Tutto ciò che impoverisce, anche culturalmente, il legame fra una popolazione e il suo territorio, è estrattivismo nel senso più ampio che possiamo dare a quel concetto
Questo articolo fa parte del dossierRaccontare la Toscana che cambia
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Dalla terrazza della mia casa sulle belle colline lucchesi scorgo, ad ovest, l’arco stupendo delle Alpi Apuane, generoso di tramonti infuocati. Chiudo gli occhi e penso al video aut out, da non perdere!, e l’incantesimo svanisce. Alle immagini dirette nella memoria si sovrappongono quelle del video, documento inquietante della furia devastatrice di questo estrattivismo minerario: non per estrarre blocchi preziosi di quel “bianco di Carrara” che Michelangelo sceglieva personalmente, blocco per blocco, per dare corpo ad alcuni suoi capolavori, bensì per produrre, dopo oscena frantumazione, carbonato di calcio in polvere destinato all’industria soprattutto alimentare: 5 milioni di tonnellate ogni anno!
Fra me e le Apuane sta la vista della piana di Lucca, che per mesi ogni mattina ho filmato per documentare le fasce nerastre che la deturpano e che diventano coltre continua nei periodi di assenza di pioggia o di vento. Sono le industrie cartarie, dicono alcuni esperti. No, il traffico sull’autostrada, rispondono queste. E intanto il numero dei tumori polmonari cresce e la falda acquifera, già ricchissima, si deteriora. La piana infatti è il maggior polo cartario d’Europa, proprio grazie a questa falda che il vescovo irlandese Frediano mise sotto controllo con sapienti opere nel V secolo.
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Esco di casa e risalgo camminando la collina verso la rocca di Montecarlo, fino a scorgere l’altro versante. Sotto di me, il mare di plastica delle serre florovivaistiche della piana di Pescia – già secondo polo florovivaistico del paese – col loro ‘generoso’ apporto di agrotossici al terreno e quindi alle acque. Subito fuori Pescia si staglia l’inconfondibile sagoma del “nuovo mercato dei fiori di Pescia, incastonato tra i borghi storici e strategici di Collodi Castello ed Uzzano Castello, al di sotto del Convento francescano di Colleviti, (e che) è stato selezionato tra le opere di interesse storico artistico realizzate dal 1945 ad oggi”. Così il sito della Regione Toscana. Oltre 30mila mq coperti, con un’avveniristica copertura piana sostenuta da tiranti d’acciaio che partono dall’alto di 12 enormi tralicci che lo sovrastano. Bello, come opera tecnologica. Potete ammirarlo su internet, ma dove non vi si dirà che l’unico suo utilizzo di rilievo resta la Biennale Internazionale del fiore: le sue dimensioni sono sproporzionate alla reale necessità e quindi la gestione è economicamente proibitiva. Per colmo d’ironia il grande tetto piano, che doveva consentire l’atterraggio degli elicotteri per il collegamento diretto con l’aeroporto di Pisa per trasporto rapido dei fiori, non è stato giudicato agibile per la pericolosità dei detti tralicci. Il costo totale ufficiale, negli anni ’70, 30 miliardi di lire. Estratti al pubblico erario, e da questo ai cittadini.
Più oltre, dopo Montecatini Terme e il Serravalle, le coltivazioni arboree del pistoiese, altrettanto generose di veleni per il terreno, le acque e gli umani. Sulla destra invece, verso sud-ovest, le ultime propaggini dei Monti Pisani nascondono la vista del grande “distretto del cuoio” di Santa Croce sull’Arno. Qui a far da padrone nel terreno è il terribile cromo trivalente. Ancora un poco più a destra, dietro il corpo centrale dei monti “per cui pisani veder Lucca non ponno” (Dante), ormai incastrato nella città, l’aeroporto NATO di San Giusto, recentemente potenziato per poter ricevere, armare e smistare fino a 36mila militari al mese, naturalmente per “missioni di pace”. Poco oltre la base militare USA di Campo Derby. Qui il sottosuolo custodisce ogive atomiche, da “estrarre” in caso di bisogno. Che non sia mai!
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Intanto tutte assieme queste attività hanno espulso le coltivazioni, la pineta e la salubrità. Tutto questo però diluito su un territorio enorme, si penserà. Niente affatto. Se prendo come centro la mia casa, quanto descritto è contenuto in un cerchio di poco più di 30 km. di raggio. Ma se allungo, dopo Pistoia, verso Firenze, di un’altra quindicina di kilometri, include anche il grande polo tessile di Prato, i contestatissimi inceneritori, vecchi o in costruzione, e l’allungamento delle piste dell’aeroporto fiorentino di Peretola. Era una volta la piana di Firenze. Il TAR ha momentaneamente arrestato i lavori del nuovo inceneritore, con una sentenza che pare un dileggio: mancano le opere di “mitigazione”! Mitigazione di che? Per morire “sedati”?
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