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Autorganizzazione e prossimità

Comune-info
11 Marzo 2013

Ok, c’è qualcosa di strano. C’è qualcosa di nuovo. La sala del cinema è piena, stracolma. È un’assemblea o un seminario? Non si riesce a capire. Seduti al tavolo dei relatori due “occupanti di professione”, un docente universitario estensore dei referendum sull’acqua, un ex membro della Corte costituzionale e il presidente dell’Istituto Svizzero. In sala? Di tutto e di più. Comitati di quartiere, centri sociali, il Teatro Valle, cittadini curiosi, esperti del diritto, architetti e urbanisti. Ma a fare cosa? A immaginare insieme come dare vita a quello che stiamo sperimentando da quasi due anni.

Apre il Cinema Palazzo: “la Città negata produce i propri anticorpi, forme di resistenza urbana e collettiva… Forme di resistenza che oltre a tracciare dei confini differenti dall’invadenza del privato, ridisegnano attraverso le pratiche della riappropriazione, percorsi di restituzione degli spazi alla cittadinanza… L’autorganizzazione crea un nuovo Stato. Lo Stato della prossimità…. pratiche che diventano fonti, usi e consuetudini che si consolidano a partire dalle sperimentazione prodotte in questi spazi sottratti alla speculazione. Un diritto dinamico che ci riconsegna non solo il diritto alla città ma anche nuove illegalità legittime”.

Lo Stato, maschera del potere

Paolo Maddalena ci dice che se parliamo di beni comuni il concetto di proprietà deve essere messo in relazione al concetto di uso. Fa poi un excursus sul concetto di Stato e ci racconta di come lo Stato a partire da Hobbes sia stato inteso come personificazione della società, reso soggetto e diverso, diviso, da quello che chiamiamo società civile. “I cittadini si personificano, e io non so come gli sia venuta in mente questa cosa, nello Stato, nel sovrano, nel monarca. L’idea di stato nazionale è rimasta intatta nei secoli successivi. Il soggetto personificato, che si traduce nel dogma della personalità dello stato, è persona giuridica. Persona, in latino persona, maschera, è diventata la maschera dietro alla quale si è nascosto il potere. Da un lato lo Stato che assicura la sicurezza e dall’altro la proprietà privata, concepita come diritto inviolabile, diventano punti di riferimenti centrali di qualsiasi tipo di discorso giuridico”.

“Nella proprietà comune e collettiva invece tutti hanno il potere di usare e godere del bene. Di proprietà collettiva si può parlare solo se si parla di comunità politica. La proprietà collettiva nasce nel momento in cui c’è la fondazione della città. Con la fondazione di Roma ci fu la confinazione del terreno su cui doveva sorgere la città. Il fines regere. Il confine diventa un concetto importante, in quel momento sorge un primordiale rapporto tra l’aggregato umano e il territorio, il primo rapporto di proprietà collettiva perché il territorio appartiene a tutto il popolo. Questo tipo di appartenenza non è brutale, come nel caso dell’appropriazione che si ha nella proprietà privata, ma è un rapporto del tutto con la parte: il territorio appartiene alla comunità così come la comunità appartiene al territorio. Il territorio non è qualcosa di diverso dai soggetti e dalla comunità”.

La funzione sociale della proprietà

“Dobbiamo ragionare sulla titolarità ma anche sull’uso dei beni comuni. È la Costituzione repubblicana a cambiare il concetto di Stato che da stato-persona diventa stato-comunità, dove il popolo è sovrano, e lo stato è il popolo, dove questo stato-comunità è insieme del popolo come era nella civitas romana, e dove individuiamo i diritti collettivi. Il concetto di bene comune si inserisce quindi nel concetto di proprietà data dalla Costituzione repubblicana. A questo riguardo cito gli artt. 41 e 42, in cui la proprietà privata è garantita dalla legge, come per i romani, da una volontà del popolo e non più della sovranità. L’iniziativa privata è garantita dalla legge, ma non può entrare in contrasto con la utilità sociale, con la sicurezza, la libertà e la dignità umana. La proprietà privata è garantita dalla volontà del popolo che può ampliare o restringere la proprietà e la riconosce ai singoli per la sua funzione sociale. Nel momento in cui, come nel Cinema Palazzo, viene meno la funzione sociale della proprietà, il proprietario, che non persegue più la funzione sociale della proprietà, ha perso il suo titolo di proprietà, è venuto meno alla sua funzione sociale a cui il Cinema Palazzo era destinato. Rimane solo il diritto alla funzione sociale del bene, per cui la vostra azione è legittima costituzionalmente, perché la legittimità è tale non solo per conformità alla legge ma per conformità alla legalità costituzionale, e secondo la Costituzione se la proprietà non assolve la sua funzione sociale il proprietario si è tolto il titolo alla proprietà”.

Secondo Ugo Mattei la Costituzione del ’48 è sicuramente un punto di arrivo di una serie di lotte e delle prima concezioni sociali del diritto, un punto di arrivo che però non è mai stato pienamente realizzato.

“Questa tradizione di raccontare attraverso false contrapposizioni la storia è una strategia classica che si deve decostruire attraverso la genealogia. Abbiamo maturato questa capacità nelle lotte e nel movimento. Pubblico e privato, proprietà privata e sovranità, raccontate come visione contrapposte, in realtà sono una falsa coscienza. Tanto lo Stato quanto il mercato sono portatori della stessa logica della concentrazione del potere e della logica esclusione. Così come la logica che istituzionalizza il dominio è condivisa da entrambe le tradizioni. Questi quadri vanno decostruiti”.

La nuova sfida dei movimenti

“Il diritto è tale solo in quanto vivo, come relazione alla comunità, capace di veicolare, di esprimere la vita di un determinato gruppo sociale…. I movimenti italiani di questi ultimi due anni hanno fatto un passo in avanti, diverso, rispetto alla concezione del rapporto con le istituzioni perché la sfida è diventata una sfida molto più frontale, capace di utilizzare determinate armi che normalmente non venivano utilizzate, essenziali in una società capitalista fortemente giuridicizzata, in cui il diritto ha sostanzialmente invaso delle aree e degli ambiti molto più ampi di quelli in cui agiva una volta. Questo modello giuridico entra in crisi quando non riesce più a governare, quando nasce una idea diversa di socialità. Questa mette in crisi un sistema basato sulla idea di un individuo solo, libero e isolato. Il diritto non funziona fuori dai contesti sociali, dalle interpretazioni, e dalle comunità”.

L’ascolto del seminario è intenso, attento, vivo e informale, a tratti scomposto, c’è chi si alza, chi prende appunti in maniera spasmodica, chi fa foto e twitta. La Sora Adele, sottovoce, dice “Aò! È difficile. Ammazza la gente e poi questi so capoccioni speramo de capicce quarcosa”. Però ha seguito fino alla fine. Si realizza quell’agorà che sogniamo, c’è voglia di stare insieme. C’è anche Michele Luminati dell’Istituto Svizzero che con pacatezza e passione ci ricorda come non dobbiamo mai avere fretta di istituzionalizzare i processi costituenti: “siamo ancora ingabbiati in questo concetto occidentale della legge scritta e dei suoi limiti e non limiti; allora in quale livello e in quali spazi muoversi? forse meglio rimanere alle pratiche e usare tutti questi spazi che, se uno se ne rende conto, diventano immensi, ed evitare di andare a cercare una fissazione, una normativizzazione nel senso della norma positiva classica, e lasciare dunque degli spazi maggiori di creatività. Forse è troppo presto per fare quel passaggio di fissazione delle nuove pratiche”.

Non dobbiamo avere fretta

Non dobbiamo mai avere fretta, ma essere veloci. E poi gli interventi dal pubblico, che allargano il discorso, che producono immaginari che danno spunti ulteriori per capire come legare sempre più le forme di lotta alla formazione del diritto. Un territorio si può gestire come bene comune? Come possiamo significare il bene comune quando tutti ne parlano? Non è che un debutto quello di ieri, che arriva da processi costituenti che prendono vita dal referendum dell’acqua alla lotta No Tav, dai Teatri e Cinema Occupati alle battaglie sulla formazione. Non è che un debutto quello di ieri che continuerà a crescere nei prossimi appuntamenti del Seminario, con la nascente “Commissione Rodotà aperta” che prenderà vita al Teatro Valle ad inizio Aprile, e con l’Assemblea al Cinema Palazzo di sabato 16 “La Libera Repubblica di San Lorenzo” che lancerà una sfida per cominciare a immaginare strumenti di autogoverno del territorio, strumenti che abbiamo capacità di decisione sulle scelte dell’amministrazione municipale, strumenti veri di democrazia diretta.

Chiudiamo con Maria Rosaria Marella, ospite del prossimo incontro “Dallo spazio urbano come bene comune al diritto alla città” che si terrà il 10 aprile, che dice: “Il diritto deve lavorare per disarticolare la proprietà”. Il Cinema Palazzo ci sta lavorando, la strada è ancora lunga, ma siamo convinti che possiamo liberare questi spazi e rovesciare la logica della privazione solo se allarghiamo gli orizzonti alla città, prendendo parola nelle nostre piazze, facendo agorà, costruendo una idea diversa di territorio.

Ampi stralci di un articolo scritto e pubblicato su cinemapalazzo.it il 9 marzo, il giorno dopo il seminario «Per una genealogia della proprietà» con Ugo Mattei, Paolo Maddalena e Michele Luminati. In alto, foto di Tano D’Amico.

Leggi anche:

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