Il prossimo 26 novembre scendiamo in piazza convintə che la lotta contro la violenza patriarcale non può prescindere dall’opposizione alle guerre sui nostri corpi:
È la guerra che ha come scenario il chiuso delle case e delle relazioni, ma non è una guerra privata: è l’espressione terribile e estrema della violenza strutturale contro le donne e le libere soggettività. Dall’inizio del 2022 sono 91 in Italia i femminicidi, lesbicidi e transcidi.
È la guerra combattuta sul campo, aperta dall’invasione russa dell’Ucraina, una guerra che ci coinvolge e ci riguarda tuttə, non solo perché mai come ora la sentiamo vicina e incombente. Violenze, lutti, stupri, distruzione segnano le vite di chi fugge e di chi resta a seconda dei ruoli imposti e cristallizzati dal binarismo di genere, riducendo le donne a terreno di conquista.
La guerra riapre in modo strumentale e ipocrita il tema dell’accoglienza in Europa su base etnica e identitaria occultando la realtà di sfruttamento e ricatto dell’immigrazione – soprattutto femminile – e rafforzando i già inquietanti criteri di merito per la selezione all’ingresso e per l’accesso alla cittadinanza sociale.
È la stessa guerra che si intensifica sui vari fronti già aperti nel mondo (Afganistan Kurdistan, Palestina, Yemen, …), una guerra volta alla definizione del nuovo ordine mondiale e che mette questi stessi fronti a sistema nello scontro tra potenze emergenti e in declino; affermando la logica patriarcale del più forte, con le bombe e la minaccia atomica, con la deriva autoritaria e antidemocratica da Est a Ovest; approfondendo violenza, discriminazione e oppressione prima di tutto sui corpi delle donne, delle soggettività fuori norma, dissidenti, migranti.
È la guerra che ridisegna l’economia e il welfare in funzione del riarmo e della mobilitazione bellica e che cancella le priorità imposte dalla crisi economica, sociale e climatica. Carovita, disoccupazione, povertà sono l’altra faccia della siccità, dell’avvelenamento ambientale, della crisi alimentare, della pandemia tuttora in corso: colpiscono gli strati più fragili della popolazione ma diventano effetti collaterali accettabili e si trasformano in armi contro poverə, giovani, donne, migranti.
Si concretizza nella guerra al reddito di cittadinanza (la cui platea è a maggioranza femminile, e che è già pesantemente condizionato e familistico); con il contingentamento energetico domestico a favore delle imprese; con l’enfasi sulla natalità come dovere civile ma senza alcuna previsione di investimento sui salari e sul welfare pubblico; attraverso la sostituzione dei diritti umani, sociali e civili con il merito come meccanismo di selezione che legittima e acuisce disparità, disuguaglianze e meccanismi di oppressione.
È la guerra dichiarata ai nostri corpi desideranti e autodeterminati, e che ne fa nuovamente un campo di battaglia. Violenza patriarcale istituzionalizzata e cultura dello stupro sono il presente da ribaltare.
L’affermazione elettorale della destra antiabortista, razzista e ultraconservatrice porta al governo chi in questi anni nelle amministrazioni regionali e in Parlamento ha negato l’accesso all’aborto chirurgico e farmacologico; la possibilità di autodeterminazione di donne e persone lgbtiaq+, anche nell’ambito dei percorsi di affermazione di genere. Una guerra che nega la violenza omolesbobitransfobica e che si oppone all’educazione alle differenze e sessuale nelle scuole agitando lo spettro di una inesistente “ideologia gender”. A questa linea programmatica da seguito l’istituzione del Ministero per la famiglia, la natalità e le pari opportunità affidato a Eugenia Roccella.
L’attacco all’aborto legittima la violenza patriarcale nelle case, nello spazio pubblico, nei posti di lavoro e di formazione, in rete, nei media, riaffermando come principio la subalternità delle donne e delle persone con utero, e con esse delle soggettività non binarie e fuori norma.
È la battaglia identitaria principale della destra autoritaria.
L’Italia del governo Meloni non si sottrae a questo schema e si allinea a Polonia e Ungheria, agli Usa di Trump e dei gruppi ultracattolici, ai regimi autoritari, anche nella criminalizzazione di stili di vita e comportamenti ritenuti “devianti”, nell’ambito di una lettura delle giovani generazioni pericolosa e stigmatizzante. Esemplare risulta infatti l’urgenza con cui è stato proposto il decreto anti-rave, utilizzato strumentalmente per limitare spazi di libertà “fuori mercato” e di agibilità politica.
In questo contesto polarizzato, scardiniamo i binarismi, facciamoci spazio, attraversiamo il campo di battaglia per ribaltare i piani!
Chiamiamo tuttə a scendere in piazza per fermare le guerre sui nostri corpi, per opporre alla militarizzazione delle vite, la rivolta transfemminista contro la violenza, l’oppressione e la povertà. Per fare dell’autodeterminazione un terreno di lotta in avanti, per fare dell’autodifesa una pratica collettiva di resistenza alla violenza.
Perché se non possiamo ballare, non è la nostra rivoluzione!
Per questo, l’irruzione sulla scena della rivolta delle donne iraniane sovverte i termini dello scontro e rovescia i ruoli. Rimette al centro l’autodeterminazione come terreno di conflitto e di trasformazione. Ci indica con chiarezza cosa ci è nemico e ci insegna a chiamarlo per nome, a disvelare quanto la violenza sia esperienza quotidiana, strumento di governo e controllo dei nostri corpi, riconnettendo le resistenze femministe e transfemministe riprendendo il grido delle combattenti curde Jin Jiyan Azadì – donna vita libertà.
Il 20 NOVEMBRE saremo nelle piazze e nelle iniziative per il TdOR- Trans Day of Remembrance per aprire la settimana di mobilitazione contro la violenza patriarcale verso il 25 novembre.
IL 26 NOVEMBRE A ROMA SARÀ MAREA contro le guerre sui nostri corpi, sarà un corteo autodeterminato, le assemblee territoriali di Non Una Di Meno sono lo spazio condiviso di organizzazione del corteo.
Sarà una manifestazione senza spezzoni né bandiere, dai due camion organizzati il microfono sarà aperto alla molteplicità delle voci che la compongono. Invitiamo le rappresentanti politiche a rimanere in ascolto e non occupare lo spazio mediatico della manifestazione, diamo indicazione alle strutture partitiche, sindacali e organizzate di rispettare le indicazioni date.
Porteremo in piazza la voce di chi non ha più voce e di chi vede la propria voce invisibilizzata, sommersa, ricattabile. Saremo in piazza anche per chi non potrà esserci, per chi vive una condizione di privazione forzata della libertà; per le donne e le soggettività detenute, quelle rinchiuse nei CPR o ‘contenute’ nei reparti e nelle cliniche psichiatriche. Perché nessuna dovrebbe restare sola!
IL 27 NOVEMBRE CI RITROVEREMO IN ASSEMBLEA NAZIONALE presso la facoltà di lettere di Roma 3 per discutere, intrecciare le lotte e organizzare la rivolta transfemminista verso l’8 marzo e oltre.
Scateniamo assieme tutta la nostra rabbia erotica, sempre mossə dal desiderio!!
L’UNICO CARICO RESIDUALE CHE CONOSCIAMO È IL PATRIARCATO!
NON UNA DI MENO