Mikeas Sanchez Gomez, indigena della Valle Zoque del nord del Chiapas, venuta a Roma per ritirare per conto del suo popolo un premio internazionale di Pax Christi, racconta l’aggressione del modello estrattivista nei confronti della sua comunità e della sua terra. Le concessioni ai soliti predatori in nome di uno sviluppo tossico quanto astratto sono per ora state bloccate dalla protesta ma il business dei megaprogetti e delle speculazioni travestite da eco-turismo è grande e la sospensione dei lavori solo temporanea in attesa di poter trovare il modo di aggirare o fagocitare la volontà e la resistenza degli Zoque
A cura di Filippo Taglieri
La determinazione nelle parole di una poetessa rispecchia la forza di tutta una comunità in lotta contro l’estrattivismo. Lei è Mikeas Sanchez Gomez, indigena e messicana, attivista del Centro di Lingua e Cultura Zoque, un centro studi che da anni lotta e resiste per la tutela della lingua, degli usi e costumi originari del popolo Zoque. Mikeas è stata a Roma per ritirare a nome del Movimento Indigeno del Popolo Credente Zoque in Difesa della Vita e della Terra (ZODEVITE) il premio di Pax Christi Internazionale per “la costruzione della pace, la giustizia e la non-violenza”. Ad accompagnare l’attivista chiapaneca Gilberto Hernández Miranda, avvocato del centro diritti umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas. Durante il Festival Impunita, tenutosi al LOA Acrobax e grazie all’ospitalità del Renoize Project, abbiamo avuto modo di ascoltare le loro parole e conoscere una realtà resistente molto giovane ma anche molto antica…
Cominciamo da Gilberto, potresti parlarci del lavoro che il Frayba porta avanti nelle comunità?
Il nostro lavoro in Chiapas è di supporto alle comunità indigene soprattutto, in questi ultimi anni s’è focalizzato maggiormente sulla difesa del territorio a causa dell’aumento esponenziale di progetti di infrastrutture inutili e mega-progetti pericolosi per le comunità che abitano i territori del Chiapas e non solo. Il lavoro è molto aumentato perché sono aumentate le comunità che hanno iniziato ad organizzarsi e a lottare nel territorio e contro i mega-progetti di morte che gli si vogliono imporre.
Quindi in ogni situazione di queste si aprono relazioni nuove con nuove comunità per diminuire il rischio di ripercussioni violente a scapito delle comunità in lotta, lo strumento che più utilizziamo sono i gruppi di osservazione dei diritti umani, sono gruppi di internazionali che si fermano una o due settimane in comunità. Così gli osservatori internazionali possono verificare di persona quali sono le condizioni di vita nelle comunità dunque invitiamo chi volesse partecipare e conoscere meglio il Chiapas, le sue lotte e le sue resistenze, a venire in Calle Brasil 14, San Cristobál, Chiapas. Arrivando al centro diritti umani si potranno avere tutte le informazioni e l’aiuto possibile in modo da poter collaborare.
Lavoriamo ovviamente anche su altri temi come la migrazioni forzate, la tortura, arresti arbitrari a leader di comunità o organizzazioni, anche esecuzioni extragiudiziale, omicidi volontari. Il Frayba da 25 anni è in cammino con i popoli in resistenza, è aderente alla sesta dichiarazione della Selva Lacandona delle EZLN, con la visione di aiutare i popoli nella costruzione della loro autonomia, in particolare il nostro ruolo è garantire che nel processo si tutelino i diritti umani.
Con Mikeas, potresti aiutarci a collocare la Valle Zoque?
I Zoques stanno nella zona nord del Chiapas anche se storicamente i popoli di questa lingua e cultura erano presenti in Oaxaca, Veracruz e Tabasco, in Chiapas dove sono presenti gruppi che parlano e vivono secondo le tradizioni siamo distribuiti su 12 municipi, stiamo resistendo e lo stiamo facendo da più di 500 anni, perché continuiamo a conservare la lingua e la cultura, continuiamo a vivere come i nostri avi oltre a portare avanti la pratica e la cultura contadina, anche se alcuni hanno avuto l’opportunità di andare all’università come me. Però sempre abbiamo questo sogno di tornare in comunità.
Come si sono attivate la comunità e per quale motivo?
Adesso viviamo questa minaccia dovuta ai mega-progetti, in particolare in questo momento l’estrazione di idrocarburi (gas e altri idrocarburi). Quelli di noi che sono usciti dalla Valle, si sono resi conto di come questi processi possono mettere a repentaglio la vita della nostra gente, siamo molti ad essere più meno lontani dalla nostra terra, ci sono Zoques in Massachusetts, Guadalajara, Campeche,Tabasco, Veracruz perché dopo l’eruzione del vulcano Chichonal nel 1982 i Zoques scapparono e si dispersero in tutto il mondo. Quindi tutte e tutti con questa forte nostalgia di tornare alla comunità.
Come si è saputo di questi mega-progetti estrattivi, c’è stata una consultazione popolare?
Un gruppo di studiosi ci ha segnalato che ci sarebbe stata questa problematica (estrazione di idrocarburi), già lo sapevamo. C’erano già state molte minacce di spostare forzatamente le persone dai municipi interessati (Francisco Leon e Tacpatan) ad altri municipi, dato che c’era l’ordine di mettere i macchinari per l’estrazione. Tutto questo senza che ci fosse stata una previa consultazione né comunicazione alla comunità locale, ma solo l’ordine di procedere con l’istallazione dei macchinari dunque noi abbiamo iniziato ad organizzarci con tutte le comunità per vedere come bloccare questa minaccia.
Da quanto nella Valle ci si confronta con le diverse facce dell’estrattivismo?
Bene sono diversi anni che esistono progetti che possiamo chiamare estrattivi si è iniziato con alcune zone di miniera e poi il grosso passaggio dalla coltivazione di caffè e cacao all’allevamento estensivo di bovini, successivamente si installò una grossa centrale idroelettrica e adesso queste nuove concessioni che riguardano l’estrazione di idrocarburi, la geotermia e i progetti di eco-turismo.
Possiamo parlare meglio delle concessioni relative agli idrocarburi?
Sì, la concessione dei permessi di estrazione riguardano la cosiddetta Ronda 2.2, i blocchi 10 e 11 riguardano appunto la nostra Valle, il dieci riguarda otto municipi mentre la undici colpisce quattro municipi. Vedendo questa situazione abbiamo iniziato ad organizzarci.
Da quanto tempo?
Dieci mesi, in questo tempo abbiamo bloccato le due concessioni.
Quali sono i possibili sviluppi per il prossimo futuro?
Questa prima ondata di concessioni è stata solo bloccata, ma non cancellata. Sta in stand-by, stanno solo trovando un modo per entrare nelle comunità senza una forte protesta sociale, che sarebbe il motivo per cui si sono fermati fino ad ora. Le ragioni della nostra protesta era che non erano stati rispettati gli accordi internazionali, rispetto alle consulte con le popolazioni locali prima di un progetto (gli accordi ambientali 169 della Organizzazione Internazionale del Lavoro). Dai comunicati pubblicati dal SENER (equivalente ad un Ministero dell’ Energia) si evince chiaramente come il blocco dei progetti sia temporaneo e come si stia solo valutando come “farsi accettare” dalle comunità.
I tentativi già ci sono stati, infatti, recentemente il commissario ejidale (il rappresentante dell’ejido, cioè del terreno condiviso secondo la tradizione indigena ndr) ha ricevuto la visita della Commissione Nazionale per lo Sviluppo dei Popoli Indigeni (CDI), perché la SENER (Ministero Energia) doveva trovare un contatto con la popolazione indigena, in questo caso utilizzando la CDI e la Commissione Nazionale Idrocarburi. Questi si sono recati dal commissario nel mese di Giugno chiedendo di firmare un documento datato mese di maggio. Lui è un attivista della comunità che ha lavorato duramente contro il progetto. Non gli hanno dato soldi ma hanno cercato in tutti i modi di convincerlo dicendo che non sarebbe successo nulla, che il progetto avrebbe portato molti benefici alle comunità e che firma era solo un pro forma. Nessuno ha firmato e successivamente le assemblee delle comunità hanno deciso che le imprese non sarebbero entrate.
Quali altri strumenti possono mettere in atto per convincere una comunità ad accettare un progetto?
Comunque la riforma energetica permette alle imprese di concorrere ai bandi per le concessioni a patto che seguano il protocollo, ovvero la consulta dei popoli, però già sappiamo che questi processi non sono trasparenti, ci sono atti di pressione, tentativi di corruzione, sempre e comunque con poca informazione. Purtroppo per loro le comunità ormai lo sanno. E spesso ci sono le auto-consulte, come nel nostro caso, in cui si dice con atti assembleari firmati, che non si accettano questi progetti.
Quali imprese sono interessate alle concessioni nella vostra regione?
Sono Canadesi, Colombiani e Messicani; adesso ci stiamo confrontando con i parlamentari europei per sensibilizzare sull’argomento e prevenire i futuri interessi privati europei sulle nostre terre. Nella mia cittadina Chapultenango, già una impresa canadese che estraeva uranio a fini bellici venne allontanata qualche anno fa. Relativamente alla questione geotermia tutto il progetto ha a che fare con il vulcano Chichonal, un cratere sacro per le nostre comunità, nonostante l’eruzione del 1982 che fece scappare molti di noi, ma nonostante tutto per noi il vulcano è centrale e con lui la sua tutela e rispetto.
Quali reti nazionali hanno sostenuto la vostra lotta?
La cosa che fa sentire a molti la nostra lotta molto vicina alle proprie vite in Messico è il fatto che noi combattiamo per la terra perché la vediamo come una ricchezza, in quanto ci dà da mangiare, e inoltre per noi è fonte viva d’ispirazione per arte, poesia, danza e letteratura, non è solo una risorsa da far fruttare come per le multinazionali. Molti cittadini di Tuxtla Gutierrez, per esempio, sono di origine Zoque, non lo hanno dimenticato quindi dalla capitale (del Chiapas ndr) molti ci hanno sostenuto.
Le comunità Zoques partecipano al Congresso Nazionale Indigeno (movimento nazionale indigeno messicano)?
Sì, un nostro rappresentante è stato presente per la scelta della portavoce indigena Marichuy, che sarà la candidata indipendente alle elezioni nazionali. Il nostro compagno è rimasto molto soddisfatto dello spazio politico e del processo in atto. Noi come popolo Zoque riteniamo molto importante questo passo, per recuperare le nostre radici e smettere di rimuovere le proprie origini; inoltre si potrebbe portare a livello nazionale il problema dell’estrattivismo e questo non lo farebbe MORENA, non lo farebbe il PAN e non lo farebbe il PRI (i tre partiti favoriti per le prossime incerte elezioni messicani). Ci hanno tenuto lontano troppi anni dalla politica escludendoci dal sistema d’educazione ma adesso qualcosa sta cambiando.
Gilberto, il Frayba che pensa di questa candidatura e come sta partecipando?
Il Frayba ha creduto dal primo momento a questo processo e sta accompagnando la portavoce e il Consiglio Indigeno di Governo nei loro spostamenti per garantire il rispetto dei diritti umani di fronte a possibili minacce come atti violenti. Noi vediamo questa scelta di partecipare alle elezioni 2018 come una forte rivendicazione dei diritti dei popoli indigeni, ma oltre la candidatura in sé vediamo questo momento come un’opportunità di rinforzare le comunità e di accelerare i processi di autonomia che sono in costruzione in varie parti del Paese.
Quali sono i passi da fare affinché Marichuy possa candidarsi?
Servono più di 800.000 firme che sono abbastanza complicate da raccogliere, non solo per i numeri, ma soprattutto per la tecnologia che servirebbe. Infatti la application per inviare le firme è accessibile solo su cellulari molto costosi, una chiara discriminazione nei confronti delle popolazioni contadine, che di certo non possono comprare cellulari così. Per conoscere meglio l’esperienza e le lotte dei popoli Zoque e di altre comunità in lotta del Chiapas il 30 novembre a Roma al Cineclub Detour ci sarà la proiezione del documentario “El Secreto de la Belleza – Pueblos en defensa de la tierra”
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