Una mobilitazione popolare in diverse città ha chiesto un’agricoltura senza più pesticidi chimici e di porre un freno all’espansione delle monocolture intensive
Da Follina al resto d’Italia. Da fenomeno locale a mobilitazione nazionale nel giro di tre anni, grazie all’adesione di decine di comitati e organizzazioni della società civile italiana. Migliaia di persone riunite intorno a un obiettivo comune: vietare l’utilizzo dei fitofarmaci in agricoltura e porre un freno all’espansione indiscriminata delle monocolture intensive. È questo l’obiettivo della Marcia Stop Pesticidi, che si è tenuta domenica 19 maggio in varie località del paese. I cortei nonostante il mal tempo, hanno riguardato Treviso, Verona, Trento, Caldaro ma ci saranno presidi anche in Friuli, Emilia Romagna e nelle Marche.
Che la Marcia nasca a Follina, in provincia di Treviso, non è un caso. Ci troviamo nel cuore del Prosecco doc, un’estesa area geografica modificata artificialmente per far posto alle monocolture industriali che si impongono sul territorio con il loro kit di erbicidi, pesticidi e fertilizzanti chimici. Ma anche l’espansione della protesta non è casuale. Perché la monocoltura industriale ad alto input chimico sta attaccando tutto il territorio italiano e tutti i suoi abitanti. Follina diviene allora, almeno per un giorno, il cuore pulsante di quell’Italia che intende guardare a modelli di sviluppo alternativi, veramente sostenibili, contraddicendo il dogma dell’agribusiness che continua a voler imporre un modello produttivo intensivo inviso a una fetta sempre maggiore di popolazione.
Gli impatti negativi sull’ambiente e sulla salute delle persone di un modello agricolo governato dalle potenti multinazionali del settore è oramai dimostrato da numerosi studi scientifici. Molti di questi studi provengono proprio dall’Italia, e in particolare dall’Istituto Ramazzini riconosciuto, a livello internazionale, come laboratorio all’avanguardia per le ricerche sugli effetti dei pesticidi sulla salute umana.
Parliamo di effetti che riguardano sia la popolazione residente nelle aree di produzione, costretta a vedersela con l’inquietante fenomeno della deriva, sia i consumatori, indotti ad acquistare cibi potenzialmente dannosi per la loro salute. Anche i medici per l’ambiente italiani di Isde sottolineano i rischi di cancerogenesi, di infertilità, di interferenza endocrina e di altre patologie non trasmissibili correlate a molti composti attualmente utilizzati in grande quantità nelle monocolture intensive, mentre Navdanya International ha prodotto studi sui suoli, sempre più contaminati, e sulle esternalità negative dell’industria, quei costi nascosti che ricadono inesorabilmente sulle casse dello Stato e quindi nelle tasche dei contribuenti.
Una letteratura scientifica indipendente, ampia e incontrovertibile, che giustifica l’urgenza dell’azione.
L’alternativa esiste ed è già praticata. L’agroecologia, come recentemente confermato dalla Fao, si è dimostrata una pratica rispettosa dell’ambiente, economicamente sostenibile, meno impattante dal punto di vista dei cambiamenti climatici e più equa, soprattutto se abbinata al sistema delle filiere corte che riducono i grandi sprechi di energia e cibo caratteristici della grande distribuzione industriale. Come ha rilevato la presidente di Navdanya International, Vandana Shiva, la questione dei pesticidi è divenuta oramai una questione di democrazia. La spudorata negazione dei principi di sussidiarietà e di precauzione, inseriti nei trattati europei, non è più tollerabile. Il movimento per un’agricoltura e un’alimentazione libera dai veleni continuerà a crescere fino a che la politica non tornerà a fare il suo lavoro: ascoltare i cittadini per poter tutelare i loro diritti.
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Manlio Masucci, l’autore di questo articolo, fa parte di Navdanya International, organizzazione fondata da Vandana Shiva
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