Perché la questura ha agito senza informare il Comune di Roma? Perché per la prima volta in un’inchiesta su una parte dei movimenti romani per il diritto all’abitare si parla di capi d’accusa gravissimi, estorsione e associazione a delinquere? Esistono spazi di confronto tra istituzioni e movimenti per il diritto all’abitare? Cosa si sarebbe potuto fare diversamente? Come possono adesso movimenti e istituzioni, ognuno con i propri linguaggi, gestire in modo differente quanto emerso? Sono alcuni degli interrogativi con i quali molti ragionano dopo la giornata degli sgomberi di mercoledì 19 marzo. Il punto di vista dell’Angelo Mai che difende la “legittima illegalità” del fare cultura dal basso lo trovate qui, di seguito un’opinione di Monica Pasquino, ricercatrice, il racconto della giornata di mercoledì (tra sgomberi, proteste, interventi del Comune, assemblee…) invece è in questo link.
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di Monica Pasquino
Estorsione e associazione a delinquere sono i capi d’accusa dell’inchiesta che hanno portato all’operazione delle forze dell’ordine condotta mercoledì mattina. La questura di Roma ha dato esecuzione a 21 perquisizioni e sequestrato preventivamente l’Angelo Mai e altri due stabili a Centocelle e nel quartiere tuscolano, mettendo per strada artisti, musicisti, studenti, più di 70 nuclei famigliari e 40 tra bambini e bambine. In tarda serata sono stati tolti i sigilli dagli edifici occupati a uso abitativo e le famiglie sgomberate hanno trovato riparo per la notte. Mentre l’Angelo Mai è ancora sotto sequestro.
Durante la giornata di mercoledì il Comune ha rilasciato dichiarazioni disarmanti, affermando di non essere stato informato preventivamente. Questo è l’ennesimo caso che dimostra quanto Roma sia una città in stato di emergenza, priva di governo e di controllo politico, dove non c’è tutela per i diritti delle fasce più deboli della popolazione, né protezione per i presidi sociali che rispondono ogni giorno alle necessità che i servizi pubblici dovrebbero assolvere.
I capi di accusa rivolti agli occupanti sono molti e alcuni di questi sono gravissimi, come l’associazione a delinquere e l’estorsione. Anche su questo si è riflettuto nell’assemblea che ieri pomeriggio si è svolta fuori dall’Angelo mai, accanto ai blindati. Nel nostro paese non delinque la mafia, la politica delle mazzette, l’industra dagli appalti truccati, le lobby dei costruttori che fanno affari alzando grattacieli, le schiere di imprenditori e commercianti che schiavizzano giovani e migranti; ma delinque il Comitato popolare di lotta per la casa e tutti gli altri movimenti per l’abitare che aprono stabili abbandonati, li mettono a posto e ci crescono bambini.
Ma non solo. Sotto accusa è finito anche un centro delle culture e delle arti, altamente eversivo perché capace di trasmettere l’angoscia della precarietà in una canzone, perché riesce a rappresentare l’atrocità delle occupazioni a Gaza con una commedia teatrale.
L’Angelo mai altrove occupato è un laboratorio delle arti e della produzione culturale, è welfare di ultima generazione e presidio di socialità, un teatro berlinese. E’ una sala concerto e una terrazza su Roma dove la poesia ti sorprende e ti rapisce, dove la creatività seduce gli occhi e cura le ferite dell’anima. E’ il gruppo di donne e uomini che si battono in difesa del Parco San Sebastiano e lo rimettono a nuovo dopo le macerie prodotte lì ogni anno dai chioschi dell’Estate romana. E’ uno spazio che svolge funzioni educative e ricreative per le scuole del territorio e per le persone diversamente abili, è un centro culturale come quelli che trovi a Istanbul camminando per Istiklal Caddesi. E’ l’osteria di Pina che il giovedì ti accoglie con gli gnocchi e con gli stornelli romani. E’ l’aria incontaminata nel centro puzzolente di Roma e ha tra i suoi principali obiettivi rispondere all’emergenza artistica, lavorativa e abitativa che sempre più colpisce (non solo) la Capitale.
Lo sgombero dell’Angelo Mai allora è anche effetto delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, contro gli spazi artistici autogestiti e il Teatro Valle. Sotto attacco non sono singole esperienze o stabili particolari, ma un modello generale di città che risponde alla solitudine creando collettività, una pratica politica che forza i cancelli e riutilizza il patrimonio comune in disuso. E’ un modello libero e arioso di cultura, che produce sapere, autonomia e innovazione, che solletica l’ironia, che stimola la fantasia dei bimbi, che risponde alla disoccupazione e alla frustrazione professionale dal basso, con autoformazione e autoproduzione. E’ un modello di città che ha gambe e vita concrete. Di contro, c’è la narrazione del default, dell’austerity e de debito da ripagare con tagli ai servizi e privatizzazione dei beni comuni.
Delinque chi sbrana ogni sogno di futuro per le nuove generazioni, chi uccide la bellezza, chi trasforma l’arte in merce e consumismo, chi si arricchisce generando intorno nuova povertà. Su questo è necessaria una presa di parola forte e netta, anche delle istituzioni.
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