Proviamo per una volta a capovolgere il ragionamento. La notizia non è “anche questa estate migliaia di animali vengono abbandonati”, ma “anche quest’estate migliaia di persone si spostano con loro”. E ancora: “mai si è assistito all’abbandono dell’uomo da parte del proprio cane, neanche quest’anno”. La domanda resta: da quale stordimento della sensibilità prende forma la crudeltà dell’abbandono? Troppo spesso l’uomo, nella sua dilagante concezione antropomorfa, non riesce a vedere l’animale come soggetto. Gli animali, in realtà, non solo pulsano di vita, ma provano emozioni, “quelle semplici e primitive come la gioia e il dolore – spiega Annamaria Manzoni -, ma anche quelle più complesse come la gelosia e la vergogna…”
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Nel bilancio preventivo che precede ogni inizio, sarebbe bello per una volta non dover immettere, tra le voci di questa nuova estate, quello dell’abbandono degli animali domestici, cani in primo luogo e tutti gli altri a seguire. Sarebbe bello, ma i dati di realtà costringono a quel pessimismo dell’intelligenza, a cui ci riportano le notizie di cronaca, che in questi giorni hanno già cominciato a rincorrersi, con i numeri dell’abbandono e le regioni che ne detengono da sempre il primato, Calabria, Sicilia, Campania tenacemente ai primi posti. Dietro i numeri, le storie di ognuno di quegli animali “da compagnia”, stremati di fame e sete, a morire in qualche luogo negletto, o spiaccicati nell’urto di un parafango o, nella più fortunata delle ipotesi, disorientati nell’estraneità di un canile-rifugio.
Le cifre che di estate in estate segnano la barbarie degli abbandoni si contano in centinaia di migliaia, nonostante le campagne che da anni si ripetono: e sono l’apoteosi di quel fenomeno che, in misura più contenuta, non registra tregua nel corso dell’anno, innescato dal cambiamento di casa o di situazione familiare, dalle difficoltà connesse alla gestione dell’animale, dalla noia in cui ha finito per sbiadirsi una precedente passione.
Gli animali vittime di abbandono sono quelli cosiddetti da affezione, espressione quanto mai impropria se è vero che il termine affezione è riferito a quel legame di affetto reciproco che dovrebbe connotare la relazione umano-nonumano, relazione che in troppi casi si rivela a senso unico: mai si è assistito all’abbandono dell’uomo da parte del proprio cane, sempre disposto a seguirlo nelle peggiori situazioni, pronto a trotterellargli al fianco, se mai con un’occhiata interrogativa, subito inglobata nell’ansia, tradita nel respiro affannoso, nel cuore che batte all’impazzata: per una sola paura: non farcela a seguirlo.
E dall’altra parte? Dall’altra parte certo c’è una miriade di persone che non si allontanano da casa per un solo giorno da quando l’amico a quattro zampe l’ha reso difficoltoso o hanno cominciato a frequentare solo posti dove anche lui è ammesso o mai elaborerebbero un progetto di vita che non contemplasse la sua presenza. Ma, accanto a queste, ci sono centinaia di migliaia di individui che il problema non se lo pongono perché, quando vissuto come gravoso, il cane (o il gatto, il porcellino, il coniglietto….) semplicemente lo scaricano lontano, magari in autostrada per meglio proteggersi nell’anonimato: troppa fatica persino portarlo in un rifugio.
Da quale stordimento della sensibilità prende forma questa crudeltà? È evidente che l’abbandono è solo l’ultimo atto di un rapporto squilibrato, le cui fondamenta affondano in una svilita considerazione dell’animale: troppo spesso l’uomo, nella sua dilagante concezione antropomorfa, non riesce a vedere l’animale come soggetto che, in tutta la sua diversità, è portatore di diritti da rispettare. Il cane, il gatto, il criceto, il furetto (!), il pitone (!) e tutti gli altri, vengono scelti con la superficiale noncuranza che si dedica alle cose, a cui viene riconosciuto solo un valore monetizzabile: li si considera poi proprietà personale, come per altro bene indicano gli appellativi “padrone” o “proprietario” con cui si continua a designare il proprio ruolo rispetto ad un animale. Se questo è il punto di partenza, tutto il resto è consequenziale: si è “proprietari” di cose e, se si tratta di esseri senzienti, di schiavi: delle une e degli altri si può fare ciò che si vuole. Questo approccio, totalmente sbilanciato, induce a non guardare l’altro, il nonumano, con il rispetto che la sua essenza, così diversa dalla nostra ma così ugualmente dignitosa, merita e richiede. Se lo si fa, allora è davvero un mondo ad aprirsi ai nostri occhi: ogni animale, in modo peculiare alla propria specie di appartenenza, non solo pulsa di vita, ma prova emozioni, quelle semplici e primitive come la gioia e il dolore, ma anche quelle più complesse come la gelosia e la vergogna. Nella conoscenza reciproca, nel gioco del riconoscimento dello stato d’animo dell’altro, è allora possibile stabilire una relazione complessa e profonda in cui ciascuna delle due parti, quella umana e quella nonumana, non può che arricchirsi.
Tutta la storia dell’umanità ci ha visto a fianco degli altri animali: nella nostra società contemporanea, nell’habitat innaturale delle città, molte specie non possono sopravvivere per conto loro, ma abbiamo talmente bisogno di loro che siamo andati sempre più circondandoci di quelli domestici, o che abbiamo addomesticato: dei quali, essendo essi totalmente dipendenti da noi, diventiamo in toto responsabili. Chi si sente padrone e proprietario, dispensatore a suo piacimento di bene e di male, padrone della vita e della morte, si limita a soddisfare il proprio egoismo e il proprio desiderio di potere.
È giusto e doveroso che le leggi siano intervenute a sancire e punire come reato l’abbandono di animali; quando la natura umana non ce la fa da sola a riconoscere la profonda immoralità di certe azioni, deve essere la lungimiranza del legislatore a sopperire a tali vuoti, con l’obiettivo che il rispetto per gli animali, imposto per legge, venga poi introiettato come valore.
Credo che, tra tutte le emozioni sperimentabili, dagli umani come dai nonumani, la più forte e intollerabile sia la paura: da questa, dalla sua forma estrema che è il panico, è invaso qualunque animale strappato alla sua normalità, fatta di cose e luoghi conosciuti, di voci, anche severe, a cui dare ascolto. Ancora prima della sofferenza fisica a cui inevitabilmente andrà incontro, sarà lo sconvolgimento del terrore quello che proverà un animale abbandonato, un terrore che lo immobilizzerà al bordo di una strada o lo costringerà a correre disperatamente, senza direzione, lontano. Ci sarà poi lo sfinimento, ma anche, c’è da scommetterci, il rimpianto e la nostalgia, se sarà rimasto ancora del tempo. Perché, nonostante tutto, continuano ad amare. I cani.
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