubblicana insieme alla storia di come ci si è arrivati, dall’altra guarda e riguarda il nostro concreto vivere quotidiano, cioè i nostri comportamenti e la qualità delle relazioni reciproche che viviamo ogni giorno a scuola. I due aspetti sono intrecciati, ma appartengono a due sfere distinte.
Una recente indagine internazionale, organizzata dall’International Civic ad Citizenship Education Study (ICCS) e condotta in Italia dall’Invalsi, ci dice che il nostro paese si trova in una zona di mezzo, mentre altri sondaggi sostengono che solo una minoranza di studenti ha studiato ed esce dalle nostre scuole con una conoscenza significativa della Costituzione. Un dato della ricerca compiuta in Italia sottolinea che gli studenti che hanno una conoscenza delle leggi e del funzionamento della democrazia più articolato e consolidato danno le risposte più aperte e tolleranti riguardo ai temi sociali di stringente attualità, come le questioni relative all’immigrazione. La ricerca ci conferma dunque, se ce n’era bisogno, che dedicare studio e attenzione alla democrazia e alla sua storia serve a ragionare meglio e a giudicare con maggior spirito critico le tante affermazioni approssimative e superficiali che circolano.
Credo valga per ogni apprendimento, ma è evidente che riguardo all’educazione alla cittadinanza non possiamo separare una conoscenza puntuale della complessa architettura della democrazia e della travagliata storia della difficile conquista di pari diritti per tutti (ancora da realizzare!) alla sperimentazione quotidiana di frammenti di democrazia, da costruire e vivere in classe ad ogni età, fin dalla scuola dell’infanzia. Mario Lodi, della cui sensibilità avvertiamo spesso la mancanza, sosteneva che alla base di ogni discorso sulla Costituzione ci debba essere la parola gentile.
Nora Giacobini, una delle fondatrici del Movimento di Cooperazione Educativa di Roma, che per me è stata una grande maestra, sosteneva che non si può educare se non si ha una grande visione. Ecco, io credo che far propri i principi di uguaglianza della nostra Costituzione e praticarli in classe apre l’orizzonte ad una grande visione, ma non è possibile dargli vita e alimentarla se non attraverso gesti coerenti e conseguenti da parte di noi insegnanti. E non è cosa facile.
Se non ascoltiamo, se non diamo la parola, se non pratichiamo costantemente il dialogo, se non siamo in grado di rinunciare qualche volta a ciò che avevamo in mente per seguire i suggerimenti che vengono da bambini e ragazzi, credo sia impossibile parlare della Costituzione senza risultare poco credibili e probabilmente far apparire agli occhi e alle orecchie degli studenti quelle parole come pura retorica, che è cosa ancor più grave.
Scrivendo la sua celebre lettera ai giudici, che lo giudicavano per avere sostenuto l’obiezione di coscienza, don Lorenzo Milani affermava che
“La scuola siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. È l’arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità, dall’altro la volontà di leggi migliori, cioè il senso politico”.
Mi è capitato spesso, in queste settimane, di domandarmi se fosse giusto e in che misura coinvolgere i ragazzi in una questione così delicata come il sostegno alla legge sullo ius soli e ius culturae, che speriamo tra breve sarà posta in discussione al Senato.
Non è compito di noi insegnanti elaborare leggi. Eppure, nell’avvertire con forza la contraddizione tra le Indicazioni nazionali che ci invitano ad educare alla cittadinanza attiva e le attuali leggi che negano la cittadinanza ai figli di migranti che popolano le nostre scuole o la rinviano, creando una grande quantità di ostacoli alla sua piena acquisizione, sento che non schierarmi, non dire da che parte sto, toglie una possibilità di condividere con le ragazze e i ragazzi ciò che per me è la sostanza della democrazia, che è innanzi tutto la possibilità di scegliere, di dissentire, di dichiarare pubblicamente ciò che si pensa con la propria testa.
Se ho fatto e ho propagandato lo sciopero della fame il 3 ottobre e l’ho ripetuto il 20 novembre, in occasione della giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (qui una galleria fotografica sulle iniziative del 20), è per testimoniare che di fronte a due leggi dello stato che entrano in collisione tra loro la scelta per me è necessaria e può derivare solo da due elementi: dalla lettura della Costituzione e dalla mia coscienza. Un caso esemplare in cui una questione politica si intreccia inevitabilmente con la nostra pratica educativa.
Ho ascoltato di recente Gherardo Colombo affermare che l’organizzazione della vita nella scuola e alcuni nostri comportamenti adulti in quel luogo non siano ancora adeguati al dettato costituzionale, che nell’articolo 3 pone nell’uguaglianza dei diritti il fondamento di ogni legge dello stato e invita a rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla sua piena realizzazione. In classe, ogni giorno, ci confrontiamo con la difficoltà di superare le tante disparità che si frappongono all’uguaglianza. Uguaglianza che permette a tutti di essere diversi, ma di non essere penalizzati per provenienza, fede o convinzioni.
Ciò che in tante e tanti cerchiamo di costruire ogni giorno nella nostra pratica didattica quotidiana, consiste nel difficile tentativo di creare una comunità capace di non escludere nessuno, di costruire cioè una sorta di piccola cittadinanza che faccia sentire tutti a casa. Credo che questo sia il motivo profondo per cui tante e tanti insegnanti sentano necessario il sostenere una legge che anche fuori, nella società, garantisca a tutti una piena cittadinanza, premessa indispensabile per una convivenza aperta tra pari, per nulla facile da costruire nelle nostre città.
Nel ragionare attorno a tutto ciò sento risuonare una frase che ho ascoltato talvolta da Nora Giacobini che, con l’ironia che la contraddistingueva, sosteneva che il nodo dell’educazione in fondo sta nell’intrecciare l’assoluto e il questo qui, i principi che guidano le nostre scelte più profonde e le contraddizioni che dobbiamo affrontare ogni giorno.
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*Maestro e scrittore. Il suo ultimo libro è I bambini pensano grande. Cronaca di una avventura pedagogica (Sellerio). Altri suoi articoli sono leggibili qui
saro dice
A mio modesto parere penso si dicono tante ,troppe cose che spesso aumentano la confusione gia molto presente nelle menti umane in questi tempi.Tempi
Parecchio degenerati e di grande pericolo.
Le nostre menti quasi mai soddisfatte e grate ma, schiave di una forma di schizzofrenia perennemente presente
notte e giorno dove viene annullata ogni liberta’ di scelta.
Non siamo liberi ma, completamente schiavi delle nostre paure, rabbia, competizione, gelosie insoddisfazione tutti pensieri, sentimenti che rendono miserabile la nostra esistenza con conseguenze devastanti per noi stessi e per gli altri.
Tutto questo ci deruba della possibilita’ di godere veramente della vita con contentezza autentica e gioia di vivere.
In conclusione; oggi piu’ che mai occorre rallentare per iniziare ad attivare un processo graduale di osservazione interiore attraverso semplici azioni quotidiane dove possiamo praticare la gentilezza “gratuita”con gli altri e la considerazione affettuosa, in ultima analisi attivare un processo graduale di riduzione del modo normale e naturale che abbiamo di considerarci il centro dell’universo.
Tutta la nostra perdizione e poverta’ dipende da questa visione per niente realistica.
Un caloroso sincero saluto.
Saro