La pandemia ha fatto esplodere tutte le contraddizioni del carcere, ne ha svelato il suo carico di violenza quotidiana. Ma i primi mesi del 2020 hanno mostrato anche l’enorme responsabilità di alcuni media nello spostare il discorso da un’emergenza sanitaria a un’emergenza mafia, inducendo il governo a introdurre modifiche che rendono il carcere ancora più disumano. Il libro di Sandra Berardi, Carcere e covid, edito da Stampalternativa (qui gratuitamente scaricabile e di cui pubblichiamo l’introduzione) ricostruisce la cronaca di quanto accaduto per non smettere di gridare e di pensare
Tratta da pixabay.com

La situazione delle carceri italiane durante l’emergenza covid-19 già prima dell’annuncio del lockdown era esplosiva. L’arrivo della pandemia ha fatto esplodere tutte assieme le contraddizioni di un sistema perverso, il carcere, che, ne sono sempre più convinta, non è riformabile. Esso è l’espressione di tutta l’incapacità della nostra società di essere comunità, attenta ai bisogni e ai malesseri di ognuno. Una società in preda alla paura di essere attaccata da un nemico invisibile, il covid-19, per combattere il quale i governi mondiali arrivano ad assumere, incontrastati, un controllo totale sulle libertà delle popolazioni; le decisioni governative vengono imposte a colpi di decreti quotidiani che la popolazione apprende attraverso i media. Una società il cui unico corpo è da salvare e preservare dalla possibile malattia, mentre una sua parte, quella che affolla le patrie galere, viene esclusa a priori dalle strategie di salvataggio dettate dall’emergenza sanitaria; forse perché era già considerata un cancro da estirpare più che un male da curare.
I diritti civili sono dispersi nel magma indefinito di una società ridotta ad opinione pubblica che non ha diritto di intervenire nelle scelte che il Governo sta operando sul suo corpo, sulla sua vita; al contrario ne subisce le decisioni attraverso la fitta rete di media e social media nella quale si interagisce con le dinamiche di biopotere a colpi di like e di tweet. E molto c’è da riflettere proprio sul ruolo che alcuni media hanno avuto nella prima fase della pandemia nel condizionamento dell’opinione pubblica, e delle scelte politiche in materia di detenuti, spostando strumentalmente l’ordine del discorso dall’emergenza sanitaria all’emergenza mafia. Pensando alla situazione carceraria pre-lockdown e ai sentimenti che hanno attraversato la popolazione carceraria alla percezione del pericolo rappresentato dal covid-19, affacciatosi nelle carceri attraverso i media e in forma di allarme, mentre pure la società civile avanzava richieste a tutela della popolazione detenuta, guardando anche a provvedimenti adottati in altri paesi.
Qui ripercorro le fasi salienti di quanto avvenuto a partire dal primo provvedimento di “chiusura” del 21 febbraio 2020 di alcune carceri del nord agli operatori e ai familiari provenienti da alcuni specifici comuni fino all’estensione, il 7 marzo 2020, della sospensione dei colloqui familiari in tutte le carceri, da nord a sud, da cui è nata la tensione che ha portato alle rivolte e al pesante bilancio di tredici detenuti morti. Sui media nazionali e internazionali per giorni campeggiano le immagini dei detenuti sui tetti da Milano a Palermo, mentre professionisti dell’antimafia e amanti della dietrologia si affrettano a profilare regie occulte nelle rivolte in realtà spontanee. Enorme, decisivo, è stato il ruolo dei media nello spostare l’ordine del discorso da un’emergenza squisitamente sanitaria alla sempreverde emergenza mafia, inducendo il Governo Conte a introdurre modifiche normative e procedurali passate poi al vaglio della Corte Costituzionale perché di dubbia legittimità. Queste pagine ne sono la cronaca…
Sandra Berardi, associazione per i diritti dei detenuti Yairaiha Onlus
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