Lisbona ha poco meno di 50mila case vuote. La Giunta comunale, a guida del centrodestra, ha di recente aumentato molto la pratica degli sfratti, spesso effettuati in modo violento. Invece di mettere a disposizione il patrimonio pubblico abitativo abbandonato, le istituzioni organizzano grandi eventi dove progettare app e start up con l’intenzione di “facilitare” le regole del mercato e chiedere il lavoro gratuito di tanti giovani universitari messi in competizione per vincere un premio in denaro. Il collettivo “Stop Despejos” ha realizzato una protesta per spiegare che le case vanno occupate con le persone e non con le idee. Come denuncia con questo articolo, va detto con chiarezza che il problema principale dell’affermazione del diritto all’abitare e alla città sta proprio nel mercato immobiliare e nell’asservimento della politica istituzionale al grande capitale. La questione abitativa ha contraddizioni più grandi e attraversa equilibri di potere e interessi sociali cristallizzati nel sistema neoliberista, che ha tratto ulteriori vantaggi dalla pandemia. Le soluzioni vanno cercate nel rovesciamento delle politiche e non nell’illusione dell’innovazione tecnologica che lascia intatte le compatibilità del mercato e affida a un ridicolo week-end all’insegna della retorica della smart city il compito di “collegare domanda e offerta in modo sostenibile, riducendo la burocrazia del processo”
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Un articolo scritto dal collettivo lisboeta di lotta per il diritto all’abitare e alla città “Stop Despejos” (ovvero “Stop Sfratti”).[1] Il testo riflette sulle ultime politiche adottate dal Comune di Lisbona governato dal partito di centro-destra (PSD), il quale ha aumentato molto la pratica degli sfratti e inasprito le modalità violente con cui vengono portati avanti. Inoltre, la linea politica del Sindaco di Lisbona Carlos Moedas e della sua assessora all’abitazione Filipa Roseta si basa sulla risoluzione dell’emergenza abitativa attraverso la classica retorica della “smart city”, che vede nella tecnologia un mezzo “neutro” per risolvere ogni problema, al fine di spoliticizzare il dibattito pubblico sull’ingiustizia spaziale che si stringe prepotentemente come una morsa intorno agli abitanti della capitale portoghese. Anziché pensare a una ridistribuzione del patrimonio pubblico abitativo abbandonato, le istituzioni organizzano grandi eventi dove progettare app e start up con l’intenzione di “facilitare” le regole del mercato e di fatto richiedendo il lavoro gratuito di tanti giovani universitari in competizione per vincere un premio in denaro. Stop Despejos evidenzia come il problema principale sia, invece, proprio il mercato immobiliario e l’asservimento della politica istituzionale al grande Capitale. La questione abitativa ha contraddizioni più grandi e attraversa equilibri di potere e interessi sociali cristallizzatisi nel sistema neoliberista che ha tratto nuovi vantaggi dalla pandemia, per questo è davvero incomprensibile come tutto ciò possa risolversi nella progettazione tecnologica di app e startup. Infine, com’è documentato dalle foto, nella giornata di sabato c’è stato un presidio di fronte all’Hub Creativo del quartiere “Beato” che contesta le recenti politiche istituzionali messe in atto.
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Il Comune di Lisbona ha deciso di lanciare una sfida a quei giovani studenti universitari con un “profilo tecnologico”, al fine di dare una nuova vita alle case vuote sparse per la città. Dalla convocazione dell’evento[2] leggiamo che “Lisbona ha più di 48.000 case vuote, le quali non svolgono la loro funzione abitativa. In questo contesto, il Comune, in collaborazione con Start up Lisboa, vuole fare appello alla conoscenza e al dinamismo dell’ecosistema imprenditoriale per definire politiche pubbliche supportate dalla co-creazione con i cittadini”. L’iniziativa, denominata Hackathome, che si svolgerà presso il Beato Creative Hub (una delle aree più colpite dai processi di gentrificazione e speculazione immobiliare della città di Lisbona), mira a riunire team di giovani studenti universitari, che durante il fine settimana del 28 e 29 maggio hanno 24 ore di tempo per presentare una proposta “tecnologica”, “imprenditoriale” e “innovativa” in grado di risolvere la crisi abitativa. L’obiettivo è quello di “creare una soluzione basata sulla tecnologia che permetta di collegare domanda e offerta in modo sostenibile, riducendo la burocrazia del processo”.[3] Sono previsti tre premi per le squadre vincitrici, per un totale di 10.000 euro.
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Mentre il Comune di Lisbona aspetta che gli studenti universitari, con l’aiuto dei propri mentori, risolvano in 24 ore, durante il fine settimana e senza alcuna garanzia di remunerazione, la crisi abitativa che ha tanto contribuito a promuovere, continuano gli sfratti senza alternative che rispettino il diritto all’abitare. Queste “disoccupazioni”, come lo Stato ama definirle, arrivano sulla scia di una vera e propria dichiarazione di guerra ai più vulnerabili e non si verificano solo a Lisbona, ma anche nei quartieri Padre Cruz (nel dicembre 2021), Carlos Botelho (aprile 2022) e Quinta do Loureiro (maggio 2022), tra gli altri. Anche a Porto e Aveiro sono stati segnalati di recente sgomberi di famiglie con bambini, nel Bairro do Bom Pastor e a Quinta do Griné. Dopo mesi di questa epidemia di sgomberi che tende a continuare – Gebalis, una delle aziende partner di Hackathome, ha promesso di “liberare” 800 abitazioni a Lisbona – (la Gebalis è un’agenzia con partnership pubblico-privato che ha il compito di gestire l’edilizia abitativa a Lisbona, n.d.t.), le soluzioni sono ancora in sospeso (se esistono). Negli ultimi mesi, a seguito delle azioni di sgombero condotte dal Comune di Lisbona e Gebalis, non solo abbiamo assistito a un aumento delle case vuote nel territorio comunale, ma anche a un incremento del numero di famiglie che si trovano in condizioni di disagio abitativo o di precarietà. Tuttavia, nel comunicato stampa ufficiale del Comune di Lisbona sull’Hackathome e sul problema delle case vuote, Filipa Roseta, consigliera comunale e assessore con delega all’edilizia, afferma che “mettere queste case a disposizione dei cittadini è una missione urgente”, senza specificare quante delle 48.000 case vuote lasciate in abbandono siano di proprietà comunale (si stima che siano circa 2.000). Quindi, se è urgente (così urgente da dover organizzare “una maratona”), e se il Comune non riesce a trovare soluzioni al problema delle proprietà vuote nel breve termine, perché continua a ordinare gli sfratti con la violenza della polizia? Chi sono i “cittadini” a cui Filipa Roseta vuole rispondere? L’amministrazione comunale sta forse supponendo che, in realtà, si voglia aumentare il numero di immobili comunali abbandonati, continuando a favorire la speculazione immobiliare e creando proposte e programmi abitativi che escludono i più vulnerabili?
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Negli ultimi anni i movimenti sociali impegnati per il diritto alla casa e alla città hanno proposto soluzioni (gratuite!) realmente sostenibili e inclusive, che non richiedono maratone non retribuite, mentori Microsoft o conoscenze di bitcoin. Alcuni esempi sono l’esproprio delle proprietà sfitte, la definizione di un tetto massimo per gli affitti adattato ai redditi delle persone, la fine degli sfratti senza alloggi alternativi, la fine dei visti gold (un sistema che di fatto permette a chi è molto ricco di “comprare” la cittadinanza portoghese, e di conseguenza un visto Schengen, in cambio della ristrutturazione di immobili vuoti; n.d.t.) o l’aumento degli alloggi pubblici in Portogallo.
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La crisi abitativa degli ultimi anni non è il risultato di una mancanza di creatività o di spirito imprenditoriale, né di un eccessivo coinvolgimento dello Stato. Come abbiamo visto, quando si tratta di alloggi, lo Stato interviene solo quando si tratta di sfrattare le persone che di fatto contribuiscono a quelle 48.000 case vuote, perché non riescono a pagare gli affitti sul mercato privato, non soddisfano i criteri poco chiari che consentono l’accesso alle case popolari, o non possono beneficiare di programmi di affitto a prezzi accessibili e simili rivolti alla classe media. Quando si tratta di garantire un accesso equo a un alloggio decente che tutti possano permettersi, lo Stato corporativo si affida alla buona volontà del settore privato, che continua ad arricchirsi grazie alla crisi degli alloggi. E va evidenziato che gli affitti sono nuovamente aumentati.
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Eventi come l’Hackathome intendono far passare il messaggio che la vera soluzione per risolvere la crisi abitativa passi attraverso un coinvolgimento ancora minore dello Stato in ciò che riguarda la questione delle abitazioni, un’autonomia che è possibile solo attraverso la tecnologia e l’innovazione. Tuttavia, da tempo lo Stato non è più al servizio delle persone, ma del Capitale. Se l’obiettivo finale è l’autonomia, perché abbiamo assistito a un peggioramento della violenza della polizia e della criminalizzazione di coloro che occupano? Se “l’eccessiva burocratizzazione” è un problema, perché il Comune di Lisbona continua a ostacolare il processo di regolarizzazione, richiesto dalle persone che occupano le case popolari lasciate in stato di abbandono? In una città dove è diventato impossibile vivere, cosa sono esattamente le “occupazioni illegali”? A chi servono davvero le soluzioni tecnologiche e l’imprenditorialismo?
(traduzione di Francesco Biagi)
[1] https://stopdespejos.wordpress.com/
[2] https://www.lisboa.pt/atualidade/noticias/detalhe/hackathome-desafia-universitarios-a-encontrar-solucoes-para-as-48-mil-casas-vazias-em-lisboa/
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