Non devono esser molti i lettori di Comune, almeno tra coloro che hanno quarant’anni o più, che non abbiano mai visto o incontrato Dino Frisullo. Lui c’era sempre, perfino quando avresti voluto evitarlo perché non avevi fatto in tempo a leggere quell’ultimo comunicato che ti aveva mandato via fax solo poche ore prima. C’era sempre, Dino. E se non c’era, voleva dire che stava arrivando. Sarà forse per questo che, quasi vent’anni dopo la morte, la sua assenza resta, per molti di noi, qualcosa di assurdo. Un vuoto immenso, insostenibile. Annamaria Rivera, che lo aveva conosciuto in Puglia, a vent’anni o giù di lì, per poi condividerne tutto l’inesauribile incedere, ne ricorda un tratto davvero essenziale: la capacità di comprendere che il senso della “grande storia” può vivere – ed esser dunque letto – anche nelle “piccole storie” di dominazione. Nell’oppressione di una minoranza, di un gruppo di donne, uomini, bambini e perfino nei drammi di ciascuno di coloro che ne fanno parte. Per molti di noi, Dino è stato il primo a insegnare la nobiltà delle piccole storie. Quella stessa nobiltà che non si dà per nascita ma appartiene alle persone semplici e illustri, cioè capaci di illuminare, di far luce sul mondo. E sulle possibilità di cambiarlo. Per il 5 giugno, anniversario della nascita e della scomparsa di Dino Frisullo, Senza Confine, la sua associazione, ha promosso due appuntamenti a Roma. Pare che Dino non possa esserci, di certo ci saranno le sue idee e le sue lotte

Uno dei tanti, grandi meriti di Dino Frisullo è stato quello di aver colto perfettamente che il senso della “grande storia” può essere rintracciato nelle “piccole storie” di dominazione, oppressione, discriminazione di una popolazione, di una minoranza, di un gruppo, ma anche nell’infelicità e nei drammi di ciascuna/o dei suoi membri, di ogni profuga/o, di ogni migrante, di ogni oppressa/o: la vicenda “minore” di un profugo morto soffocato nella stiva di una nave può dirci del mondo attuale più di un freddo saggio di geopolitica. Conferire un senso e un valore politico generale a queste “piccole storie” equivale, insomma, a cogliere il significato più profondo del presente e dei processi di globalizzazione.
Occuparsi, come faceva Dino, di un gruppo di migranti bangladeshi, di una collettività di richiedenti-asilo, di una minoranza oppressa quale quella curda, di un gruppo di rom deportati/e, assumendone per intero i bisogni esistenziali oltre che politici, leggendone la “piccole storie” come indizi ed effetti pregnanti della “grande storia”: questo era per lui l’unico modo possibile per praticare sapere critico e impegno sociale e politico adeguati al presente, e scevri da politicismi e fumisterie ideologiche.
La sua propensione a guardare il mondo con gli occhi degli altri e delle altre era il frutto, razionale ma anche emotivo e sentimentale, di un impegno che non aveva espunto la pietas e che si nutriva di rigore morale, di sensibilità e di conoscenza: un impegno totalizzante e radicale, generoso fino alla dissipazione di sé, intransigente fino all’ostinazione; insomma, l’intera esistenza come impegno.
Grazie a lui, soprattutto, insieme e con molte/i altre/i fondammo la Rete antirazzista, un’esperienza breve e intensa di raccordo fra associazioni antirazziste in tutta Italia che durò dal 1994 al 1997. Un’esperienza che lui e io (ne fummo i portavoce) ma anche altre/i compagne e compagni (ma non tutte/i, purtroppo) non avremmo mai smesso di rimpiangere. Poiché fu un antirazzismo còlto e radicale, che anticipò di molti anni analisi, temi e rivendicazioni che oggi qualcuno crede siano inediti: le persone migranti e profughe come soggetti esemplari del nostro tempo, il tema della cittadinanza europea di residenza, la battaglia per il diritto di voto e la civilizzazione delle competenze sul soggiorno, la critica ai lager di Stato.
Si era al tempo del primo “governo amico” e la voce fuori dal coro della Rete antirazzista sarà presto messa a tacere.
Ciò che può dire chi lo ha frequentato e con lui ha vissuto fertili stagioni di lotta è che la sua assenza splende oggi accecante come un inesorabile sole senza tramonto, per parafrasare una poesia di Jorge Luis Borges.
Oggi, di fronte allo stillicidio quotidiano di esodi che hanno come epilogo la morte in mare di centinaia di profughe/i o il forzato ritorno alle tragedie e alle persecuzioni da cui hanno tentato la fuga, ci sorprendiamo a pensare: certo, il frenetico attivismo di Dino non riuscirebbe, da solo, ad aver ragione della nostra debolezza politica e della rozza e feroce arroganza degli imprenditori politici del razzismo.
Eppure quanto ci mancano e quanto ci sarebbero preziosi, proprio in questa fase, i suoi dieci comunicati al giorno che arrivavano in ogni redazione e in ogni angolo d’Italia, la sua inflessibile e irritante caparbietà cui nessuno riusciva a sfuggire, il suo ostinato lavoro da vecchia talpa che scova, porta alla luce e denuncia ingiustizie e crimini contro i dannati della terra, la sua capacità di opporre dati, cifre, fatti alle pataccate degli specialisti della xenofobia e del razzismo.
Il 5 giugno prossimo, data che coincide con quella del suo compleanno, ma anche dell’anniversario della sua scomparsa, “Senza Confine”, l’associazione che da Dino fu fondata da con Eugenio Melandri, anche quest’anno lo ricorderà, e con un duplice appuntamento: il primo, alle 10.30, all’ingresso del cimitero del Verano in Via dello Scalo di San Lorenzo; il secondo alle 18.30, nei Giardini di Piazza Vittorio, per confrontarsi con collettivi, associazioni e altri gruppi sui temi della pace e delle migrazioni.
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Dino e il respiro del mondo di Annamaria Rivera
Il ricordo di di Dino è indelebile. Mi ricordo del suo impegno, della sua unicità e autenticità.
Adel Jabbar
Grazie Adel.
Tengo la sua poesia: se morissi oggi….e mi commuovo. Avevo incontrato Dino a Verona, mi sembra ieri ma dite che sono trascorsi venti anni.
Siamo in tante e tanti a ricordare Dino e molti di noi: piangiamo la sua assenza. La sua dipartita commossi a molte persone, associazioni, amici e compagni di Dino.
Ho avuto il piacere di conoscerlo mentre ero nel Direttivo e Presidenza dell’associazione delle Capoverdiane in Italia.
Straordinaria fu la sua vicinanza e collaborazione con la nostra organizzazione e con molte altre rappresentate da coloro che provenivano dall’estero.
Caro Dino:
NON TI DIMENTICHEREMO MAI@
Il piazzale dell’Altra Economia a Testaccio è intitolato al suo nome. Ecco chi è! Non poteva esserci un luogo migliore. È raro che il nome di una strada, specialmente a Roma, sia stata scelta con così alto criterio.
Cara Annamaria,
come al solito, o forse più del solito, si legge l’empatia in quanto scrivi e l’isomorfismo con quanto attribuisci a Dino.
La congiuntura era difficile allora, è ancora peggiore, di gran lunga, oggi. Per questo il pensiero e l’operare di Dino e di chi con lui ha condiviso la bella esperienza della Rete antirazzista sono emblematici.
Cercherò di assistere il 5 giugno a Piazza Vittorio
Dino Frisullo è stato indubbiamente fra gli animatori principali delle breve e significativa esperienza della Rete Nazionale Antirazzista.
Fra l’altro, si è particolarmente impegnato contro la discriminazione a cui è sottoposta la popolazione Rom.
A lui devo la conoscenza della causa curda, che continua a interessarmi e appassionarmi ancora oggi.
Di persone come Dino si avverte la mancanza in una situazione difficile come quella attuale.
Lo ricordiamo con affetto e con rimpianto: crediamo anche che il suo ricordo possa esserci di sprone ad un rinnovato, urgentemente necessario, impegno antirazzista.
Cara Annamaria
bellissimo il tuo ricordo di Dino che ci parla dei difficili momenti di oggi purtroppo in larga indifferenza sociale
Chi in quegli Anni fu veramente a*sinistra non puo e non si deve dimenticare di Dino Frisullo!