«La grande quantità di movimenti sociali di tipo orizzontale che continuano a erompere all’improvviso nel pianeta – più di recente in Brasile, Turchia, Bulgaria e in Egitto -, spesso trovano nel cuore del sisma ciclisti di Critical Mass (Cm). Ciò non significa accreditare Cm come il necessario precursore o la causa principale – scrive Chris Carlsson, scrittore e artista statunitense, tra i promotori della prima Cm a San Francisco -, bensì semplicemente constatare che la nostra esperienza condivisa nella costruzione di Critical Mass in più di quattrocento città del mondo nelle ultime due decadi ha già profondamente influenzato il nostro modo di pensare e impegnarsi in politica, nella società civile, nella pianificazione urbana e molto di più». Dopo tanti anni la Cm resta importante perché è un’espressione della vita stessa, «un’opportunità di assaggiare, per quanto fugacemente, un breve momento di un altro modo di vivere, non dominato dell’andirivieni frenetico lavoro-casa, non ridotto all’acquisto e alla vendita». Un modo per dimostrare che ogni mese qualcosa di completamente inaspettato potrebbe accadere.
di Chris Carlsson
E’ l’ultimo venerdì di luglio 2013 e, naturalmente, sta per svolgersi la San Francisco Critical Mass, a partire dalle 6.30 circa, dal Justin Pee Wee di Herman Plaza, come sempre negli ultimi vent’anni e mezzo. Oggi non ci andrò, non perchè di solito non partecipi ancora, divertendomi, ma perché, alla stessa ora, farò qualcos’altro per cui ho acquistato i biglietti.
Guarda caso, è la stessa settimana in cui è stato pubblicato dal San Francisco Weakly l’articolo di Joe Eskenazi Critical Mass Goes Round and Roundî («Critical Mass va in giro»). Alcuni amici si sono chiesti come l’abbia presa, visto che Eskenazi tenta di riepilogare l’impatto politico di vent’anni di Critical Mass nell’ambito dell’utilizzo della bicicletta, e, più in generale, delle priorità degli spostamenti in città. Nel pezzo vengo anche citato qualche volta: il risultato di un’ora passata a parlare con Joe un mese fa o giù di lì.
Non mi piace che un insieme complesso di idee ed esperienze sia ridotto a poche parole decontestualizzate che servono solo a rafforzare la mia apparente disconnessione da ciò che conta in termini di realpolitik a San Francisco. Ma è ciò che farà il giornalismo mainstream, perfino – o soprattutto – in un settimanale alternativo. Nel complesso non credo che Eskenazi abbia fatto un cattivo lavoro nel fotografare l’attuale malessere che turba Critical Mass (un disagio visibile solo a coloro tra noi che hanno a lungo riposto speranze più ambiziose di un radicale cambiamento sociale), e penso sia stato preciso nel mettere in luce i severi limiti della ristretta agenda corporativista della SF Bicycle Coalition (Sfbc), sia per i suoi auto-proclamati successi, sia per il reale stato delle cose per i ciclisti a San Francisco.
Critical Mass, naturalmente, non è un’organizzazione e pertanto non ha un’agenda, nè l’ha mai avuta. Uno degli impulsi da cui è nata è che molti di noi avevano spesso sperimentato di essere trattati in strada, dai cittadini motorizzati nonchè dalla forma stessa delle infrastrutture, come cittadini di seconda classe. Eskenazi suggerisce che i nostri primi anni di «successo» dovevano insinuare nel Dna della gente di città la consapevolezza che i ciclisti esistono e meritano un posto. Penso sia fondamentalmente vero. Ma per me Critical Mass è sempre stata molto di più che semplice ciclismo. Come lui stesso riporta, piuttosto saltuariamente peraltro, lamento che l’Sfbc e i suoi alleati di governo «non abbiamo problemi particolari con il lavoro salariato», e che si concentrino in maniera miope solo sul convincere più gente a prendere la bicicletta. Andare in bicicletta è una gran cosa per tanti motivi intrinseci, ma di per sé semplicemente non è abbastanza.
In effetti, per me la bicicletta è sempre stata una scelta di trasporto che era ovviamente superiore ad altre ma, dal momento in cui ci unimmo in (Critical M)asse, divenne rapidamente ovvio che c’era molto altro in gioco. La carenza di spazio pubblico e di opportunità di raccoglierci e incontrarci e discutere di qualsiasi cosa pubblicamente, senza essere assoggettati al continuo imperativo di comprare qualcosa, emerse da subito come un elemento fondamentale del perché Critical Mass fosse importante.
Nel nostro libro Shift Happens! Critical Mass at 20 (Il Cambiamento Accade! Venti anni di Critical Mass), abbiamo raccolto contributi da due dozzine di testimoni di diverse città nel mondo che mostrano come Critical Mass si sia diffusa a largo raggio e, ripetutamente, abbia cambiato in modo simile le città in cui è apparsa. Come nota Eskenazi, nel saggio di apertura scrissi di aver visto una sorta di «ciclo di vita» di Critical Mass in posti diversi che, di solito, include l’esperienza aperta, utopistica e speranzosa che ha catturato tanti di noi, della durata, grosso modo, di cinque anni. In seguito, coloro che danno vita a quell’«età dell’oro» spesso si rivolgono ad altre modalità di conseguimento di speranze e obiettivi, lanciando organizzazioni di sostegno più convenzionali, o rivolgendosi completamente ad altre attività come l’agricoltura urbana oppure il software libero (altrettanto spesso, naturalmente, attivisti di quelle arene si sono uniti ad altri ciclisti per dare una spinta a Critical Mass ai suoi esordi, in Brasile, Messico, Italia o in Ungheria), oppure iniziando la condivisione del fai da te per la riparazione delle biciclette («Bike kitchens»).
La grande quantità di movimenti sociali di tipo orizzontale che continuano a erompere all’improvviso nel pianeta – più di recente in Brasile, Turchia, Bulgaria e in Egitto -, spesso trovano nel cuore del sisma ciclisti di Critical Mass. Ciò non significa accreditare CM come il necessario precursore o la causa principale, bensì semplicemente constatare che la nostra esperienza condivisa nella costruzione di Critical Mass in più di quattrocento città del mondo nelle ultime due decadi ha già profondamente influenzato il nostro modo di pensare e impegnarsi in politica, nella società civile, nella pianificazione urbana e molto di più.
Il fatto che la San Francisco’s ride sia così prevedibile e spesso noiosa, assente da qualsiasi discussione politica interna, pubblicazione, confronto sociale o qualsiasi altra cosa vicina a ciò che l’ha resa così vitale nei suoi primi cinque anni, non la rende priva di significato o di importanza. Resta un momento di raccolta, un posto dove le persone si incontrano, dove nascono idee e, mese dopo mese, è un terreno di allenamento per auto-organizzarsi spontaneamente. Sebbene possa sembrare banale e ripetitiva e sia troppo spesso gestita da corridori o poliziotti, resta il fatto che ogni mese qualcosa di completamente inaspettato potrebbe accadere, e a coloro che sono alle loro prime volte, può ancora infondere quell’euforia che noi tutti conosciamo così bene. Anch’io la provo ancora, di tanto in tanto, e vado in bicicletta da vent’anni!
Critical Mass non deve rispondere ad alcuna misurazione sulla sua efficacia. Non Ë un’esperienza strumentalizzata per «arrivare a» qualcosa. E’ vita vera, aperta e flessibile, e in quanto realtà permanente dell’ultimo venerdì di ogni mese, è sempre lì per essere rigenerata, riproposta e rianimata da chiunque creda valga la pena di fare lo sforzo. Sono contento che continui. Non è qualcosa che facciamo per guadagnare punti in politica o soddisfare qualsiasi altra richiesta. E’ un’espressione della vita stessa ed è ancora un’opportunità di assaggiare, per quanto fugacemente, un breve momento di un altro modo di vivere, non dominato dell’andirivieni frenetico lavoro-casa, non ridotto all’acquisto e alla vendita, un’esperienza che vale la pena vivere, e annusare e condividere… e nient’altro.
Fonte: nowtopians.com
Traduzione: Elisabetta Mincato per Comune-info.
Chris Carlsson, scrittore e artista da sempre nei movimenti sociali statunitensi, è stato tra i promotori della prima storica Critical mass a San Francisco e autore, tra le altre cose, dell’ottimo «Nowutopia» (Shake edizioni) e, più recentemente, di «Critical mass. Noi siamo il traffico» (Memori).
Letture consigliate:
Sulla facciata della società capitalista crescono ogni giorno crepe. Persone e movimenti dicono: «Cominciamo adesso a costruire un mondo diverso». Un racconto/analisi di Chris Carlsson, scrittore e artista statunitense, dopo un incontro con Jonh Holloway, l’autore di Crack capitalism
Invece del fantasma evocato da Marx, potrebbe essere che per il mondo cominci ad aggirarsi un mormorio: non saremo entrati nell’era della rivoluzione? Gustavo Esteva traccia un breve quanto lucido resoconto della discussione che si è accesa, anche in Messico, con la successione di rivolte che sta scuotendo l’intero pianeta. Abbondano, naturalmente, i sospetti, le elucubrazioni e le dietrologie. Quel che conta, tuttavia, segnala Esteva è che quello di oggi, come ha scritto (anche su Comune-info) Raul Zibechi, «è l’inizio di qualcosa di nuovo». Le lotte più recenti non sono più per conquistare diritti negati o ridistribuire le richhezze, sono contro lo sfruttamento, l’ingiustizia e il capitalismo. Qualcuno insiste nel pensare che debbano essere guidate e organizzate dall’esterno per orientarle alla verità rivoluzionaria delle avanguardie ma milioni di donne e gli uomini si sono messe in movimento senza chiedere il permesso
La rivoluzione comincia in strada
Critical Mass nasce grazie a decine di abitanti di San Francisco e si è diffusa in oltre 350 città in tutto il mondo. Dopo vent’anni, forse un po’ di euforia collettiva è venuta meno e ha preso altre forme, ma non per questo si è trasformata in qualcosa di meno potente nell’interazione delle persone comuni con la vita delle città. La Critical mass, spiega Chris Carlsson, scrittore e artista, uno dei promotori del movimento Cm, resta un modo unico, allegro e contagioso di resistere, un rifiuto creativo del dominio capitalistico perché non è un’organizzazione, non inoltra petizioni a politici delegati, non segue percorsi né tantomeno leader. «Rotoliamo ovunque, non ci fermiamo mai. Siamo uno spazio pubblico in movimento».
«Ho assistito a molti straordinari cambiamenti nella mia vita – scrive Rebecca Solnit, scrittrice, da sempre impegnata nei movimenti statunitensi – alcuni dei quali negli ultimi dieci anni. Sono nata in un paese che era stato galvanizzato e sconvolto dal movimento per i diritti civili, ma ancora mancavano un significativo movimento ambientalista, uno femminista, o un movimento omosessuale… Se assumete una prospettiva di lungo periodo, vedrete come sorprendentemente, come inaspettatamente ma regolarmente le cose cambino. Non per magia, ma per l’effetto incrementale di innumerevoli atti di coraggio, amore e impegno…. Non bisogna assumere che tutto si risolverà per il meglio, a prescindere; sto solo dicendo che ogni cosa è in movimento, e qualche volta siamo noi stessi in movimento. Si guarda avanti alle possibilità: questo è ciò che intendiamo per Speranza, si guarda oltre, nell’impossibile e neanche questo vi ferma. Ma per lo più si cammina semplicemente, piede destro, piede sinistro, piede destro, piede sinistro. Questo è ciò che rende inarrestabili».
Video. Intervista a Chris Carlsson a proposito della Cm (in inglese, 2010)
[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=ZuwbrjCTGYI[/youtube]
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