La proposta di limitare l’affermazione del diritto allo Ius soli al solo ambito sportivo, nata con il fine strumentale di raccogliere qualche medaglia in più nelle competizioni internazionali, è francamente indecente. I diritti, come dovrebbe essere a tutti noto, o sono universali oppure diventano puri privilegi. È inimmaginabile che il percorso “infernale” citato dal presidente del Coni debba restare tale per le ragazze e i ragazzi che non aspirano a un podio ma solo a un’esistenza dignitosa. Tuttavia, se quella maldestra proposta sarà davvero l’occasione per riaprire una discussione seria, finora accantonata dai governi in ragione del consueto opportunismo politico che insegue presunti larghi consensi e impedisce di guardare in faccia la realtà che cambia, non potremmo che essere grati agli atleti italiani. Difficilmente, però, quel varco si aprirà in autunno al necessario livello di civiltà senza la ripresa di un’ampia e molto più intensa mobilitazione, dal mondo dello sport a quello dell’educazione, passando per la società intera. I giochi olimpici di Parigi restano ancora piuttosto lontani
Accadono cose curiose nel nostro paese. C’è voluto il successo olimpico di una squadra di atleti composita e multietnica per rimettere all’ordine del giorno la questione dello Ius soli, seppure nell’accezione tenue e ridotta dello Ius soli sportivo. Ora lo Ius soli è tema che, tranne poche eccezioni, la politica sembra sempre avere timore di affrontare con determinazione. Ma dato che la questione è stata rimessa all’ordine del giorno da Govanni Malagò, presidente di un Coni vincente, le sue parole sono rimbalzate con grande clamore sui media. Malagò ha ricordato che il percorso a ostacoli per diventare cittadini italiani a 18 anni, diritto che a cui si dovrebbe poter accedere se si è nati qui, “oggi è infernale, è un girone dantesco”. Ha aggiunto anche che lo sport e le olimpiadi hanno dimostrato che ormai “l’Italia è multietnica e super integrata”. Che sia multietnica non c’è dubbio, ma superintegrata non lo è davvero, visto che la dispersione scolastica tra gli italiani senza cittadinanza è ancora doppia rispetto a quella lei loro compagni nativi, per dirne solo una.
Ora, nella richiesta dello Ius soli limitato alle sole ragazze e ragazzi sportivi di valore credo ci sia qualcosa di indecente e intollerabile, anche se discuterne può essere utile per riaprire le porte a una questione centrale di democrazia, sempre rinviata. “I diritti o sono universali o si chiamano privilegi”, affermammo con convinzione tre anni fa, al momento della costituzione del tavolo “Saltamuri”, che riunisce centinaia di associazioni che si battono contro ogni forma di discriminazione.
Noi non possiamo immaginare che una ragazza o un ragazzo abbia diritto
di essere considerato cittadino come i suoi compagni di studi solo se
corre veloce come il vento e se porterà primati e vittorie che faranno
inorgoglire il popolo italiano. Le numerose medaglie raccolte dai nostri atleti a Tokio dimostrano piuttosto che una società multietnica ha migliori potenzialità. Non le ha solo nello sport ma in ogni campo: dall’artigianato all’arte, al lavoro, alla musica, alle tante nuove imprese aperte da immigrati di prima e seconda generazione.
Ben venga dunque la riapertura della discussione e di una necessaria mobilitazione che porti ad affermare con forza la necessità di approvare al più presto, in questa legislatura, una legge sullo Ius soli e lo Ius culturae, che dia piena cittadinanza al milione di bambini e ragazzi nati qui o arrivati qui da piccoli.
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