Nella Grecia devastata dall’austerity, lontano dalle attenzioni dei grandi media, gruppi di persone organizzano le proprie vite in un modo diverso, creano comunità di mutuo soccorso, occupano edifici e teatri, si prendono cura di orti comunitari. L’ambulatorio occupato di Petralona ad Atene è una delle esperienze di autogestione più importanti. In tutta la Grecia sono ormai una decina gli spazi di assistenza sanitaria organizzati da cittadini e medici. «Le nostre priorità non sono dare un antidolorifico – dicono gli occupanti dell’ambulatorio di Petralona – ma mostrare al quartiere quali sono i problemi di salute che possono venire fuori da alcune industrie, dai ristoranti e dai bar che hanno la musica a un volume alto e non permettono ai bambini di giocare perché hanno le sedie nel mezzo delle strade… E rimettere in discussione la vacuità della relazione tra medico e paziente, che è una relazione profondamente autoritaria. Noi crediamo fortemente nella medicina occidentale, ma crediamo che sia stata invasa dalla commercializzazione…». Insomma, nella Grecia che dice no alle ricette Ue non ci sono solo cortei e partiti di sinitra, ma straordinari spazi di relazioni sociali diverse.
Intervista ad un medico e attivista dell’ambulatorio occupato di Petralona ad Atene. Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro della distruzione dell’assistenza sanitaria gratuita e con essa la distruzione di un diritto universale e inalienabile come il diritto alla salute. L’intervista che presentiamo in questa puntata della nostra inchiesta sul tema, riguarda l’esperienza di una clinica occupata in un quartiere di Atene, Petralona. (…)
Ci piacerebbe cominciare chiedendoti un breve racconto della vostra esperienza…
Dunque, il progetto è iniziato dopo la rivolta di dicembre 2008. Durante la ribellione c’era un gruppo di lavoratori della sanità, dottori e farmacisti, che si sono uniti con altre persone che a quel tempo non avevano niente a che fare con il sistema sanitario e hanno deciso di aprire una discussione circa l’autorganizzazione nella sanità. Abbiamo discusso di molte cose… della situazione negli ospedali, di come la situazione dell’assistenza sanitaria ha effetti sociali e di come le condizioni sociali influenzano la sanità. Insomma, abbiamo aperto un discorso sulla salute in senso generale. Uno dei progetti era quello di occupare un ambulatorio abbandonato da anni dallo stato, in un quartiere di Atene. Il progetto è cominciato nel marzo del 2009. Lo abbiamo portato avanti insieme all’assemblea locale di questo quartiere di Atene, chiamato Petralona. Petralona è un quartiere di circa 15/20.000 persone. Nonostante ciò, ospita una delle più grandi e storiche assemblee locali. Alcune persone facenti parte dell’assemblea dei lavoratori della sanità erano anche membri di questa assemblea locale. Così ci hanno invitato a partecipare e nel marzo del 2009 c’è stata l’occupazione.
La nostra idea originaria non si era ancora scontrata con la crisi, poiché non era così ovvio ciò che sarebbe successo nei mesi e negli anni successivi. Il nostro scopo principale non era soltanto offrire un servizio a quella parte di società che non era coperta da un’assicurazione [sanitaria] o che non aveva accesso agli ospedali e all’assistenza sanitaria. Il nostro scopo principale era, in maniera più generale, un diverso approccio alla sanità. Quindi noi volevamo esistere in una maniera diversa, approcciarci ai pazienti diversamente e avere prospettive differenti. Per esempio, noi crediamo che la salute sia qualcosa di cui tutti dovrebbero preoccuparsi, perché chiunque nel corso della propria vita può avere un problema con il proprio stato di salute e aver bisogno di assistenza medica o di un ricovero. Inoltre, dovremmo anche considerare che la salute ha a che fare quasi con ogni cosa: è quello che respiriamo, quello che mangiamo, quello che pensiamo, lo stato delle relazioni con la famiglia, con gli amici… il modo in cui lavoriamo. La depressione sul lavoro è una cosa molto importante che causa danni sanitari, questo è affermato anche dalla letteratura medica ufficiale. La salute è allo stesso tempo qualcosa di veramente generico e di molto complesso, perciò abbiamo cercato di approcciarci alle cose dalla radice, sin dall’inizio. La nostra priorità non è dare un antidolorifico a chi ha dolore, la nostra priorità è mostrare al quartiere quali sono i problemi di salute che possono venire fuori da alcune industrie, dall’aria inquinata, dai ristoranti e dai bar che hanno la musica ad un volume alto e non permettono ai bambini di giocare perché hanno le sedie nel mezzo delle strade, cose del genere. Così è come abbiamo cominciato. Nel corso degli anni le cose sono cambiate ed ora, se parliamo di successo in termini numerici, vanno anche molto meglio: molte più persone vengono da noi perché non hanno accesso al sistema sanitario ufficiale.
Questo ci concede l’opportunità di parlare con loro, di aprire alcune discussioni, rispetto a come questa situazione si è generata, a chi ne ha le responsabilità, a come il potere, e intendo i governi e le persone che prendono le decisioni, abbiano lasciato andare le cose in questa direzione. Allo stesso tempo, abbiamo la possibilità di discutere della nostra responsabilità, non soltanto quella di aver lasciato che queste cose accadessero a causa della neutralità, a causa dell’isolamento nelle case, della chiusura nel privato, della mancanza di partecipazione alla resistenza sociale, dell’aver lasciato che altra gente, i partiti, le autorità prendessero le decisioni più importanti sulle nostre vite. Anche il passo successivo è stato qualcosa di davvero delicato, perché tocca le nostre posizioni personali sulla salute e le nostre esperienze personali circa quest’ultima. Intendo dire che tutti siamo stati influenzati politicamente e culturalmente dall’ambiente sociale in cui viviamo, perciò quando stiamo male o quando siamo malati abbiamo paura di morire e vediamo i dottori come degli dei che faranno miracoli per farci continuare a vivere. Questa è una parte. L’altra parte è che allo stesso tempo siamo lavoratori, e il nostro capo ci chiede di essere in salute per essere produttivi, così ci curano meccanicamente. Un altro fattore è che quando siamo vecchi, attorno ai 75-80 anni, vogliamo vivere anche solo un altro giorno, a qualsiasi costo. Così la questione della qualità della vita è molto delicata perché le persone potenti la tirano fuori quando si tratta di abbattere i costi dell’assistenza sanitaria, ma tale questione è basata su un concetto sociale e culturale che abbiamo nelle nostre menti, nel profondo della nostra mentalità. Ovviamente noi siamo troppo piccoli per dire a tutti che dovrebbero affrontare questo genere di decisioni in un modo diverso, ma quello che proviamo a fare è aprire la discussione con ogni uomo, ogni donna che arriva da noi. Ecco, in sostanza è questo il nostro obiettivo. Un obiettivo radicato nel regno del desiderio: il desiderio di cambiare la nostra vita, il nostro modo di lavorare, di relazionarci ai pazienti, di relazionarci con chiunque, perfino quando il nostro status socioeconomico era differente rispetto a quello che abbiamo ora.
Una delle cose più interessanti per noi è che il vostro progetto prova ad andare oltre le categorie di dottore e paziente, cambiando in questo modo lo stesso lavoro del medico. Per esempio, facendo circolare alcune conoscenze fra le persone che arrivano da voi. Quindi vorremmo capire meglio come il lavoro nella clinica occupata è diverso dal lavoro di un medico negli ospedali pubblici e nel sistema sanitario ufficiale…
(…) Ci siamo prefissati quattro differenti obiettivi. Il primo obiettivo era il più ovvio: offrire aiuto medico alle persone che lo cercavano. (…)
Il secondo obiettivo era combattere la vacuità della relazione tra medico e paziente, che è una relazione profondamente autoritaria. (…) Noi crediamo fortemente nella medicina occidentale, ma crediamo che sia stata invasa dalla commercializzazione, così profondamente da aver cambiato i suoi stessi tratti distintivi. Cosa intendo dire? Sappiamo per certo, e persino loro lo ammettono, che ci sono degli studi clinici, grandi e seri studi clinici, che sono soggetti a errori sistematici, che sono soggetti all’influenza del danaro elargito dalle compagnie che vogliono dimostrare che i loro prodotti sono efficaci. (…) Un’altra cosa è che noi vogliamo rompere con quello che ho descritto prima: questo teatro del medico che è qualcuno al di sopra di tutto il resto. E la prima cosa, forse la più importante, è provare ad attivare la responsabilità delle persone rispetto a loro stessi, ai loro corpi, alla loro salute. Quindi quello che proviamo a fare è dare loro delle informazioni che riteniamo affidabili. (…) Noi diamo loro alcune informazioni e proviamo a capire insieme cosa può essere meglio per loro. Questo non è semplice come si potrebbe pensare. In particolar modo con le persone che non hanno a che fare con l’attivismo, con la politica, o con quello che ti pare, è davvero difficile di primo impatto renderli attivi, perché di solito ti dicono “tu sei il dottore… tu devi dirmi!”. E quindi tu devi fare un passo indietro e dire «ok, questa è la mia opinione ma io ho basato questa opinione su uno, due, tre avvenimenti della mia esperienza, ma anche tu hai un’opinione!». […] Ma è davvero molto comune che un problema di salute non abbia una soluzione definita. Se stiamo parlando di assistenza medica di base, probabilmente la maggior parte delle patologie sono auto-limitanti o possono essere controllate senza l’ausilio di medicine. Ci sono tre gradi dell’assistenza medica, e in questo caso noi stiamo parlando solo del primo. Il terzo grado è un ospedale veramente grande, fantastico, con competenze chirurgiche e macchinari per le Tac e le risonanze magnetiche. Questo è davvero importante e molte vite sono salvate in questi luoghi ogni giorno, ma è una piccola parte dei problemi di salute, è solo la punta dell’iceberg, ciò che è visibile e riconoscibile. Per noi focalizzarci sulla base, sul primo grado dell’assistenza sanitaria, è stata una scelta oculata. Abbiamo preso questa decisione non solo perché è più semplice in termini materiali (…), non solo perché ci dà l’opportunità di essere coinvolti nella vita quotidiana di un quartiere, ma principalmente perché crediamo fermamente che sia l’approccio più valido alla sanità. Un approccio che mette l’uomo al centro, che previene i problemi ed assicura salute psicologica. L’80% delle persone ha semplicemente bisogno del primo grado di assistenza sanitaria. (…)
L’altra cosa che facciamo rispetto a questo obiettivo riguarda le persone dell’assemblea che non lavorano nella sanità, ma lavorano con noi ogni settimana, ogni volta che siamo aperti. Loro sanno come riconoscere ciò che è veramente importante, come raccogliere le storie cliniche in maniera affidabile e sanno quali sono i loro limiti. Perché magari qualcuno potrebbe pensare di poter fare completamente il lavoro di un medico, che ovviamente non è ciò che noi vogliamo. Nonostante questo, possono avere delle competenze specifiche, che sono davvero importanti perché riguardano malattie molto comuni. Per esempio, possono misurare la pressione o la glicemia, conoscono il primo soccorso. Sono quindi nella posizione di poter raccogliere la storia clinica in maniera affidabile. Questa è l’apertura ai membri dell’assemblea e l’apertura al pubblico, alle altre persone che non vogliono far parte della nostra assemblea. Ogni mese teniamo una lezione, una anti-lezione, qualcosa che a volte è tenuta da un medico o a volte da un medico e un non-medico che finge di aver preso delle medicine che hanno avuto effetti negativi o che ha problemi con le medicine… cose del genere. (…)
Ritengo che questa sia la cosa più importante che abbiamo da offrire: quando arriva un paziente noi gli proponiamo di discutere il suo problema in maniera assembleare. Quindi ci sediamo e, se lui è d’accordo, procediamo in questo modo. Nell’assemblea ci sono sia medici, che non medici. In questo modo proviamo a capire se c’è una prospettiva sociale, che è davvero, davvero comune. A volte le persone che non sono medici possono dare una soluzione perché hanno esperienze simili. A volte, e questo è veramente importante, organizziamo gruppi di pazienti con la stessa malattia, malattie croniche intendo, che in qualche modo li definiscono [socialmente] perché impongono loro un certo modo di vivere. Abbiamo gruppi di persone con la depressione. Si incontrano ogni settimana. Alcuni di loro hanno una definizione psichiatrica, altri no, sentono semplicemente le voci. E loro lo trovano d’aiuto, al momento dura da un anno. L’ultima cosa che vorrei dire su questo è che la grande maggioranza dei nostri pazienti ha problemi psicologici. È la causa principale per cui i pazienti vengono da noi. Quindi questo era il secondo obiettivo, davvero grande.
Il terzo è veramente piccolo. È che noi ci consideriamo come un collettivo politico, quindi non dimentichiamo che siamo in uno spazio che ha due nemici: un nemico è lo stato, che attacca l’assistenza sanitaria, attacca i diritti delle persone e dei pazienti, quindi noi dobbiamo resistere in qualche modo. Uno dei canali di resistenza è l’ambulatorio stesso. Partecipiamo anche ad altri canali di resistenza, come i sindacati del servizio sanitario, ma [l’attività che svolgiamo nell’ambulatorio] è qualcosa di profondamente diverso perché vogliamo spronare le persone che non sono professionalmente coinvolte nella sanità a reagire, perché questo è un diritto. Quindi noi discutiamo, andiamo negli ospedali e diamo volantini, sia ai pazienti sia ai medici. (…)
Il quarto obiettivo è che noi vogliamo questa cosa: lavorare come un faro, come un esempio per gli altri affinché prendano la parte buona ed eliminino la cattiva, affinché gli altri facciano meglio, rendano più grande quello che facciamo e non si limitino soltanto a replicare o a copiare… L’aspetto più importante è che altre persone lo hanno visto, hanno condiviso l’esperienza, sono stati lì, hanno visto quello che abbiamo fatto e, perfino vedendo soltanto il nostro blog, hanno realizzato qualcosa di simile. Così ora abbiamo circa dieci occupazioni simili di cliniche sociali, già pronte o quasi pronte.
…dieci ad Atene o in tutta la Grecia?
Dieci in tutta la Grecia. La più grande è a Salonicco. Ce ne sono anche a Rethymno, a Volos e in altri cinque o sei quartieri di Atene. Quindi sono quasi dieci. E anche a Patrasso. Un punto veramente importante è che noi siamo stati criticati, in primo luogo, perché questa cosa poteva essere facilmente incorporata dal sistema, perché era facile che qualcuno considerasse questa cosa come carità. É qualcosa che molti altri hanno provato a fare, soprattutto negli ultimi anni, con la crisi che incalza ed esplode ogni giorno. Sono state realizzate alcune cliniche simili, dalla chiesa o dalle associazioni mediche, che in modi diversi sono state pubblicizzate bene e hanno avuto grande supporto dalla Tv che le mostrava continuamente, dicendo: «guardate queste persone! Loro stanno cercando di aiutare». Ma alcune persone conoscono la differenza e vengono da noi proprio perché sanno che c’è qualcosa di veramente diverso. Questo è il nostro quarto obiettivo. Penso che in qualche modo li abbiamo raggiunti tutti. (…)
Quali sono le caratteristiche particolari del vostro ambulatorio rispetto agli altri?
Questa domanda ha due livelli. Il primo livello è tecnico, intendo quanti dottori partecipano e che tipi di servizi possono offrire. A Salonicco hanno molti più dottori di noi, ed hanno strutture che noi non abbiamo. Per esempio, loro hanno un dentista con attrezzi odontoiatrici che noi non abbiamo. Noi abbiamo un elettrocardiografo che ci è stato donato da un sindacato, perché uno dei membri di questo sindacato è venuto da noi ed ha risolto i suoi problemi. Quindi, non per gratitudine ma per solidarietà, ha preso l’iniziativa di raccogliere soldi tra i membri del sindacato. Così ci hanno comprato l’elettrocardiografo. Questo rispetto al livello tecnico, che io ritengo sia secondario. Qualcuno potrà dire che le principali differenze non sono poi così grandi, ma allo stesso tempo sono importanti e riguardano il livello politico. Per esempio, la nostra clinica ha deciso in maniera chiara e definitiva che non vuole nessuna relazione con qualsiasi tipo di istituzione, come lo stato, i ministeri, i municipi, le aziende, gli sponsor, i partiti politici, e cose di questo genere. (…)
Rispetto al livello tecnico che hai appena menzionato, ci piacerebbe sapere come riuscite a farlo funzionare. Ad esempio, come rimediate le medicine? Come ottenete le apparecchiature?
Precedentemente non ho detto che siamo stati avvicinati da importanti canali televisivi stranieri. Dalla Grecia mai, ma dall’estero sono arrivate la BBC e TV5, dalla Francia, per un’intervista, e ovviamente noi abbiamo declinato. Abbiamo declinato ed abbiamo spiegato il perché. Soprattutto il giornalista francese era così sconvolto che non riusciva a capire la ragione per la quale ci rifiutavamo di parlare con lui. Ma quando gli abbiamo spiegato il perché, ha detto: «Ok, avete ragione!». Abbiamo detto che noi crediamo che sia un’istituzione che aiuta il nemico. E alla fine della conversazione lui ha detto: «Per come l’avete messa, sì, avete ragione». Quindi, dicevamo… come troviamo gli strumenti tecnici. In primo luogo, siamo in un edificio che era usato fino a cinque anni prima che vi entrassimo come un’unità di assistenza sanitaria di primo grado. Quindi le persone ci andavano per i vaccini, c’era un ginecologo, c’erano lezioni per le mamme, cose così. Ma è stato abbandonato dallo stato. È stato chiuso, quindi noi abbiamo provato ad entrare sia simbolicamente, che praticamente, per affermare che lo stato aveva promesso qualcosa, lo stato mente, e noi, le persone, tutti, senza nessun tipo di gerarchie, apertamente, in modalità assembleare, stiamo provando a prendere le nostre vite nelle nostre mani e il primo passo è prenderci cura della nostra salute. Quindi alcune cose le abbiamo ereditate da questa unità di assistenza sanitaria che lavorava lì. Il secondo modo te l’ho già accennato: sono offerte delle persone. In particolar modo le medicine. Molte persone arrivano con pacchi di medicine. E dei sindacati. E di altri gruppi che appartengono alla galassia della resistenza sociale. In entrambi i casi ci danno soldi, o molti di loro ci danno attrezzature. Mi sembra di averlo detto in maniera chiara: la solidarietà è la nostra arma.
Come il contesto politico generale influenza il vostro lavoro? Per esempio, in che modo la crescente repressione statale degli ultimi giorni, degli ultimi mesi, influenza il vostro lavoro quotidiano?
Per essere onesti, noi non abbiamo ricevuto nessuna minaccia e non abbiamo nessun tipo di problema con le autorità, al momento. Indirettamente, siamo coinvolti poiché assistiamo molte persone che hanno grossi problemi, problemi dovuti agli arresti e, in maniera più consistente, a quello che accade durante i cortei. Per esempio, abbiamo persone che sono state seriamente ferite alla testa. Uno di loro era in uno stato di pericolo veramente serio, rischiava perfino la morte. E ora rimarrà stordito per mesi. Altre persone hanno perso l’udito a causa delle esplosioni. Quindi abbiamo vittime della repressione della polizia. O persone con problemi ortopedici, gambe rotte, braccia rotte. Qualcosa con cui abbiamo a che fare davvero spesso.
Magari vuoi dire qualcosa di cui non abbiamo ancora parlato…
Solo una cosa. Ho detto abbastanza, credo. Ma vorrei ringraziare tutti quelli che ci mostrano solidarietà dall’estero, è qualcosa di davvero importante per noi. Dimostra che ciò che facciamo, almeno, è qualcosa che viene conosciuto, che viene rispettato dalle persone che vivono negli altri paesi. Vorrei dire che se volete essere davvero solidali con noi, non ne parlate con una sorta di ammirazione, non ritenete sufficiente inviare soldi o materiali. Dovreste fare qualcosa di simile. È qualcosa di praticabile, e vale la pena provarci…
La versione completa di questo lungo articolo scritto da Assemblea di Medicina e Anomalia Sapienza è su Unicommon.org, con il titolo «Atene “Resistiamo in Salute”».
Sulla Grecia che resiste creando spazi di mutalismo spontaneo leggi Le sigarette della prof Déspina, ma anche La rivoluzione degli orti. Su un’esperienza di teatro di Atene occupato leggi Salviamo il teatro greco. A proposito della riscoperta della bicicletta Le due ruote della crisi greca. Mentre sulla Grecia che non cerca più speranze leggi invece Alexis aveva solo quindici anni.
Un prezioso punto di vista per ripensare medicina e sanità resta Nemesi medica (ed. Boroli) di Ivan Illich.
Scrive John Holloway: «Dietro lo spettacolo delle banche che bruciano in Grecia c’è un processo più profondo, un movimento più calmo di persone che rifiutano di pagare i biglietti degli autobus, le bollette dell’elettricità, i pedaggi autostradali, i debiti con le banche; un movimento, nato dalla necessità e dalla convinzione, di persone che organizzano le proprie vite in un modo diverso, che creano comunità di mutuo soccorso e reti per l’alimentazione, che occupano edifici e terreni abbandonati, che creano orti comunitari, che ritornano nelle campagne, che girano le spalle ai politici (…) e che creano direttamente forme democratiche di decisione sociale. Forse è ancora qualcosa di insufficiente e sperimentale ma di cruciale importanza. Dietro le fiamme spettacolari, è questa ricerca per la creazione di un modo diverso di vivere che determinerà il futuro (…)».
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