In questo mondo afflitto da terrificanti conflitti, l’allegra mattanza pasquale non può essere derubricata a fatto privo di importanza, sulla scorta del mantra “con tutto quello che succede…”. Al contrario quella strage sostiene la normalizzazione e l’ubiquità della crudeltà del più forte sul più debole, crudeltà, che non è opera di sadici o psicopatici, ma è intrinseca al tessuto stesso delle nostre società
Le ricorrenze, nel loro preciso ripetersi, tracciano punti fermi nel nostro calendario interiore, richiamando a una sorta di memento: ricordati, ricordati di ricordare qualcosa che non va dimenticato. Quelle religiose, per chi religioso si ritiene, dovrebbero anche essere un monito, un richiamo a dogmi, credenze, riferimenti che però sempre più spesso appaiono appannati nel mondo occidentale dove la tendenza in ascesa è quella del fai quello che vuoi purché ti piaccia. Tanto che dichiararsi credente per molti finisce per limitarsi a un’etichetta che risulta protettiva, pur nel materialismo dilagante, in quanto assicura nell’al di là la strada verso un’immortalità sempre agognata, ed è nel contempo garanzia, nell’al di qua, di un’accettazione sociale, basata sull’ostinata equazione religioso uguale buono, capace di fornire una sorta di pregiudizio positivo, per cui non esiste necessità di dovere argomentare: basta la fede, che per altro è dono e non merito.
Tutto bene? Non proprio. Fatto salvo il sacrosanto diritto alle proprie credenze, esistono addentellati, accessori a queste stesse credenze che investono un ambito che non è più quello spirituale intoccabile, ma invade vita e morte di centinaia di migliaia di altri esseri senzienti, nello specifico, quando si parla di Pasqua, di agnelli. La loro uccisione non conosce sosta lungo tutto l’anno, ma, in questa ricorrenza, diventa rito, tradizione, cultura, e rispolvera il postulato, per sua natura indimostrabile, che l’agnello, quello di Dio, è colui che toglie i peccati dal mondo attraverso la sua stessa morte: lui, innocente, indifeso, fragile viene allora condannato a una morte impietosa così da redimere l’uomo dai suoi peccati. Vecchia storia che si rifà al concetto di capro espiatorio, colui sul quale vengono riversati i debiti umani non pagati che lui, morendo, si dice riscatterà. Chi mai davvero può credere in questa narrazione che è l’apoteosi dell’ingiustizia, per cui il peccatore si salva compiendo un altro peccato, quello dell’uccisione di un innocente, di milioni di innocenti? Torna alla mente la figura, non si sa quanto storicamente dimostrata, dell’whipping boy, il ragazzo che, all’inizio dell’età moderna, affiancava un giovane principe in modo che, quando questi commetteva errori, venisse frustato al posto suo, preservando così il nobile da umiliazione e dolore. Se questa situazione lascia noi contemporanei increduli, non riesce comunque a disappannare il nostro sguardo davanti ad altre ingiustizie del tutto simili che continuiamo serenamente a compiere attribuendo loro significati spirituali. In fondo, per altro, in forme fortemente diverse, la tentazione di far pagare ad altri le nostre colpe non ci è certo estranea, anzi esercita un’attrazione di non poco conto, sintetizzabile nella convinzione che l’importante è il nostro benessere, chissenefrega se pagato con miserie altrui. E questi altri, i capri espiatori, incaricati della missione, sono sempre i più deboli, quelli privi di diritti, incapaci di vendetta: tutto considerato, in quanto specie che teorizza e sostiene tutto questo, non ne usciamo davvero bene e ci iscriviamo a tutto tondo nella categoria dei codardi.
Ma all’allegra mattanza pasquale degli agnelli si unisce anche uno stuolo di non credenti, che, per l’occasione, rispolvera un attaccamento imprevisto alla tradizione, che incredibilmente affida all’abbacchio, il quale, al forno o alla romana, magari con contorno di patate, dovrebbe essere il mezzo per celebrarla. E l’abbacchio, giusto per ricordare i distratti e gli smemorati, è l’agnello ucciso entro i primi due mesi di vita: insomma appartiene a quello stuolo di decine di migliaia di neonati d’altra specie che già stanno affollando le nostre strade e autostrade, stipati sui camion, belanti di terrore e di sgomento, per arrivare ad essere macellati giusto in tempo per le nostre tavolate.
In un mondo che ogni anno macella circa 70 miliardi di animali, limitando la conta solo a quelli terrestri, hanno forse poco senso la rabbia e il raccapriccio davanti alla strage di questi cuccioli, quasi le nostre reazioni sancissero un loro diritto alla vita maggiore di quello delle vittime di altre specie. Così non è: ma esistono particolari ragioni, o forse emozioni, solleticate da questo scempio, in primo luogo riferite alla abitudine di celebrare una festa, per giunta cattolica, con il massacro di altri esseri, come in questo caso, di assoluta innocenza: quale mai logica perversa può reggere una ingiustizia tanto conclamata?
C’è anche altro a caratterizzare l’uccisione di altri animali, ma non degli agnelli. Uno dei tanti meccanismi messi in moto per sdoganarla è quello che si serve della loro denigrazione: il maiale, per esemplificare, è costantemente rappresentato come brutto, sporco, grasso, dotato di istinti sconci, un vero maiale insomma. Il biasimo di cui lo si ricopre, e non fa nulla se in modo etologicamente del tutto scorretto, è il lasciapassare per la sua orrida eliminazione: uno così, in altri termini, se lo merita proprio il trattamento che gli riserviamo.
Non va meglio a galline, oche, tacchini, la cui presunta stupidità diventa autorizzazione al loro sfruttamento. I bovini sono invece circondati da una narrazione mistificata che li vede quieti e miti, tanto che La vache qui rit da oltre un secolo è costretta a guardarci felice dalla confezione del formaggio francese, fatto con il latte sottratto al suo vitellino mandato al macello.
Qualche problema in più lo procurano i cavalli, amati da molti quali animali da compagnia, problemi comunque presto accantonati se è vero che l’Italia brilla per i suoi primissimi posti nelle classifiche dei paesi importatori di carne equina dal resto del mondo. Animali di tante altre specie, quali i conigli, vengono semplicemente rimossi, dimenticati, resi invisibili.
Gli agnelli no: sono e restano simbolo di purezza, innocenza, vulnerabilità. Sono bianchi come il latte, il loro vagito è simile a quello dei bambini, sollecitano tenerezza e chiedono protezione. Celebrati nei peluches, smuovono commozione nei bambini, che si rispecchiano nella loro fragilità. Ecco, su di loro che sono simbolo di tutto ciò che è incontaminato dalle brutture del mondo, si scatena la brutalità di chi, per conto terzi, vale a dire industria e consumatori, svolge il lavoro sporco: li afferra per le zampe e li allontana, mentre belano la loro vana richiesta di pietà, dalle loro madri, quelle madri che, se conoscessero per intero la loro sorte ululerebbero come lupi come racconta Josè Saramago nel suo Vangelo secondo Gesù Cristo, quello in cui c’è posto anche per la tenerezza verso tutti gli altri animali. Caricati sui camion della morte, spinti in enormi macelli dove verranno accoltellati e lasciati a morire dissanguati, mentre i loro compagni terrorizzati guardano in attesa del proprio turno, testimonieranno con la loro morte il primato dell’homo necans, quello che afferma se stesso uccidendo altri e che di sapiens conserva davvero poco.
La strage degli agnelli, con i suoi picchi di crudeltà, non è un fenomeno a sé stante, ma piuttosto un tassello della geografia umana: da due anni anche il mondo occidentale è coinvolto nei teatri bellici di Ucraina e Gaza (che per altro sono solo la punta dell’iceberg di almeno altre 60 guerre sparse per il mondo) che gettano davanti agli occhi di tutti l’esistenza di uno sconvolgente potenziale umano di crudeltà: morte ovunque, distruzioni, uccisioni atroci anche di bambini e anziani, torture irraccontabili, sadismo normalizzato. Ora bisognerà pure arrivare a rendersi conto che la violenza è il più contagioso di tutti i virus, che tutte le forme in cui si concretizza e si manifesta si collegano direttamente o indirettamente l’una all’altra, che se qualche inossidabile idealista ambisse ancora e nonostante tutto a un mondo pacificato, non potrebbe prescindere dalla coscienza che la sua costruzione non può che passare attraverso l’esclusione della violenza tout court: in tutti i campi, contro chiunque diretta, da chiunque praticata.
Diceva Edmondo Marcucci, pacifista di fama internazionale, che “l’uccisione degli animali è un esercizio di violenza che abbrevia la distanza all’uccisione dell’uomo, alla guerra”. Mentre Aldo Capitini, filosofo della nonviolenza, sosteneva che se si fosse imparato a non uccidere gli animali si sarebbe risparmiata l’uccisione di uomini, perché la scelta nonviolenta avrebbe avuto ricadute sul nostro modo di essere: tanto che diventò vegetariano negli anni ‘30, convinto che la scelta di non uccidere animali avrebbe sostenuto il rifiuto ad uccidere gli uomini nella guerra che vedeva minacciosamente avvicinarsi.
Era invece Edgar Kupfer-Koberwitz, dalla sua esperienza di internato a Dachau, ad affermare “che gli uomini saranno uccisi e torturati fino a quando gli animali saranno uccisi e torturati e che fino ad allora ci saranno guerre”.
Ora, in questo mondo afflitto dai peggio conflitti, l’attuale strage degli agnelli non può essere derubricata a fatto privo di importanza grazie a quel confronto vantaggioso che, mettendola a confronto con le immani crudeltà sugli esseri umani, consenta di sminuirne il portato, sulla scorta del mantra con tutto quello che succede…! Al contrario sostiene pericolosamente la normalizzazione e l’ubiquità della crudeltà del più forte sul più debole, crudeltà, è bene ricordarlo, che non è opera di sadici o psicopatici, ma è intrinseca al tessuto stesso delle nostre società, che lungi dal condannarla, la sostengono culturalmente, come sostengono tutte le altre violenze legalizzate sugli animali. Fondamentale è allora riconoscerlo il male, e smettere di confondere ciò che è lecito con ciò che è giusto: per capire finalmente che l’uccisione di centinaia di migliaia di cuccioli, lecita, legale, normata dalle leggi, è e resta un crimine morale che nessuna legge morale può essere in grado di assolvere.
ANNA dice
Sarà che sono atea, ma l’agnello non lo mangio da decenni e credo non avrei il coraggio di mangiarlo neppure da credente
Annamaria Manzoni dice
Giusto: nessuna religione e nessun pensiero laico possono giustificare l’ingiustificabile
MASSIMO TERRILE dice
Le parole più giuste che esistano.
Annamaria Manzoni dice
Grazie Massimo
Tiziana Bianchi dice
Tutto quello che avete scritto in questo articolo risponde totalmente al mio sentire. La disumanità della maggior parte degli esseri umani ormai è fuori controllo e prego tutti i giorni per un risveglio globale…penso che succederà ma per ora siamo ancora in discesa purtroppo. Gesù l’agnello lo portava sulle spalle e non lo mangiava, tutto è stato distorto per guadagni su questi bellissimi cuccioli. Sono vegana da 15 anni e vegetariana da 30.
Annamaria Manzoni dice
Rincuora ogni volta l’incontro con persone che condividono lo stesso sentire e lo stesso concetto di giustizia. Grazie del commento
Giannella Biddau dice
Letto con molto interesse. È davvero una disanima ineccepibile sulla mediocrità e sulla pigrizia dell’essere umano. Perché per evolversi ci vuole impegno; nobilitare la propria esistenza richiede energia, introspezione, umiltà, e invece è molto più semplice vivere nella totale mancanza di presa di coscienza, è più semplice vivere nella superficialità, perché solo la superficialità può proteggere dalla percezione dell’abominio che l’homo necans causa intorno a sé.
Non conoscevo l’espressione “homo necans”, allora ho fatto una breve ricerchina, che mi ha ricondotto all’opera di Walter Burket “Homo Necans: Antropologia del sacrificio cruento nell’antica Grecia”, pubblicato da diversi editori. Ho scoperto che Burket scrisse una tesi di dottorato sulla nozione di compassione e, tra le tante cose, era uno studioso di pitagorismo (e si sa, Pitagora era un sostenitore del vegetarianismo) e orfismo, e nella religione orfica, infatti, i sacrifici animali e l’alimentazione carnea erano vietati – ne accenno in una puntata di “Parole etiche ritrovate. Testi di insospettati autori animalisti” che curo per RadioVeg.it. Riporto un breve estratto della mia introduzione alla lettura dell’Inno orfico alla Natura fatta da Massimo Wertmüller:
«… al contrario del dionisismo, che praticava il sacrificio animale cruento e adottò un’alimentazione carnea, [nell’orfismo] le preghiere erano abbinate a profumi della natura e si scelse una dieta vegetale; questo perché né i sacrifici animali né la carne erano graditi alla dea Persefone, poiché le ricordavano un doloroso evento. La tradizione orfica racconta infatti che Dionisio, che era uno dei figli di Persefone, ancora bambino fu catturato, arrostito e divorato dai Titani. Solamente il suo cuore non fu mangiato, grazie all’intervento di Atena. Pertanto, Zeus per punire i Titani li folgorò e, in seguito, dalle loro ceneri ebbe origine il genere umano. Un altro motivo per cui i sacrifici animali e la dieta carnea erano vietati nella religione orfica era la credenza nella metempsicosi, la trasmigrazione delle anime».
È giusto anche l’aver sottolineato all’inizio dell’articolo che l’uomo salva sé stesso commettendo un altro peccato, e a questo proposito la domanda che dovremmo in tanti dovrebbero porsi è proprio banale: perché far pagare agli altri i nostri peccati? Il concetto è molto semplice, ma pur di non sforzarsi, proteggere il proprio ego e continuare a vivere indisturbati nell’indifferenza è più comodo credere persino a questa narrazione.
Grazie, Annamaria, bellissimo articolo che offre infiniti spunti di riflessione!
Giannella Biddau dice
Chiedo scusa per il refuso nel mio commento precedente, correggo in “disamina”
Annamaria Manzoni dice
Grazie Giannella per questa risposta articolata e ricca di informazioni. Tra le altre interessante è il mito secondo cui il genere umano sarebbe nato dalla ceneri dei Titani, colpevoli di avere arrostito e divorato qc: non un biglietto da visita eccezionale rispetto alle nostre origini! Quanto all’homo necans, l’uomo che uccide, il concetto fa il paio con The killer Ape, La scimmia Assassina, altro lusinghiero appellativo che ci siamo meritati nel secolo scorso, per liberarci dal quale gli scienziati hanno dovuto metterci del bello e del buono per arrivare ad accordarsi sulla convinzione che non siamo proprio programmati per fare il male, pur potendolo innegabilmente fare: non esite il gene della guerra, abbiamo la possibilità di scegliere. A quando allora scelte che vadano nella direzione conraria a quella finora sempre vincente?!?
Giannella Biddau dice
Sì, possiamo scegliere, ma la maggioranza preferisce vivere lontana dalla realtà di miliardi di anime innocenti. Grazie a te per questo articolo!
stefania sbarra dice
sono antispecista da tutta una vita…quindi è naturale per me astenermi dal mangiare un individuo vivente sfruttato umiliato orbato e alla fine massacrato. Non mangio morte altrui. Ho avuto anni fa l’onore di interloquire con Anna Manzoni quando portai nelle scuole il suo famoso documento redatto assieme ad altre centinaia di psicologi. Perchè anche il divertimento umano spessissimo si basa sul vilipendio della dignità se non addirittura della morte degli altri Anima li. Grazie ad Anna Manzoni per questo contributo che a mò di “augurio di Buona Pasqua” sto passando ad amici amiche parenti carnisti/e. Il carnismo è una scelta. Una scelta criminale. Si può e si deve assolvere un Anima le carnivoro ma non si può giustificare il carnismo umano.
Annamaria Manzoni dice
Felice di incontrare persone che sono consapevoli dei propri e altrui comportamenti. Grazie Stefania di avere risposto
Marina Kodros dice
Il benaltrismo è intrinseco a chi non ha voglia di cambiare le proprie abitudini, un alibi, il dito dietro cui ci si nasconde per non prendere posizione contro ciò che di per sé è sbagliato, nonostante ciò che di altro possa accadere. Siamo noi i fautori delle nostre scelte, il resto non c’entra nulla. Ottima riflessione di Annamaria Manzoni che come sempre ringrazio 🙏
Annamaria Manzoni dice
Si: benaltrismo come pretesa di difendere posizioni nobili a fronte di quisquiglie. Alibi da quattro soldi. Grazie Marina per avere commentato
Alessandro dice
Una riflessione importante e necessaria, troppo spesso derubricata ad “animalismo” e banalizzata, quando invece è drammaticamente attuale e urgente.
Annamaria Manzoni dice
Vero: tutta la questione animale, complessissima e collegata a tutte le questioni della vita, viene risolta come faccenda da animalisti e quindi innfluente. Invece fondamentale. Grazie Alessandro per avere commentato