In Europa ci siamo lasciati alle spalle il mese di ottobre più caldo che sia mai stato registrato. La media delle temperature è molto più che preoccupante e, tra le altre, la situazione dei ghiacciai è sempre più grave. Tra il 2000 e il 2020 hanno perso 1163 miliardi di tonnellate di ghiaccio, facendo aumentare di tre millimetri il livello del mare. Entro il 2050 potrebbero scomparire tutti i ghiacciai africani (compreso quello del Kilimangiaro), quelli delle Dolomiti e dei Pirenei in Europa e quelli di Yellowstone e Yosemite nel nord America. La rassegna retrospettiva di Alberto Castagnola sui danni ambientali e i meccanismi che li producono, i fenomeni estremi e la crisi climatica
Il mese di ottobre 2022 è stato il più caldo mai registrato in Europa, con una temperatura media superiore di quasi due gradi rispetto al periodo 1991-2020. Lo sottolinea il rapporto del servizio europeo sul clima Copernicus, mentre secondo l’Organizzazione Mondiale per la Sanità le ondate di caldo di quest’anno hanno causato almeno 15.000 vittime in Europa. Incendi, siccità, caldo estremo e altre conseguenze della crisi climatica si stanno rapidamente aggravando in California. Il dato più impressionante riguarda l’aumento delle temperature: la media annuale è salita di circa 2,5 gradi dal 1895, e il riscaldamento è stato più rapido a partire dagli anni ’80. Otto dei dieci anni più caldi registrati si concentrano tra il 2012 e il 2022.
Incendi, siccità, caldo estremo e altre conseguenza della crisi climatica si stanno rapidamente aggravando nello Stato americano: ”Dall’ultima indagine fatta nel 2018 i fenomeni meteorologici estremi si sono intensificati e sono diventati più irregolari, mentre sono peggiorati gli indicatori che tracciano malattie legate al calore e al fumo degli incendi”.
Una recente indagine mette a confronto le temperature massime giornaliere registrate tra il 24 e il 30 ottobre 2022 rispetto alla media degli ultimi 30 anni negli stessi giorni, in gradi centigradi in numerose città europee. Queste le variazioni: Amsterdam +6,9; Atene +3,4; Bergen +5,0; Berlino +8,5; Bruxelles +8,0; Bucarest +8,4; Dublino +4,0; Helsinki +3,5; Lisbona +1,7; Londra +5,3; Lubiana +7,2; Madrid +4,8; Milano +7,7; Parigi +7,4; Praga +6,6; Roma +4,3; Sofia +8,1; Stoccolma +4,8; Varsavia +7,3; Vienna +3,6; Vilnius +5,7; Zurigo +7,4. Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, la domanda di combustibili fossili raggiungerà il picco entro quindici anni. Finora essi hanno fornito l’80% dell’energia consumata, però questa cifra dovrebbe cominciare a scendere per la diffusione dei veicoli elettrici. È interessante evidenziare anche che, secondo questa Agenzia, la transizione non sarà abbastanza rapida da contenere l’aumento della temperatura media globale entro gli 1,5-2 gradi rispetto alla era preindustriale, cifra che l’IPCC continua a ritenere essenziale per la sopravvivenza dell’umanità come noi la conosciamo. La temperatura più alta del pianeta è stata registrata il 22 novembre a Oondangwa, in Namibia: 40,4 gradi centigradi. La più bassa, alla stessa data, alla base di Dome A, in Antartide: -50,6 gradi.
La situazione dei ghiacciai è sempre più grave. Tra il 2000 e il 2020 hanno perso 1163 miliardi di tonnellate di ghiaccio, facendo aumentare di tre millimetri il livello del mare. Quelli che hanno perso più massa in termini assoluti sono in primo luogo quelli dell’Alaska, seguiti da quelli della Groenlandia. Considerando invece i dati percentuali, i ghiacciai che hanno perso più massa sono quelli dei Tre Fiumi paralleli in Cina, (57%), seguiti da quelli del Parco Los Alerces ii Argentina, (46%) e da quelli del bacino Uvs Nuur tra Mongolia e Russia, (37%). Entro il 2050 potrebbero scomparire tutti i ghiacciai africani (compreso quello del Kilimangiaro), quelli delle Dolomiti e dei Pirenei in Europa e quelli di Yellowstone e Yosemite nel nord America.
Ne conseguiranno altri danni, perchè sarà ridotta la biodiversità, probabilmente diminuirà anche l’acqua per usi domestici e agricoli. Lo scioglimento potrebbe inoltre causare alluvioni catastrofiche. In sostanza potrebbero scomparire un terzo di quelli che l’Unesco considera patrimonio dell’umanità. Anche le torbiere sono minacciate dal riscaldamento globale.
È stata ricostruita la storia della grande torbiera del bacino del fiume Congo, un ambiente umido caratterizzato dalla presenza di torba, cioè dal deposito di resti vegetali poco decomposti. La sua formazione risale ad almeno 17.500 anni fa, tra il 7500 e i 2000 anni fa si è inaridita, causando la decomposizione della torba e rilasciando carbonio. Sarebbe quindi importante studiare tutte le situazioni analoghe per cercare di evitare questo fenomeno che aggrava la situazione climatica. In India, nella capitale, questa forma di inquinamento, dipendente in larga misura dagli incendi appiccati dagli agricoltori nel nord del paese, ha determinato l’aumento del particolato fine PM2,5, il più pericoloso per la salute. I livelli attuali sono 25 volte superiori al limite massimo fissato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Numerosi i fenomeni atmosferici influenzati da queste temperature. Sono stati registrati numerosi cicloni. Almeno 28 persone sono morte nel passaggio del ciclone Sitrang sul sud del Bangladesh e circa un milione di persone sono state costrette a lasciare le loro case. L’uragano Roslyn ha raggiunto lo stato di Nayarit, nell’ovest del Messico, causando vittime e distruggendo abitazioni e strade. Almeno 101 persone sono morte nelle frane e nelle alluvioni causate dal passaggio della tempesta tropicale Nalgae nel sud delle Filippine; poi il numero delle vittime è salito a 150. In media venti tifoni o tempeste tropicali colpiscono l’arcipelago ogni anno. La tempesta tropicale Lisa ha causato allagamenti e danni materiali in Belize, poi ha portato forti piogge sul sud est del Messico. Alcuni tornado sono passati sull’Oklahoma, sul Texas e sull’Arkansas, nel sud degli Stati Uniti, molte le vittime e i dispersi.
La crisi climatica ha aggravato l’intensità delle piogge e di conseguenza delle alluvioni in Africa occidentale. Quest’ anno i primi paesi ad essere colpiti sono stati la Nigeria e il Niger. All’inizio di giugno; poi è stata la volta del Ciad a luglio, del Camerun ad agosto e del Benin a settembre. Il riscaldamento globale ha reso le piogge stagionali più intense del 20% nella regione del Lago Ciad e del 5% nel bacino del fiume Niger. Dall’inizio della stagione delle piogge in Nigeria sono morte almeno 612 persone, mentre 1,5 milioni sono state costrette a lasciare la loro casa. Le alluvioni nel paese sono state aggravate dall’apertura delle paratoie della diga di Lagdo, in Camerun, decisa per favorire il deflusso dell’acqua in eccesso. Era prevista in origine anche la creazione di una simile diga in Nigeria, ma questa non è stata realizzata. Una ricercatrice del Canada sottolinea che il governo nigeriano non ha un piano per affronare i disastri naturali. Almeno 36 persone sono morte per le frane e le alluvioni causate dalle forti piogge nel nord e nel sud del Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Gli allagamenti nel nord ovest dell’Albania hanno causato vittime. Le autorità colombiane hanno affermato che 271 persone sono morte nelle alluvioni che hanno colpito il paese negli ultiimi dodici mesi.
La foresta amazzonica occupa una superficie di sei milioni di chilometri quadrati, due milioni in più dell’Unione Europea. Pur coprendo solo l’1% della superficie del pianeta, contiene quasi un terzo di tutte le foreste pluviali tropicali rimaste sulla Terra e ospita il 10% di tutte le specie di animali selvatici che conosciamo, e forse molte di quelle che ancora non conosciamo. Si calcola che racchiuda circa 76 miliardi di tonnellate di carbonio e che i suoi alberi rilascino fino a 20 miliardi di tonnellate di acqua nell’atmosfera ogni giorno, svolgendo quindi un ruolo fondamentale nei cicli globali e regionali del carbonio e dell’acqua. Nel 2021 la distruzione delle foreste è rallentata ovunque tranne che in Brasile. Secondo i ricercatori, la foresta si sta avvicinando a un punto di non ritorno, superato il quale andrà persa. La vittoria di Lula in Brasile ha quindi una importanza fondamentale per l’Amazzonia, e già nei suoi primi discorsi ha indicato di voler adottare misure di recupero e di salvaguardia di queste foreste: “Ripristineremo gli organi di controllo del disboscamento. Metteremo la parola fine all’estrazione illegale nelle riserve native protette. Invece di essere i campioni mondiali di deforestazione, vogliamo diventare leader nel contrasto alla crisi climatica”. Le intenzioni sono ottime, ma il lavoro da fare è immenso ed essenziale, e soprattutto deve iniziare subito. Le foreste di mangrovie sono in declino nel mondo, mentre hanno un ruolo essenziale nella protezione delle coste. In uno studio pubblicato su Nature Communications, sono stati individuati i fattori che ne hanno influenzato il degrado tra il 1996 e il 2016. Lo sviluppo economico, che in una prima fase ha causato la riduzione delle foreste, è diventato in seguito un elemento positivo. L’affidamento delle foreste alle comunità locali ha favorito la loro conservazione, mentre le attività agricole e di acquacoltura hanno avuto l’effetto opposto. La vicinanza ai centri urbani e quindi ai mercati è stata spesso un problema, mentre il livello di democrazia dei paesi con foreste di mangrovie si è rivelato un fattore troppo complesso da valutare. Sembra che i ricercatori abbiano adottato criteri un po’ troppo astratti, ma il tema merita di essere approfondito.
Infine alcuni dati sul commercio di animali selvatici. Tra il 2016 e il 2020 il commercio di specie selvatiche ha avuto un giro di affari di 1,8 miliardi di dollari per i prodotti animali e di 9,3 miliardi per quelli vegetali. La convenzione Cites regola il commercio di quasi 4000 specie, vietandole per il 4% delle specie, considerate a rischio. L’Asia è il continente che esporta di più davanti all’Europa, mentre l’Europa è quello che importa di più davanti all’Asia. La pelle di coccodrillo e il caviale sono i prodotti animali di maggior valore. Per quanto riguarda il commercio illegale, l’Oceania e l’Europa sono i continenti con più sequestri, spesso però di merci ammesse ma prive di documentazione. Gli ippocampi sono tra gli animali più sequestrati. Il tema dovrebbe diventare un campo di studi e interventi di controllo molto più ampio ed approfondito, poiché questi fattori economici potrebbero essere una delle cause principali della sparizione di specie selvatiche.
Infine, secondo un rapporto dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale nel 2021 la concentrazione di metano nell’atmosfera ha registrato l’aumento più netto da quando sono cominciate le rilevazioni. La crescita delle emissioni dipende dalla maggiore attività microbica nelle zone umide e dall’accelerazione dello scioglimento del permafrost nella tundra, causate dal riscaldamento globale.
Qualche dato sulla salute globale
Secondo un nuovo e preoccupante studio, negli ultimi 50 anni la concentrazione degli spermatozoi si è dimezzata a livello globale e all’orizzonte si profila una crisi della fertilità maschile. Già nel 2017 era stata documentata la riduzione degli spermatozoi in Nordamerica, Europa e Australia. Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Human Reproduction Update, conferma che la tendenza è in atto anche in Sudamerica, Asia e Africa, e che si tratta di un problema globale, oltretutto in rapido peggioramento. Il principale autore dello studio, Hagai Levine, afferma che potrebbe essere a rischio la sopravvivenza stessa dell’umanità. Il folto gruppo di ricercatori ha raccolto 223 studi relativi a campioni di liquido seminale di 57mila uomini in 53 paesi e ha ricostruito l’andamento della conta spermatica negli ultimi decenni. Dal 1963 al 2018 la concentrazione degli spermatozoi nel mondo si è ridotta in media dell’1,2 % all’anno, ma dal 2000 al 2018 il dato è salito al 2,6%.
Negli ultimi 46 anni la conta spermatica si è dimezzata, ed è in corso una accelerazione. In media durante l’eiaculazione un uomo espelle quasi 200 milioni di spermatozoi. Dato che per fecondare un ovulo ne basta uno, si potrebbe pensare che bastano e avanzano. Ma la questione è più complessa. C’è un motivo per cui i testicoli producono tanti spermatozoi: la maggior parte non sopravvive al viaggio fino all’utero e alle tube. Per una fertilità ottimale ci vuole una concentrazione di circa quaranta milioni di spermatozoi per millilitro. Al di sotto di questa soglia il concepimento diventa più difficile. I ricercatori hanno documentato una riduzione della conta spermatica da 104 a 49 milioni per millilitro, un dato pericolsamente vicino alla soglia critica. I ricercatori non hanno approfondito lo studio delle cause, ma hanno elencato i fattori di rischio: alimentazione, fumo, obesità, stress, abuso di droghe e di alcol, e l’esposizione ad alcune sostanze chimiche presenti nell’ambiente, le più pericolose delle quali sono quelle che influiscono sul sistema endocrino alterando i livelli di testosterone ed estrogeni. Secondo Levine, la cosa più preoccupante è che al momento non si vedono soluzioni:”Il problema può essere più o meno marcato a seconda del luogo, un po’ come avviene con la crisi climatica, ma è globale e come tale andrebbe affrontato. Non sarà però facile eliminare in tempi rapidi le cause della riduzione”.
L’anno scorso 1,6 milioni di persone sono morte di tubercolosi nel mondo, con un aumento del 14% rispetto al 2019. Il bilancio dell’epidemia di colera che ha colpito Haiti è salito a 161 vittime. I casi sospetti sono 8.708 e quelli confermati 802. Il governo del Malawi ha annunciato che 183 persone sono morte nell’epidemia di colera che ha colpito il paese. Da marzo sono stati registrati 5.939 contagi. In Libano sono stati segnalati 5 decessi e 169 contagi, in maggioranza tra i rifugiati siriani. In Camerun 3 persone sono morte e 39 sono state contagiate nel campo profughi di Minawao. Infine, 60 infezioni sono state registrate in Kenya.
Quattordici casi di Ebola sono stati registrati nella regione di Kampala, la capitale dell’Uganda. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità finora nel paese sono morte 44 persone.
In Olanda, per contenere una epidemia di influenza aviaria nell’ultimo anno sono stati abbattuti quasi sei milioni di polli e altri volatili. Secondo Davide Quammen, alcuni virus, come quello dell’aviaria, ogni tanto passano dagli animali selvatici agli esseri umani. In un lungo articolo (Internazionale n. 1488) il noto esperto ricorda che in Colorado un uomo è stato colpito dall’influenza aviaria dopo aver abbattuto polli infetti. Anche in Inghilterra un uomo di 79 anni che viveva a stretto contatto con venti anatre domestiche è stato infettato alla fine del 2021.
Infine, alcuni ricercatori hanno scoperto che le zanzare che diffondono la malaria in Africa, sopravvivono alla stagione secca grazie all’estivazione, cioè cadono in letargo. Questi insetti adulti hanno una vita breve, che dura sei o sette settimane al massimo. Per riprodursi depongono le uova nell’acqua, dove le larve crescono e maturano. Questo significa che nei luoghi umidi le zanzare volano tutto l’anno, mentre in quelli con stagioni secche scompaiono. In teoria, durante la stagione secca che dura mesi, le zanzare dovrebbero morire perchè le uova non resistono a lungo in condizioni simili. E invece, pochi giorni dopo il ritorno delle piogge, le zanzare sono nuovamente presenti. Il fenomeno, noto come “il paradosso della malaria”, ha sempre tormentato gli entomologi. Di recente si è fatto un passo avanti per la soluzione del mistero. Due ricercatori hanno utilizzato un isotopo pesante non radioattivo dell’idrogeno, che reagisce con l’ossigeno creando un tipo di acqua detta pesante. Questo deuterio è stato versato dai ricercatori, nelle ultime settimane della stagione delle piogge, in 27 siti di riproduzione delle zanzare di due villaggi del Malì. In una analisi a campione un terzo delle zanzare che avevano frequentato questi siti è risultato positivo al deuterio. Poi hanno atteso la fine della stagione delle piogge e a maggio sono tornate le zanzare e un quinto di esse era positivo al deuterio, quindi era andato in letargo. Ora non resta che trovare le tane dove si rifugiano le zanzare, e che potranno essere distrutte con ottimi risultati sulla consistenza complessiva di zanzare e con riduzione progressiva della malaria.
Meccanismi economici di danno ambientale
L’11 settembre 2022 il parziale crollo di una diga sudafricana ha causato la fuoriuscita di una grande quantità di scarti minerari, distruggendo 160 case e contaminando fiumi e pascoli. La colata, con una larghezza massima di un chilometro e mezzo, ha percorso 8,5 chilometri in una direzione e poi ha cambiato direzione, raggiungendo la diga Walras e inquinando vari fiumi e torrenti. I residui minerari sono poi arrivati fino alla diga di Kalkfontein contaminando altri corsi d’acqua.
Il 24 ottobre il gruppo Imary ha reso noto un progetto per l’estrazione del litio a Echassières, nella Francia centrale. Alcuni studi confermano la presenza in profondità di alte concentrazioni di idrossido di litio. Questo deposito permetterà l’estrazione di 34.000 tonnellate di litio nell’arco di 25 anni. La produzione inizierà nel 2028 e sfutterà la domanda di litio da parte delle auto elettriche e delle relative batterie.
I miliardari del mondo hanno continuato la loro stratosferica crescita dopo la crisi del 2008 e durante la pandemia hanno raggiunto livelli mai visti. Secondo il rapporto sulle diseguaglianze globali lo 0,1 per cento dei più ricchi del pianeta detiene da solo circa ottantamila miliardi di euro di capitali finanziari e immobiliari, cioè più del 19% dei patrimoni su scala mondiale, l’equivalente di un anno del PIL mondiale. La parte in mano al 10% più ricco è pari al 76% del totale, contro appena il 2% del 50% più povero. In Europa, un continente che le elite presentano come un paradiso d’uguaglianza, il 10% più ricco ha quasi il 60% del patrimonio totale, a fronte del 4% posseduto dalla metà più povera della popolazione. Thomas Piketty sostiene quindi che basterebbe tassare il patrimonio dei più ricchi per avere a disposizione le risorse per le abitazioni e i trasporti, ma soprattutto per versarne una parte alle popolazioni più povere.
Il colosso chimico tedesco Basf è ancora attivo in Russia e, attraverso una sua controllata, assicura il carburante agli aerei del Cremlino che ogni giorno bombardano l’Ucraina. La Wintershall Dea, una azienda con sede a Kassel e ad Amburgo, di cui la Basf possiede il 72,7% del capitale (la quota restante appartiene alla LetterOne un fondo d’investimento legato agli oligarchi russi Mikhail Fridman e Petr Aven, entrambi colpiti dalle sanzioni occidentali), fa parte di una joint venture che fornisce alla russa Gazprom il condensato di gas naturale, una sostanza usata per produrre il gasolio e in particolare il carburante degli aerei. Eppure, dopo l’invasione dell’Ucraina, concorrenti come Shell, Exxon Mobil ed Eni hanno abbandonato il paese.
Il fondo statunitense Blackstone specula sui mercati immobiliari di tutto il mondo Negli ultimi 20 anni il gruppo ha silenziosamente preso il controllo di una molteplicità di immobili e sembra anche aver messo le mani su una pluralità di attività produttive e commerciali, realizzando una incredibile varietà del patrimonio. Il gruppo ha ventisei sedi, anche se la sede centrale è a New York. Nel 2021 il fondo ha investito 270 miliardi di dollari, portando il valore totale del patrimonio amministrato a 881 miliardi di dollari, poco più del PIL della Svizzera e più del doppio di quello della Danimarca. L’articolo qui utilizzato è molto lungo e riporta in dettaglio la situazione in molti paesi, (Internazionale n. 1486, 11 novembre 2022, pag. 60-66 ) non può essere sintetizzato, ma costituisce una preziosa analisi di un gruppo leader del settore immobiiare.
Strumenti
Jason Hickel, Siamo ancora In tempo!, Come una nuova economia può salvare il pianeta, Il Saggiatore, Milano, 2021
AA.VV. Pluriverso, Dizionario del post-sviluppo, Orthotes, Napoli-Salerno, 2021
G. Esteva e Aldo Zanchetta, Transitare le economie con Ivan Illich, Mutus Liber, Riola Bologna, 2021
Lorenzo Guadagnucci, Camminare l’antifascismo, La memoria come ribellione all’ordine delle cose, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2022
Fiorenzo Caterini, Colpi di scure e sensi di colpa, Storia del disbocamento della Sardegna, dalle origini a oggi, Carlo Delfino Editore, Sassari, 2019
Buone notizie
Mare. Una grande area marina protetta alle Hawaii, negli Stati Uniti, ha permesso il recupero della popolazione dei tonni. In poco tempo sono infatti aumentate le catture di pesci delle specie Thunnus albacares e Thunnus obesus appena all’esterno della riserva. La Papahanaumokuakea, la più grande riserva marina del mondo, era stata creata nel 2006 (e ampliata nel 2016) per salvaguardare le risorse ittiche locali e il patrimonio culturale hawaiano . Lo studio, pubblicato su Scienze, mostra che i benefici si estendono ben oltre i confini della riserva e riguardano anche i pesci che migrano. Prima di crearne una è quindi importante analizzare a fondo le caratteristiche biologiche, i luoghi di riproduzione e le rotte migratorie dei pesci, ma anche costi e benefici delle attività ittiche.
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