
Una scuola di italiano è prima di tutto l’invenzione di uno spazio creativo dove costruire relazioni di uguaglianza tra non uguali, liberato da rapporti di dipendenza e potere.
Émile Benveniste definisce l’ospitalità come un tipo di relazione tra individui o gruppi che si lega a dei rituali che consistono nello scambio reciproco di una serie di doni e contro doni. Questo rituale di scambio di doni e contro doni non può che avvenire all’interno di un ambiente costruito sulla convivialità così come dovrebbe essere pensata una scuola di italiano con donne e uomini migranti, rifugiati e richiedenti asilo.
Qualche giorno fa abbiamo accolto un piccolo gruppo di insegnanti della Rete Scuolemigranti di Roma nelle nostre classi di italiano per condividere insieme una giornata di scuola, in occasione della formazione su come rendere la scuola un “luogo”, uno spazio ospitale creativo che incoraggi la creazione di una comunità e la continuità dei gruppi classe.


Il dono che reciprocamente ci siamo scambiate è il ritratto di un maestro di una maestra importante per noi e il racconto di cosa ci hanno insegnato. Abbiamo quindi preso pezzi di stoffa, bottoni, scampoli di tessuto colorato o a fantasia e abbiamo provato a dare forma a quegli occhi, quelle bocche, quei nasi e quei capelli che raccontano una storia.
[S.] “Un mio maestro è mio padre. Lui lega il turbante sulla testa e ha la barba bianca. Lui è tranquillo. Lui vive a Roma con me. Lui mi insegna tutto: come andare in bicicletta, come essere calmo e tranquillo…”.
[B.] “Una mia maestra è mia sorella. Lei è bella, ha gli occhi neri e i capelli lunghi e neri. Lei vive in Bangladesh. Lei mi insegna come tagliare la stoffa e come cucire i vestiti…”.
[P.] Ho un’amica che si chiama Sandra. Lei è alta, ha i capelli neri ed è molto bella. Lei vive ad Ancona con il marito e il suo bambino. Lei mi insegna ad essere paziente.
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