di Virginia Benvenuti
Era appena il 22 aprile quando, con l’occupazione temporanea di Palazzo Nardini – splendido palazzo cinquecentesco, ex sede storica della Casa delle Donne, chiuso negli anni ’80 per “improrogabili lavori di restauro”, ma lasciato in stato di abbandono e degrado per trent’anni -, fu lanciata la campagna deLiberiamo Roma.
Era una calda e mite giornata di inizio primavera e l’iniziativa fu pacifica, gioiosa e accolta con estremo favore da cittadini e turisti di passaggio che, anche se solo per poche ore, hanno potuto accedere ad un palazzo, nel pieno centro della Capitale, a loro precluso da anni. E poi la conferenza stampa, il corteo spontaneo tra canti e slogan per dirigersi verso il Campidoglio e depositare le quattro delibere di iniziativa popolare sul riuso ai fini sociali del patrimonio pubblico e privato abbandonato, la ripubblicizzazione di Acea, la difesa e valorizzazione della scuola pubblica, la ripubblicizzazione di Cassa Depositi e Prestiti per una finanza sociale. Quattro proposte, nate dal basso e dal coinvolgimento dei cittadini già dalla scrittura delle delibere, per ridisegnare un nuovo modello di città: una città da sottrarre alla speculazione vorace, alla cupezza dell’austerity, alla disperazione di un modello sociale sempre più iniquo; una città da restituire ai suoi abitanti, chiamandoli direttamente alla partecipazione e attivazione. In sintesi, un modello completamente antitetico a quello delineato dal “Salva Roma” e dalle politiche neoliberiste di cui il governo Renzi è un diligente e risoluto esecutore.
Nei mesi successivi, i comitati promotori delle quattro delibere hanno organizzato centinaia di banchetti in giro per la città, nelle strade, le piazze, gli spazi occupati, in occasione di feste, concerti e iniziative, riuscendo in questo modo a parlare alla cittadinanza e farle comprendere che l’alternativa c’è, esiste, ma dobbiamo essere noi a generarla e indicarla a chi ci governa. In 32mila (tante le firme raccolte) hanno creduto in questa possibilità.
Sono trascorsi solo poco più di cinque mesi da quel 22 aprile, quel giorno in cui sembrava che la città fosse nostra, che ce la potessimo veramente riprendere e riconquistare. Poi, depositate le firme necessarie, la palla è passata alle istituzioni e, come con un disco rotto, la musica si è bruscamente fermata e l’altro giorno ci siamo scontrati con la totale indifferenza dei cosiddetti “rappresentanti” che preferiscono rimanere totalmente sordi alla voce di coloro che dovrebbero rappresentare.
Tre mesi fa avevamo, infatti, chiesto un incontro con i capogruppi dei partiti presenti in Campidoglio e con i presidenti delle Commissioni, fissato per il 3 ottobre alle ore 15 in Protomoteca. Siamo arrivati all’orario prestabilito, ma la Sala era chiusa. Ci è stata aperta con un’ora di ritardo, poi i vigili hanno impedito a parte dei 500 cittadini presenti di entrare, per “sovraffollamento di volti non raccomandabili”. Finalmente alle 16.30 eravamo tutti all’interno ma i rappresentanti del Comune, che avevano confermato fino all’ultimo la loro presenza, non si sono fatti vedere.
Abbiamo quindi pacificamente invaso la piazza del Campidoglio e atteso il loro arrivo. Alle 18 abbiamo incontrato Erica Battaglia (Pd), Presidente della Commissione Politiche Sociali, Marcello De Vito, capogruppo 5stelle e Gianluca Peciola, capigruppo di Sel, chiedendo la calendarizzazione delle delibere nelle Commissioni competenti e poi in Consiglio Comunale entro dicembre. Inoltre abbiamo richiesto un incontro urgente con il presidente dell’Assemblea Capitolina per illustrare le nostre delibere e chiedere motivo dell’ingiustificata assenza di oggi dei rappresentanti istituzionali.
Ma questa volta non ci faremo trovare impreparati: se l’Amministrazione comunale dovesse mostrare ancora sordità per le richieste della cittadinanza romana, questa non si fermerà e replicherà di conseguenza.
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