Che il dominio di Google sia prima di tutto culturale è noto. Quelle che resta una delle più potenti multinazionali del mondo controlla il nostro accesso ai dati, i dati stessi ma soprattutto stabilisce ciò che è importante per noi (leggi l’ottimo articolo di Rebecca Solnit, Google sta divorando la terra). È il tempo del tutto subito e del pensiero unico… Quanto al dominio commerciale – alimentato dalla capacità di vendere pubblicità mirata – c’è chi ha cominciato a promuovere motori di ricerca alternativi con scopi di tipo socio-ambientale. Interessante, vero?
di Gabriele Mandolesi
Partiamo da un presupposto: i motori di ricerca hanno radicalmente modificato l’accesso all’informazione e semplificato parecchi aspetti della nostra vita quotidiana. Gratis. Non a caso Google (Big G.), grazie al suo algoritmo sempre più raffinato, veloce ed efficace è di fatto una delle corporation più grandi e potenti del mondo, con una quota di mercato relativa ai motori di ricerca dell’80 per cento, seguito da Bing, Baidu e Yahoo a contendersi la rimanente parte.
Ovviamente l’utilizzo gratuito di questi servizi porta con sé una serie di problemi che accomuna tutte le grandi corporation di ultima generazione nel settore del web, in particolare riguardo alla privacy e alle pratiche di elusione fiscale. Sulla prima si discute oramai da oltre quattro anni sia a livello europeo che a livello italiano, con diversi segnali di allarme lanciati anche dal garante della privacy sull’attività di raccolta dati da parte di Google che, leggendo le nostre ricerche, è in grado con altissima precisione di profilarci in modo da vendere pubblicità a terzi in maniera estremamente mirata. Fatturando miliardi di Euro.
E arriviamo quindi alla seconda questione. Secondo uno schema comune a diverse aziende (Facebook, Amazon, Apple ecc..) Google sfrutta le falle del sistema fiscale europeo (e mondiale) per dichiarare il suo reddito quasi interamente in paesi a fiscalità privilegiata pagando di fatto pochissime imposte nei differenti paesi in cui opera. La questione è molto complicata da risolvere data la potenza e la capacità di influenza di queste big corporation: basti pensare che quando la Commissione Europea ha condannato la Apple a versare 13 miliardi di euro allo stato Irlandese risparmiati grazie ad agevolazioni fiscali inammissibili, lo stesso stato Irlandese si è fatto parte in causa schierata con la Apple…
Davanti a tutto questo in questi ultimi anni stanno nascendo dei progetti di economia sociale e solidale che propongono dei motori di ricerca alternativi a Google con scopi di tipo socio-ambientale.
Il più recente è probabilmente Lilo , nato da un’idea di alcuni universitari francesi e portato in Italia da Federica, studentessa romana in erasmus a Parigi, che da un lato protegge la privacy, ossia non memorizza i nostri dati e le nostre ricerche passate per fini commerciali, e dall’altra destina il 50 per cento dell’utile a progetti di valore socio-ambientale come Made in carcere o le banche del tempo.
L’aspetto interessante di Lilo è che ogni utente accumula delle gocce ad ogni ricerca effettuata che simboleggiano il fatturato che ha contribuito a generare, e successivamente può decidere a quale progetto destinarlo. A questo punto le gocce si trasformano in Euro, riuscendo così ad avere la percezione di quanto si sta sostenendo un determinato progetto. Sebbene Lilo sia ancora agli inizi in Italia, in Francia è oramai una realtà consolidata, con oltre 600.000 utilizzatori e più di 500.000 Euro già destinati a diversi progetti.
Un altro motore di ricerca solidale è Ecosia , uno dei primi progetti del genere con base a Berlino che destina circa l’80 per cento degli utili a progetti selezionati in varie parti del mondo, dal Perù alla Tanzania passando per il Madagascar, per piantare alberi e combattere la deforestazione. Il meccanismo è come quello di Lilo: si accumulano alberi invece di gocce sulla base delle ricerche effettuate ma in questo caso non si può destinare l’utile ad un progetto specifico, il team di Ecosia assicura che lo ripartirà tra i diversi progetti nella maniera più efficiente. Ad oggi Ecosia ha oltre 7 milioni di utenti e ha già destinato quasi 6 milioni di Euro alla piantagione di alberi.
Entrambi i motori di ricerca si appoggiano agli algoritmi dei big (Google, Bing ecc..). L’alternativa c’è, il modello funziona e da un punto di vista psicologico dal lato del consumatore vedere come a forza di ricerche si contribuisce direttamente all’ambiente o a progetti sociali rinforza ancora di più la motivazione di chi decide di abbandonare Google come forma di consumo critico.
Felynx Zingarelli dice
Ok, sono solidali e proteggono la privacy, ma se sono metasearch engine comunque fanno girare anche i motori dei big (ci aggiungo anche https://www.unbubble.eu). Un’alternativa più radicale invece è https://duckduckgo.com/ che garantisce la privacy e gira sotto Tor o anche i motori decentralizzati (tipo P2P) che però comportano qualche sforzo in più (YaCy, Seeks Project)… ma anche per abbandonare i motori a scoppio in favore di mezzi a propulsione umana bisogna pedalare.
Sandra Cangemi dice
Io ho utilizzato per anni ecosia, proprio perché non ne volevo sapere di usare google, ma a un certo punto ha cominciato ad apparire lascritta che il sito non era più attivo ed ero convinta che l’iniziativa fosse fallita. Riproverò a usarla.