I bambini sono arrivati in quinta. Comincia l’ultimo anno, non si può non guardare al futuro. La maestra domanda agli alunni cosa vogliono fare da grandi. Quei due dell’ultimo banco a destra sono sempre un po’ strafottenti, loro si sono piaciuti subito, fin dal primissimo giorno di scuola, e sono diventati inseparabili, ma la cosa più sorprendente è che hanno le idee chiarissime su quel che vogliono diventare… Un racconto del nostro tempo di Alessandro Ghebreigziabiher
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di Alessandro Ghebreigziabiher
“Allora, bambini”, esclama la maestra, “siete finalmente arrivati in quinta, l’anno prossimo si va alle medie.”
La donna fa una carrellata degli alunni, dei volti, degli occhi e del disegno del sorriso, più o meno entusiasta.
La ragione è banale, poiché l’anno venturo, ma che dico, ogni istante che attende le giovani vite a lei affidate si tinge di tonalità emotive di un’eterogeneità assoluta. C’è chi attende con ansia il pomeriggio imminente, perché finalmente incontrerà suo cugino, fresco di natalità e pianti, e pannolini, e latte in polvere… e per fortuna che ci siamo già passati, pensa con sollievo l’insegnante.
Al contempo, tra gli altri, c’è chi aspetta la ricreazione per gustarsi la pizzetta al pomodoro strappata alla mamma, tra una merendina biologica e l’altra, e chi invece non vorrebbe mai tornare a casa, a meno che accompagnato da tutti gli Avengers, Harry Potter e Jack Sparrow messi insieme, ma andrebbe bene anche un assistente sociale, se sapesse cosa sia, e così via.
I nostri, come è stato per gran parte del quinquennio elementare, si sono piaciuti sin dall’inizio e dal primissimo giorno di scuola sono diventati inseparabili, arrivando perfino a trascurare tutti gli altri. Come se per entrambi la classe fosse solo l’altro e viceversa.
“Voi”, fa la maestra, cercando di ottenere attenzione, visto che sono gli unici a non aver reagito alle sue parole con uno straccio di espressione partecipante, “siete pronti per l’ultimo anno?”
“Sì, è chiaro”, fa uno.
“Certamente, che domande”, concorda l’altro.
Un pizzico irritata dal comune tono al limite dello strafottente, la donna si affida al potere scolastico nelle sue mani.
“Avete fatto il compito per oggi?”
“E’ naturale, prof, ci mancherebbe”, dice uno.
“Scherza?” ribatte l’altro.
“Allora”, incalza la maestra citando il tema in oggetto, “cosa volete fare da grandi?”
“Io cercherò di capire come è fatta la gente, ma non tutta la gente, la maggior parte. Non cosa pensa la maggior parte, ma cosa desidera di più e per cosa farebbe di tutto per averla. Quindi vedrò di scoprire di cosa quella maggior parte di gente ha paura e cosa la fa arrabbiare, cosa la rende triste e cosa le farebbe fare le cose peggiori.”
“E cosa ci farai con tutto questo?”
“E me lo chiede pure? Una volta saputo, lo userò.”
“A quale scopo?”
“Per comandare la maggior parte della gente e fargli fare quello che voglio.”
“Ed è questo che vuoi fare da grande?”
“Sicuro, tutti vorrebbero, secondo me.”
“Quasi tutti”, interviene l’altro.
“Giusto”, approva il primo.
“Perché”, fa la maestra, “tu cosa vorresti fare?”
“Io mi metterò tra quella maggior parte di gente che vuole comandare lui e gli dirò che se vogliono parlare tra di loro, conoscersi meglio, incontrarsi, e soprattutto fare amicizia con tutti quelli che la pensano esattamente come loro, ci sono io.”
“Ti chiedo la stessa cosa”, fa l’insegnante piuttosto interdetta, “a quale scopo?”
“Che domanda stupida, maestra: in questo modo nessuno parlerà più con chi la pensa in modo diverso, quindi nessuno litiga e tutti vanno d’accordo con quelli con cui vanno d’accordo.”
La donna comincia a capire i loro desideri e osserva i due con un’espressione scossa, tra la confusione e l’inquietudine.
“Bambini, siete davvero convinti di chi volete diventare?”
“Certo”, fa uno, “io da grande farò il populista.”
“E io farò il Social Network”, risponde l’altro.
“Una coppia perfetta”, pensa la maestra cercando di infondersi speranza concentrando lo sguardo sul resto della classe.
Tratto da Romanzi e Racconti di Alessandro Ghebreigziabiher
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