Quelli che sono in alto dicono a quelli che sono in basso: indebitatevi perché bisogna sempre essere pronti alla guerra. Tutte le guerre, chissà perché, chi le fa dice che sono di difesa. Ma quelli che sono in alto dicono anche un’altra cosa: ci si può difendere, e anche morire, solo con un’arma in mano. Eppure la storia è ricca di esperienze di difesa attraverso la noncollaborazione, i boicottaggi, i sabotaggi. La resistenza nonviolenta può fare il suo salto di qualità se, nelle zone di conflitto, potessero intervenire persone disarmate e formate in grado di favorire cambiamenti positivi per tutte le parti coinvolte con i metodi e le tecniche nonviolente. È la strada potentissima dei Corpi civili di pace. Scrive Raffaele Barbiero: “Il percorso è sicuramente ancora lungo e la nonviolenza dovrà coesistere con la risposta armata degli eserciti, ma se non si investe subito neanche un euro, sicuramente saremo condannati alla violenza di una prossima guerra che verrà. La brutalità rende brutali e genera brutalità, la violenza rende violenti e genera violenza, la guerra genera guerra. Per uscire da questo giro vizioso bisogna interromperlo…”

La nonviolenza, come modalità di soluzione dei conflitti, è stata sistematizzata in manuali di apprendimento e azione solo da Gandhi in poi (quindi dagli inizi del Novecento); in Italia non esistono di fatto scuole, accademie, istituti per insegnarla, molto più presenti all’estero invece, specialmente dentro il mondo accademico anglosassone. Per la nonviolenza non si spende ufficialmente neanche un euro e nessuno è impiegato, stipendiato, assicurato, addestrato appositamente per questo. Tutto quello che si muove in questo campo o è frutto del volontariato, o è legato all’utilizzo da parte di alcune Ong o associazioni nazionali dei ragazzi/e in servizio civile nazionale, o deriva da interventi sporadici dello Stato o di Enti Locali e Istituzioni universitarie lungimiranti.
Di fronte alla domanda: “Accetti un’ingiustizia, un’aggressione, una violenza o reagisci ad essa?”, l’unica risposta possibile e ammessa (anche a livello di informazione di massa) è quella armata e violenta, perché come dice la canzone di De Andrè La guerra di Piero, se tu non spari per primo finisci a dormire in un campo di grano.
Se si vuole rispondere con la nonviolenza, non si deve improvvisare e bisogna subito investire risorse economiche e umane per rendere concreta questa alternativa, che richiede studio, sperimentazione e formazione.
La risorse
Ma dove si possono impegnare queste risorse economiche e umane? Nel parlamento europeo dal 1994 vi è la proposta avanzata da Alexander Langer di istituire i Corpi Civili di Pace Europei, proposta poi approvata con una risoluzione nel 1999, seguita da due studi di fattibilità realizzati nel 2004 e nel 2005 (Feasibility Study on the establishment of a European Civil Peace Corps/ECPC), Final report 29.11.2005, Channel Research). Da allora però solo la Repubblica di San Marino, con la legge 2.12.2021 nr.194, ha recentemente istituito i Corpi Civili di Pace.
Nel parlamento italiano dal 2017 vi è la proposta di legge di iniziativa popolare per istituire il “Dipartimento della difesa civile non armata e nonviolenta” che prevede la creazione di un contingente da impegnare in azioni di pace non governative nelle aree di conflitto, o a rischio conflitto, o nelle aree di emergenza ambientale e che prevede anche la creazione dell’Istituto di ricerca sulla Pace e il Disarmo.
Proteggere sempre la vita e la dignità di tutti
Tanti si chiedono cosa sono esattamente i Corpi Civili di Pace: sono un Corpo di persone formate e addestrate a entrare nelle situazioni di conflitto al fine di effettuare un cambiamento positivo per le parti coinvolte con i metodi e le tecniche nonviolente e azioni nonviolente pianificate. I principi da osservare sono: il rispetto della vita e della dignità dell’avversario e nell’azione diretta la non collaborazione e la non obbedienza con l’avversario e i suoi apparati.
Dovrebbe essere costituito dall’Ue sotto gli auspici e il coordinamento dell’Onu. Gli stati membri dell’Ue contribuirebbero con personale, mezzi e risorse economiche alla costruzione del Corpo e il parlamento europeo dovrebbe essere coinvolto nelle decisioni sulla costituzione e sull’attuazione delle operazioni.
Inizialmente il Corpo potrebbe essere costituito da mille persone, di cui 3/400 professionisti e 6/700 volontari con gli stessi riconoscimenti di chi svolge un’attività militare in zona di conflitto. Il personale potrebbe essere composto da chiunque fosse interessat* dai 20 agli 80 anni, con particolari caratteristiche: formazione alla nonviolenza, conoscenza delle lingue, capacità di ascolto e dialogo, capacità di adattamento a situazioni di precarietà, tolleranza, pazienza, apertura mentale, stabilità dal punto di vista psicologico ed emotivo e infine con conoscenze culturali, giuridiche, storiche e geografiche (almeno dei territori dove si va ad operare).
Vi dovrebbe essere un’integrazione operativa fra i militari e il Corpo, senza però che quest’ultimo dipenda dall’autorità militare.
Se i risultati fossero positivi questo Corpo iniziale dovrebbe espandersi in base alle necessità previste e prevedibili.
La nonviolenza funziona? E le guerre?
La domanda di molti è: la nonviolenza funziona? Se guardiamo gli esempi storici, laddove ha operato anche in condizioni di difficoltà, ha funzionato anche se solo parzialmente. Dobbiamo comunque tenere presente che, tranne in India, nessuno era preparato e organizzato per farlo e ci si è arrivati solo perché in quel momento era l’unica strategia disponibile, o perché si è ritenuto che lo fosse. D’altra parte sorge un’altra domanda: le guerre che si sono succedute nel mondo dal 1991 in poi hanno risolto i problemi emersi dai conflitti?
Per ridurre “il tasso” di violenza nel mondo, cosa si può fare? A partire dalla Guerra nel Golfo del 1991, vi è la richiesta di modificare il diritto di veto all’Onu che, appartenendo a cinque Nazioni, impedisce l’azione di pace e di mediazione nel conflitto (anche con la modalità armata che l’Onu potrebbe esercitare).
Vi è la richiesta di firmare e attuare il “Trattato di proibizione delle armi nucleari” (TPNW) dell’ONU, entrato in vigore il 22 gennaio 2021, che invece i nove Paesi che posseggono l’armamento atomico e quelli collegati all’Alleanza Atlantica non hanno firmato.
L’Europa potrebbe dotarsi di un esercito europeo in grado di intervenire prontamente in situazioni di conflitto con funzioni di “polizia” internazionale. Non ci si dota di F35 con possibilità di armamento atomico, se si vuole essere “polizia”… Un esercito europeo con a riferimento un unico ministero della difesa, questo ci darebbe anche maggiore autorevolezza negli scenari internazionali e forse comporterebbe una razionalizzazione delle spese e un loro migliore utilizzo. Potrebbe inoltre essere la leva per aprire un vero ragionamento sugli “Stati Uniti d’Europa” e finalmente dare una spinta decisiva ad avere un’Europa più unita non solo nell’ambito militare.
Sulle spese militari di Ue e Russia
Vale la pena aggiungere qualche osservazione sulle spese militari fra UE e Russia. Il SIPRI è l’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (Svezia) che dal 1949 dà i dati delle spese militari dei Paesi nel mondo. In base a questi dati, indicativamente la Russia nel 2019 spendeva 62,73 miliardi di euro a fronte dell’Europa con una spesa dai 216 ai 250 miliardi di euro a seconda di chi si include-esclude.
Se prendiamo i dati in euro e li vediamo scorporati su UE e Russia, sempre indicativamente, nel 2023 l’UE ha speso 279 miliardi di euro contro i 445,19 miliardi di euro della Russia, nel 2024 l’UE ha speso 553,60 miliardi di euro contro i 445,19 della Russia. Poi sappiamo che l’UE ha inviato 132 miliardi di euro in tre anni all’Ucraina, di cui 62 in aiuti militari.
Vertice di Londra del 3 marzo 2025
La logica del prepararsi alla guerra con armi e soldati (persone mandate ad ammazzare e a farsi ammazzare) è quella prevalente, di alternative come i Corpi Civili di Pace non se ne parla e non si stanziano risorse. Per prepararsi alla pace gli UK daranno 1,9 miliardi di euro per dare all’Ucraina 5.000 missili prodotti in UK, ovviamente. Ursula von der Leyen chiede 100 miliardi di euro per il riarmo e Macron 200 miliardi di euro per l’industria militare (le azioni dell’italiana Leonardo SpA sono schizzate del 17% in più). Soldi che verranno decisi prossimamente. Infine si parla di una “coalizione di volonterosi” formata da 30/40.000 soldati da inviare in Ucraina a difendere la pace che si spera di realizzare con Putin.
Il piano di pace prevede una “una tregua di un mese” a livello di attacchi aerei, navali e quattro punti: rilancio degli aiuti militari e mantenimento della pressione economica sulla Russia; cessate il fuoco per una pace “giusta e duratura”; tutelare “la sovranità” dell’Ucraina; delineare garanzie adeguate per la sicurezza dell’Ucraina, tali da esprimere un “credibile potenziale dissuasivo” verso la Russia.
Il percorso è sicuramente ancora lungo e la nonviolenza dovrà coesistere con la risposta armata degli eserciti, ma se non si investe subito neanche un euro, sicuramente saremo condannati alla violenza di una prossima guerra che verrà.
La brutalità rende brutali e genera brutalità, la violenza rende violenti e genera violenza, la guerra genera guerra. Per uscire da questo giro vizioso bisogna interromperlo.
Raffaele Barbiero, Centro per la pace – Forlì
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