Qualsiasi territorio, anche quello con più ferite, può rifiutare il destino dell’enclave, perché è sempre il frutto delle relazioni che lo abitano. Come possiamo allargare quelle relazioni? In un pezzo di Roma chiamato Quarticciolo, ad esempio, tanti e tante stanno imparando a pensare il loro territorio prima di tutto come un arcipelago, il cui futuro dipende non certo da invenzioni calate dall’alto modello Caivano, ma magari dalla cosiddetta filiera agroalimentare. Perché non basta costruire mille esselunga, le persone mangiano e si fanno domande. Se possono farlo insieme sono più contente, da sempre, ovunque. Per non smettere di ribellarsi facendo, al Quarticciolo, il Polo Civico ha promosso una call con cui riempire il 31 maggio il Parco Modesto di Veglia di banchi di cibo buono e sano, ma anche di idee, di relazioni, di proposte. «Per farlo vi chiediamo di far giare questa call ospitata su Comune – scrivendo a – È un modo per dire “questo spazio è a disposizione, questa è casa vostra”. Mandatela ai vignaioli e agli osti, alle buone forchette e a chi della zappa vuole fare una leva per rovesciare il mondo… Quarticciolo inizia dove qualcuno decide di essere parte di una trasformazione radicale… ». Insomma, si tratta di creare insieme un mercato di quartiere aperto al mondo, non solo per chiedersi cosa e come produrre, ma per osare pensare e fare oltre ciò che si sa già

Nella città che ha perso la sua forma, la borgata romana è un’eccezione, coi i suoi confini netti e precisi. La consolare e il parco, lo stradone e la statua di Gesù sull’Istituto Sacro Cuore. Barriere fisiche che aiutano l’occhio di chi vive ad esempio nel quartiere Quarticciolo a dividere l’opera di ingegneria sociale edificata dal fascismo e i grappoli di case tirate su di notte dai baraccati all’alessandrino. Eppure, nessun quartiere si conclude in sé stesso, non basta progettarlo come un universo distinto. Metterci la piazza, la parrocchia e una torre di avvistamento al centro, controllarlo militarmente, escluderne gli abitanti dalla residenza anagrafica, stigmatizzarlo continuamente sui giornali, farne un capro espiatorio per la politica. È successo ottant’anni fa quando i nostri nonni e le nostre nonne si sono conquistati le scuole e il tram, la casa, il cinema, le sale da ballo. A forza di lotte, stando in mezzo alla via. Prendendosi cura della loro comunità.
Succederà ancora, in forme diverse, ma succederà ancora. perché un quartiere non è un’isola. Un quartiere è le relazioni che stabilisce, le complicità che ispira, la maglia di scambi in cui è inserito. Un quartiere è un arcipelago, per quanto possano tentare di farlo diventare una enclave. Dovremmo iniziare a misurare la qualità di un quartiere dalla sua permeabilità: quanto è facile attraversalo?
Il modello Caivano, tra le altre cose, assume l’isolamento come condizione necessaria. Stabilisce un rapporto diretto, unilaterale e esclusivo tra il centro del potere politico e una piccola porzione di territorio, sorteggiata a caso. È un’operazione che tira fuori dalla mappa geografica Quarticciolo, lo rende un punto astratto nello spazio omogeneo e vuoto dei grandi investimenti infrastrutturali. Uno spazio liscio in cui ogni punto è uguale all’altro: Rozzano e San Ferdinando, Orta Nova e Scampia. Punti in cui arrivare dall’alto e calare il bastone degli sgomberi e la carota degli investimenti, punti a cui si può applicare la stessa ricetta senza pensarci troppo. One Size Fit All. Dove è che non serve un bell’impianto sportivo?
Ma Quarticciolo non è un’isola, Quarticciolo è un arcipelago. Quarticciolo, ad esempio, è a Zagarolo nei campi di Matteo, Quarticciolo è a Genzano nella cantina di Gianmarco e Rocco, Quarticciolo è lungo il Nera dove Tiziano fa la birra. Possono parlare tutti i giorni in tv del nostro quartiere, ma le persone vivono e vivendo costruiscono relazioni e nelle relazioni rompono l’isolamento. Per questo intorno alla filiera agroalimentare si gioca tanto di cosa sarà il nostro quartiere.
Perché è una relazione che non si può interrompere tra chi lo abita e il resto del mondo, non basta costruire mille esselunga, le persone mangiano e si fanno domande. Se possono farlo insieme sono più contente. Da sempre, ovunque. Perché è una relazione che apre spazio a una trasformazione riparativa, a una tessitura che ricuce la città di enclave, che mette in relazione il territorio del “più grande comune agricolo d’Europa” con i luoghi del consumo al Pigneto e a Centocelle. Il nesso diventa una fabbrica di birra nella borgata che porta le trebbie nelle aziende agricole di Tor tre teste e distribuisce al di là della Togliatti. Il nesso diventa un Mercato di Quartiere che dà una scusa alle persone per incontrarsi e offre uno spazio ai produttori per sopravvivere alla grande distribuzione organizzata. Il nesso diventa una comunità energetica che sostiene le attività commerciali del quartiere e le mette in rete con le associazioni e gli inquilini. In poche parole, perché è un’idea di sviluppo. Un’idea di sviluppo che pone il problema di cosa e come produrre, perché come hanno funzionato le cose fino ad adesso siamo arrivati a un passo dal collasso. Un’idea di sviluppo radicale perché radicata dove i problemi sono più gravi. Dove gli stipendi sono più bassi e le isole di calore più intense. Dove le alternative sono uno sporting center o il commercio di crack. Un modo per non rassegnarsi al fatto che chi è ricco mangia biologico e chi è povero spazzatura, che lavorare la terra voglia dire schiavizzare le persone.
Se questa idea sarà il modo in cui romperemo l’accerchiamento dipenderà da quanti e quante avranno voglia di metterci tempo e passione. Non crediamo alle bacchette magiche, alla soluzione che da sola risolve tutti i problemi. Crediamo ai processi trasformativi. Quando lo dici ad alta voce sembra sempre una supercazzola, una frase fatta, uno slogan vuoto. Ma è invece un fatto molto concreto, un modo possibile con cui abbiamo realizzato una palestra e un doposcuola, un ambulatorio e una stamperia.
In questo caso, ad esempio, per alimentare il processo si può partire da aiutarci a riempire il Parco Modesto di Veglia di banchi di prodotti alimentari il prossimo 31 maggio. Per farlo vi chiediamo di far giare questa call, scrivendo a . Perché ne abbiamo bisogno ma anche perché limitarci a declamarvi cosa pensiamo e invitarvi a venire a un evento sarebbe un altro modo per inibire altri e altre.
Bisogna pensarci quando ci si prende la responsabilità di scrivere che spazio si lascia a chi legge, la call è un modo per non dimenticarlo. Un nodo al fazzoletto per ricordarci il metodo con cui vogliamo stare in questa vicenda, costruendo insieme quanto più è possibile.
Consideriamo un privilegio fare attività in un contesto in cui si può agire insieme, conosciamo la frustrazione che l’isolamento genera. Sappiamo cosa vuol dire avere sotto gli occhi un mondo che va a rotoli e non trovare il tempo, e non trovare il luogo e non sentirsi in grado. La call è un modo per dire “questo spazio è a disposizione, questa è casa vostra”. Mandatela ai vignaioli e agli osti, alle buone forchette e a chi della zappa vuole fare una leva per rovesciare il mondo. Mandatela a chi vorreste a fianco in questa impresa.
Quarticciolo inizia dove qualcuno decide di essere parte di una trasformazione radicale.
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